“Figliadorrè”: nell’ultimo affascinante disco di Terrae l’epopea d’una brigantessa sullo scorcio finale del regno borbonico

TERRAE-VERTERECORDS_Figliadorrè (copertina HD)

La copertina del CD Figliadorrè – Cover image: Nicola Amato

di Enzo Garofalo

Fra Lucania e Puglia si inseguono, potenti e suggestive, le immagini di Figliadorrè (Sorriso Edizioni Musicali) ultima fatica discografica del gruppo Terrae, multiforme connubio di talenti capaci di spaziare con estrema versatilità dalla musica al teatro alla letteratura e di combinare questi generi con risultati sempre di grande spessore. L’immaginaria epopea di una brigantessa – figura per nulla inventata di un Sud di trincea al tramonto di un’epoca piena di contraddizioni come quella borbonica – riempie le pagine di un disco che fra testi di grande efficacia visionaria ed arrangiamenti fedeli alla consueta raffinatezza musicale del gruppo Terrae, riesce a catturare l’ascoltatore con la stessa forza seduttiva di un romanzo.

Appena edito, questo concept-album, i cui 14 brani sono collegati da un unico filo conduttore che passa per le vicende ora intime ora plateali della protagonista, si profila come un piccolo spaccato di un’epoca oggi al centro del dibattito storico e socio-economico sul Sud Italia, ennesima pagina di una Questione Meridionale mai del tutto risolta. Sfondo del racconto, che si dipana per brevi quadri vibranti di emozioni veicolate dal vigore letterario dei testi dello scrittore e regista teatrale Stefano Di Lauro, è il Sud dell’Unificazione italiana, teatro dello scontro tra Borboni e Savoia. Su questo scenario si sviluppa la biografia immaginaria di una giovane popolana altera e determinata dal soprannome di Figliadorré (figlia del Re). Costei per vendicare il suo uomo e tener fede alla causa borbonica, non esita a imbracciare le armi e a diventare una temuta brigantessa. Figliadorrè, come Michelina, Arcangela, Giovannella, Generosa, Giocondina e altre brigantesse di cui rimane traccia nelle cronache locali del tempo, è una di quelle figure che hanno fatto una scelta di vita fuori dalle regole in risposta all’avanzata dell’invasore nordico. Una sorta di resistenza armata contro un nuovo regime politico imposto dall’esterno. Questa è almeno la tesi fatta propria dagli autori del disco che rispecchia recenti (ma non del tutto nuovi) orientamenti storiografici e giornalistici volti a rivalutare alcuni aspetti del Sud borbonico attraverso una rilettura delle fonti non condizionata dallo sguardo ‘interessato’ dei vincitori.

Come spiega Paolo Mastronardi, chitarrista e arrangiatore di questo lavoro insieme a Stefano Di Lauro, l’idea di questo progetto discografico “risale a quasi vent’anni fa, quando i testi sono stati scritti traendo spunto da una fondamentale opera sul brigantaggio scritta da Antonio Lucarelli. Nel libro, il celebre storico e meridionalista acquavivese, già oltre 70 anni fa, considerava il fenomeno del brigantaggio non come una mera forma di banditismo più o meno organizzato, ma piuttosto come l’inevitabile risposta alla colonizzazione “manu militari” subita dal Regno delle Due Sicilie. Una vera e propria guerra di resistenza, con migliaia di vittime in entrambi gli schieramenti, nella quale le donne giocarono un ruolo fondamentale, sia come fedeli gregarie che come spietate capobanda.” Insomma Terrae ha voluto celebrare il proprio ventennale con un lavoro che fa propria – aggiunge Mastronardi – “quella voglia, fattasi prepotente da qualche anno in qua, di approfondire e di ristabilire la verità storica sul Meridione d’Italia“, come dimostra, ad esempio, il grande successo di un libro come “Terroni” del giornalista pugliese Pino Aprile, che ha condiviso il progetto di Terrae scrivendo la prefazione del disco.

Una tesi, quella sposata da Terrae, su cui – a mio avviso – la discussione è e rimarrà ancora aperta, considerato che accanto a fonti che effettivamente offrono il destro alla revisione di pagine apparentemente consolidate della storia del Sud Italia, ce ne sono altre – non necessariamente sospettabili di parzialità filopiemontese – dalle quali emergono aspetti tutt’altro che rosei della politica borbonica nelle nostre terre, delle quali non si può non tener conto per pervenire ad uno sguardo realmente e totalmente obiettivo. Come al solito la verità non sta mai del tutto da una sola parte. Rimane in ogni caso la validità di un dibattito quanto mai utile in vicende la cui ricostruzione è ancora troppo piena di “zone grigie” e soprattutto di inveterati pregiudizi.

Al di là delle chiavi di lettura storica, c’è in questo disco l’estrema suggestione di un tessuto sonoro che ha nell’intreccio stilistico, nella sapiente commistione di materiali popolari e “colti” uno dei suoi grandi punti di forza. Curatissimo nel lavoro di scrittura ritmica, melodica e armonica, prende le mosse da forme tradizionali quali la tarantella, la marcia, la tammurriata, la ballata, la villanella, di cui rielabora i modelli in una chiave assolutamente originale ed appetibile per un pubblico contemporaneo, dimostrando di saper evocare nell’immaginario dell’ascoltatore le atmosfere di un’epoca senza ricalcarne pedissequamente i modelli musicali, scelta che in Italia ha il suo più alto esempio in un autore come Nino Rota. In fase di arrangiamento – come sottolinea Mastronardi – per la prima volta, ai tanti strumenti acustici di ogni genere “sono stati sovrapposti anche alcuni suoni virtuali, in modo da arricchire ed irrobustire il sound complessivo”. Legame con una tradizione musicale vocata al tema del brigantaggio è invece il cameo conclusivo di Eugenio Bennato con i celebri versi di “Brigante se more”, un testo autografo del noto cantautore napoletano per anni creduto un brano originale della tradizione popolare partenopea, a testimonianza della sua capacità di cogliere l’essenza di un linguaggio.

La qualità di questo disco si deve ad un affiatatissimo lavoro d’equipe che vede come sempre in prima linea la voce ‘storica’ di Rocco Capri Chiumarulo, affiancata da quella di Loredana Savino, mentre per la parte strumentale un’altra costante presenza è la chitarra di Paolo Mastronardi, che insieme ai flauti di Nico Berardi e alla fisarmonica di Giuseppe Volpe ha in questo lavoro davvero un ruolo di primissimo piano. Di grande rilievo anche il contributo di Pippo D’Ambrosio per gli arrangiamenti ritmici e le percussioni e il contrabbasso di Salvatore Ancora. Fra gli ospiti, il pianoforte di Massimo Carrieri, gli strumenti virtuali di Tommy Cavalieri, la tromba di Giorgio Distante, il tamburello di Vincenzo Gagliani, il clarinetto di Gentiam Haxhiademi e altri strumenti (organetto, Rhodes, glockenspiel) di Alessandro Pipino.

Il progetto Figliadorrè, settimo CD nell’ambito di un percorso artistico nato nel 1993, è stato realizzato da Terrae in co-produzione con la Verterecords, nuova label della Sorriso Edizioni Musicali, che intende caratterizzarsi per l’elevata qualità e la grande cura dei contenuti. La distribuzione è invece stata affidata alla Ducale, prestigiosa società nel cui catalogo compaiono etichette del calibro di ECM e Harmonia Mundi. Ricordo infine che parte dei ricavati del disco andranno a sostegno di Emergency, motivo in più per acquistarlo.

 

 

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