La Grotta Azzurra di Capri, 1826. Nascita di un Mito raccontata dalla viva voce dello scopritore – Settima parte

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Grotta Azzurra 2011, Capri | Ph. Thilo Hilberer | ccby-nd2.0

Isola di Capri. Estate 1826. Nella sesta puntata del racconto sulla scoperta della Grotta Azzurra di Capri, i protagonisti sono ormai prossimi ad entrare nell’antro da sempre motivo di attrazione e, al tempo stesso, di terrore per i capresi. L’iniziale allegria della comitiva lascia il posto al timore, ma i due stranieri lo superano velocemente con allegra temerarietà. Il notaio Pagano invece, sebbene promotore della spedizione, sembra stretto nella morsa dell’indecisione e non si decide a tuffarsi in mare, finchè una spinta provvidenziale datagli da Kopish non si rivela decisiva per il prosieguo dell’avventura. Ricordiamo ai nostri lettori che il racconto è in versione integrale, nella traduzione dal tedesco a cura di Ingrid F. Stern. Qui di seguito, la VIIa Parte.

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Sir Frederck Leighton, The staircase of a House at Capri, 1859 | Collezione privata

La scoperta della Grotta Azzurra a Capri | Entdeckung der Blauen Grotte auf der Insel Capri – Settima parte

di August Kopisch (leggi Prima parte; Seconda parte; Terza parte; Quarta parte; Quinta parte; Sesta parte)

Entrambi avevamo sul volto il denso fumo del fuoco greco e, non appena arrivammo dentro, sotto la grande volta, fummo costretti a chiudere gli occhi. Quando li aprii di nuovo, sembrava che tutt’intorno ci fosse un buio pesto. Là dove Angelo procedeva a tastoni lungo le pareti, il fuoco e il fumo erano accecanti, e solo con l’udito, basandomi sul rumore delle onde che si frangevano tutt’intorno, potevo misurare  l’ampiezza del bacino sotto la volta.

Io avanzavo a nuoto in preda a una strana, ansiosa aspettativa, alla vana ricerca di antichità. Ad un tratto mi accorsi che il notaio e il mio amico tedesco, i quali prima mi avevano seguito, ora tornavano indietro tutt’e due insieme e mi voltai per sgridarli; ma quale non fu il mio terrore nel vedere l’acqua, sotto di me,  simile ad azzurre fiamme di spirito acceso! Involontariamente feci come per spostarmi, poichè, sempre accecato dal fuoco, credetti a prima vista che si trattasse di un fenomeno vulcanico. Sentendo però che l’acqua era fredda, sollevai lo sguardo verso la volta, immaginando che il riflesso azzurro provenisse da lì. Ma la volta era chiusa, e finalmente, non avendo più il fuoco davanti agli occhi, riuscii in parte a distinguere qualcosa della sua conformazione. L’acqua restava meravigliosa, e quando le onde si fermavano per un po’, mi sentivo prendere dalle vertigini, come se nuotassi in un insondabile cielo azzurro.

Un’ansiosa estasi mi fece tremare, per cui gridai ai miei compagni: “Vi giuro che è una cosa meravigliosa! Venite, venite! Anche se nella grotta non c’è altro che quest’acqua celeste, rimane sempre una meraviglia del mondo! Venite senza paura! Qui non ci sono da vedere nè pescecani nè diavoli, ma una magnificenza di colori che non ha eguali”.

A questo entusiastico appello essi ripresero animo e nuotarono dentro nuovamente. Entrambi ora condividevano la mia ebbrezza, ma nè io nè loro riuscivamo a darci spiegazione di quel miracolo: potevamo solo ammirarlo. Al tempo stesso comprendemmo perchè mai quei due preti di duecento anni prima avevano avuto paura di nuotare in quell’acqua.

Ora Angelo, col suo fuoco, aveva raggiunto il fondo della grotta, dove si distingueva un punto d’approdo. Nuotai e mi arrampicai sulla riva, meravigliato che la grotta, già così grande, mostrava di inoltrarsi ancora molto. “Qui sarà il corridoio di Tiberio!”, gridò il notaio dall’acqua. Non trovai la cosa inverosimile, e, fattomi passare da Angelo una lanterna in cui ardeva un tenue lumicino, cominciai ad avanzare barcollando, poiché il suolo era disuguale e molto scivoloso, e dalla volta pendevano punte di stalattiti: ad ogni mio passo vedevo le ombre deformarsi e balzare dappertutto su quelle pareti dalle fantastiche forme.

Ora da una parte, ora dall’altra mi sembrava sempre che qualcosa si muovesse. La mia fantasia, eccitata dall’inspiegabile meraviglia di quell’acqua e da tutte quelle molteplici forme, in ogni momento si raffigurava sagome umane per cui fui assalito dal pensiero che la grotta potesse essere un rifugio di corsari. D’improvviso, nel debole raggio della lucerna, vidi brillare qualcosa di bianco e mi fermai ad osservare.

I miei compagni, dall’acqua, chiesero gridando come mai mi facessi insietro. “Perché vedo uno spettro” stavo subito per dire quando, meglio illuminandola, m’accorsi trattarsi di una stalattite che aveva assunto tale aspetto nella mia euforica fantasia, avendo cominciato a sospettare che la grotta fosse un covo di corsari. Proseguii, ed ecco che avvertii un freddo brivido quando, nel farmi luce innanzi, vidi la mia ombra non dietro, ma di lato. “Che cos’è?”, pensai. “Si apre una porta, gli assassini saltano su di te inerme e i tuoi compagni, terrorizzati, ti abbandonano”.

Ma nel girarmi verso destra, vidi che c’era nel corridoio il vano di una finestra. S’affacciava sulla grande grotta, per cui vi penetrava la luce dell’ingresso che noi avevamo varcato a nuoto. “Qui c’è traccia di intervento umano!”, gridai ai compagni, “Un vano di finestra! Venite a vedere!”.

Il notaio si avvicinò in fretta e s’rrampicò con sollecitudine sulla rupe, seguito dal mio amico tedesco. “Davvero c’è un vano di finestra!” gridò Don Pagano. “Questo è il corridoio di Tiberio. Mi ci gioco la testa!”

Dalla finestra ora la grotta appariva nella sua piena magnificenza: un massiccio e profondo bacino, al quale facevano da volta alte e belle rocce adorne di stalattiti; e l’acqua era un cielo ondeggiante, la cui luce azzurra rischiarava quella volta con magnifici riflessi. (Fine P. 7Continua)
 
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