Momò Calascibetta: scomparso l’artista siciliano, genio dell’arte contemporanea

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Momò Calascibetta, La Folla, acrilico, 1978. Cita l’artista: “Chi vuole apparire profondo alla folla, si sforza di esser oscuro. Infatti la folla ritiene profondo tutto quel di cui non riesce a vedere il fondo: è tanto timorosa e scende tanto mal volentieri nell’acqua!” (Friedrich W. Nietzsche) – Courtesy of the Author

“L’arte è un modo di restituire quello che si riceve”
(Momò Calascibetta)

di Redazione FdS

“Il Genius Loci, quando è genio sul serio non scompare mai”: così il compianto Philippe Daverio concludeva un po’ di anni fa la puntata della sua fortunata trasmissione “Passepartout” dedicata a Palermo, all’interno della quale trovava spazio la conversazione con uno dei più originali artisti del panorama italiano contemporaneo: il siciliano Antonio “Momò” Calascibetta. Così come il Genio di Palermo ha continuato a vivere nell’opera di questo artista, ci piace pensare che, allo stesso modo, il suo genio personale – capace di interpretare la realtà senza infingimenti, irriverentemente critico e caustico nei confronti delle figure e degli aspetti più oscuri o grotteschi del mondo contemporaneo – saprà continuare a parlare con forza a tutti coloro che avranno la curiosità di accostarsi al suo lavoro dopo la sua scomparsa, avvenuta nelle scorse ore all’ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani dove era ricoverato da circa due mesi. Momò se n’è andato a 73 anni a causa del virus West Nile trasmessogli ad agosto – primo e unico caso in Sicilia – dalla puntura di una zanzara: una morte inattesa, assurda, che ha lasciato sgomenti amici ed estimatori, i quali hanno appreso la notizia da un toccante post su Facebook: “Ogni qualvolta un mio dipinto vi strapperà una lacrima, un sorriso, una risata amara, io sarò lì con voi – scrivono, tra l’altro, i familiari in suo nome -. Non ho alcuna intenzione di lasciarvi. Ci sono tante cose che ho ancora da fare: due mostre pronte, un catalogo, una (momo)grafia… Certo non potrò essere fisicamente presente, ma in spirito, ve lo prometto, ci sarò. Questo non è un addio, solo un arrivederci. La vita è bellissima, e gli artisti non muoiono mai”. L’estremo saluto è previsto mercoledì dalle 11.00 nella sua casa di Marsala, un antico edificio che aveva restaurato dopo il suo rientro in Sicilia, avvenuto dopo un lungo soggiorno a Milano, città con la quale aveva mantenuto i contatti.
 

L'artista Momò Calascibetta - Image courtesy of the Author

L’artista Momò Calascibetta nella sua casa milanese – Courtesy of Momò Calascibetta

A Milano – come notava Daverio – Momò Calascibetta aveva portato con sè il Genio di Palermo, in una casa dove non solo le opere, ma ogni angolo, emanavano ‘sicilianità’: un’impronta identitaria che riportava a quel fantastico melting pot di culture – con marcata dominanza di quella araba e spagnola – di cui nell’ “insula magna” del Mediterraneo c’è ancora viva traccia in usi, costumi, tradizioni, forme d’arte, linguaggio. Questo imprinting era però per Calascibetta soprattutto un potente lievito per la sua ricerca estetica che non una forma di sterile campanilismo. E infatti come ebbe occasione di dichiarare – nonostante l’irrinunciabile legame con la sua terra – egli si riteneva “siciliano per caso”, sostenendo di vivere fondamentalmente “per scoprire la bellezza” mentre “tutto il resto non è altro che una forma di attesa”. Del resto a dimostrarlo è la sua stessa pittura, aperta a tematiche che hanno l’ampio respiro della universalità. Uno dei temi principali dei suoi dipinti è stata ad esempio la critica sottile e incisiva a un certo potere costituito visto nelle sue sembianze più patologiche. Come affermò il celebre scrittore siciliano Leonardo Sciascia, suo estimatore ed amico, la pittura di Calascibetta risulta come il racconto dettagliato ”dell’imbestiamento di una classe di potere già sufficientemente imbestiata nella più lata avarizia e nella più lata rapacità…”.
 

Momò Calascibetta, Il Giardino delle Delizie (part.), acrilico, 2021

Momò Calascibetta, Il Giardino delle Delizie (part.), acrilico, 2021 – Courtesy of the Author

Una pittura dunque a volte scomoda e che in alcuni casi non ha mancato, a dispetto degli apprezzamenti di pubblico e critica, di sollevare reazioni censorie a suo carico da parte degli ambienti presi di mira dalle sue acuminate ed esplicite metafore pittoriche. A tal proposito ben dipingono il mondo che ispira molte delle opere di Clascibetta le parole del critico d’arte Mario De Micheli che lo ha seguito per anni: “Ogni opera di Calascibetta è sempre un convegno di personaggi, quando addirittura non ne brulichi. Sono i personaggi di una periferica e provinciale “società opulenta”, i protagonisti dei “nuovi ceti emergenti”, gli speculatori, i parassiti, i mangioni, i servi in divisa del potere: il giudice intrallazzato col mafioso, il prete che assolve da ogni peccato e il generale che dà lustro e garanzie patriottiche alle feste e ai banchetti, dove trionfa una confusa presenza di dame, cortigiane e baldracche, sfarzosamente agghindate per la rappresentazione…” Temi di un’attualità sconcertante, tanto più soprendenti se si tiene conto che Calascibetta li trattava da anni. A partire dagli anni ’90 peraltro, la sua pittura si è arricchita di una pietas che è parsa concedere ai suoi personaggi una speranza di redenzione, purtuttavia senza rinunciare alla rappresentazione delle loro più bieche passioni. Importante, nel 1994, l’incontro con lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo che presentò in catalogo la mostra “Labirinto” in cui satira e pietas si fusero sempre di più facendo approdare l’artista a una visione di puro intimismo lirico.

Architetto per formazione accademica, e pittore per una passione che lo ha accompagnato fin da bambino, sempre negli anni ’90 Momò (il buffo nome d’arte era l’omaggio ad uno zio ritenuto figura determinante per le sue scelte artistiche) si è dedicato a progetti di architettura e ad una attività creativa il cui nucleo centrale risiedeva nell’esigenza di impadronirsi di luoghi umani e di materiali, di trasformarne e plasmarne la materia che li componeva, mosso dalla ricerca di una decisa esaltazione di forma, funzione e qualità puramente estetiche. Il suo sogno creativo cominciò così a proporre un’unità tra pittura, scultura, mosaico, e architettura per ricostruire i luoghi della vita. Non è un caso che una delle sue ultime ‘imprese’ in questa direzione sia stata proprio il recupero di un’antica struttura abbandonata di fronte alle saline di Marsala sulla quale ha riversato tutta la propria carica creativa facendone il luogo d’elezione in cui trascorrere il resto della vita con la propria famiglia.

Per quanto molte sue opere rechino il segno distintivo di una marcata componente onirica e visionaria, la grande sensibilità di Momò verso le vicende del mondo attuale e le multiformi condizioni degli esseri umani, lo ha portato ad avvicinarsi nel tempo anche a temi come la guerra, la povertà, l’infanzia calpestata. Nel trattare ad es. la condizione di precarietà in cui molte persone si trovano a dover vivere, l’artista si è ritrovato a porre l’accento sul tema della casa da lui intesa come l’unico luogo inviolabile, l’unico tempio, l’unico rifugio che l’uomo possiede; qualità di cui purtroppo la guerra è la principale violatrice. “La casa – diceva Momò – è una geografia della memoria dove il dolore ti abbandona: sono come una tartaruga, ovunque io vada mi porto la casa sulla schiena”. Il tema della guerra, in Calascibetta non era dissociato da quello dell’infanzia, messa a dura prova da un’esperienza non meno lacerante dell’estrema povertà. Del resto guerra e povertà non di rado vanno di pari passo. Nasceva così nel 2005 la tematica de “I bambini sulle strade del mondo”.
 

Momò Calascibetta, Tra i sacchi della spazzatura, 2006

Momò Calascibetta, Tra i sacchi della spazzatura, 2006 – Courtesy of the Author

sfida fra Momò e il suo pubblico è stata una sfida sempre aperta, trattandosi di un artista che non ripeteva mai se stesso, attento alle dinamiche di una società in continuo mutamento, e purtuttavia sempre bisognosa di un impegno civile al quale l’artista non sapeva e non voleva rinunciare. Sovente gli è stato sentito dichiarare: ”non conosco la chiave per il successo, ma posso affermare che quella per il fallimento è tentare di piacere a molti: se per vivere devi strisciare alzati e muori”. Parole il cui ‘spessore’ etico è raro trovare nel mondo dell’arte contemporanea, mondo al quale l’artista non ha risparmiato dure critiche, a nostro avviso tutte condivisibili. A partire dalla sua convinzione che “l’arte italiana non è morta bensì ammorbata da una volontà dominante verso il crescente dilagare di uno sporco e corrotto mercato dell’arte americanizzato e monopolizzato da lobby finanziarie-culturali, cieche ed arroganti, dove l’arte si trova sempre più mummificata, in eventi fieristici e commerciali, da imbalsamatori culturali sempre più lontani dalla vita e dalla società.” Tema che aveva ispirato la sua mostra itinerante Cenere, ideata in collaborazione con lo scrittore Dario Orphée e curata da Andrea Guastella.
 

Momò Calascibetta, Comiso Park, acrilico, 1984

Momò Calascibetta, Comiso Park, acrilico, 1984 – courtesy of the Author

I temi affrontati hanno trovato la loro summa ne “Il Giardino delle Delizie”, la grande mostra personale inauguratasi ad agosto 2021 al Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo – Palazzo Belmonte Riso, con la quale l’artista ha ripercorso oltre quarant’anni di esperienza artistica attraverso oltre cinquanta opere, tra dipinti, disegni, sculture e istallazioni. Dalle opere sull’ipocrisia di certi ambienti ecclesiastici, alla serie Comiso Park, creata negli anni in cui Comiso, piccolo centro in provincia di Ragusa, ospitava una base americana piena di ordigni nucleari, per giungere a Terromnia, sulle esperienze siciliana e milanese, e alla Fontana della Vergogna, un altro pannello ispirato alla principale piazza cittadina di Palermo; e poi ancora i dipinti “cubani” in cui trovava punti di contatto tra le periferie dei paesi più poveri e i quartieri popolari palermitani di Danisinni, della Kalsa o di Ballarò; le carte e i dipinti mitologici che tanto erano piaciut a Vincenzo Consolo, così vicini agli antichi rilievi e ai decori conservati nel Museo Salinas; la serie Cenere, nelle sue versioni siciliana, italiana e mondiale; e infine Il giardino delle delizie, un’opera, ambientata nel cuore di Palermo come la Vucciria di Guttuso, ma con un impianto allegorico capace di evocare il Trionfo della Morte e i trittici di Bosch in un monumentale trittico pittorico realizzato durante l’anno appositamente per la mostra. Un capolavoro nel quale con ironia, sarcasmo e spirito dissacratore, ha ancora una volta messo in scena in un turbinio di colori grandezze e miserie della nostra società, vizi e virtù degli uomini, attraverso allegorie ambientate nei luoghi più amati della sua Palermo.
 

Momò Calascibetta, Il Giardino delle Delizie, 2021

Momò Calascibetta, Il Giardino delle Delizie, 2021 – Courtesy of the Author

Ci piace concludere questo nostro ricordo di un grande artista, ricordando un altro suo amaro e tagliente giudizio sul mondo dell’arte contemporanea; una verità che a nostro avviso travalica i confini della pittura per adeguarsi perfettamente a quello delle arti in senso lato: “Gli artisti contemporanei devono apparire, devono esserci, devono dire. Questo forse perchè gran parte delle loro opere da sole non dicono niente, non comunicano, non seducono, non affascinano, non ci coinvolgono drammaticamente fra le luci e le ombre, non ci conducono davanti al mistero della vita e del destino, davanti alla ricerca della bellezza, ma soltanto davanti al trend positivo delle loro quotazioni d’asta…”

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