La Grotta Azzurra di Capri, 1826. Nascita di un Mito raccontata dalla viva voce dello scopritore – Nona parte

Ivan Konstantinovi-ì Ajvazovskij, La grotta Azzurra (1841)

Ivan Konstantinovič Ajvazovskij, La Grotta Azzurra, 1841

Isola di Capri. Estate 1826. Nella ottava puntata del racconto sulla scoperta della Grotta Azzurra di Capri, ai primi protagonisti del racconto si aggrega anche il proprietario del fondo di cui la grotta fa parte. Incuriosito e spaventato al tempo stesso, l’uomo decide di seguire gli altri nella esplorazione dell’antro, operazione che procede con relativa tranquillità, almeno fino a quando il gruppo non rimane al buio per aver esaurito l’olio della lanterna. Ricordiamo ai nostri lettori che il racconto è in versione integrale, nella traduzione dal tedesco a cura di Ingrid F. Stern. Qui di seguito, la IXa Parte.

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Antonino Leto, Marina Piccola, Capri, 1887

La scoperta della Grotta Azzurra a Capri | Entdeckung der Blauen Grotte auf der Insel Capri – Nona parte

di August Kopisch (leggi Prima parte; Seconda parte; Terza parte; Quarta parte; Quinta parte; Sesta parte; Settima parte; Ottava parte)

Ci ritrovammo in una impenetrabile oscurità, smarriti e disorientati, poiché in quelle fitte tenebre non potevamo più rintracciare, fra le parecchie altre pietre che avevamo intorno, quelle da me poste come segno. “Dobbiamo morire qui di fame!” furono le prime parole del mio amico. “Ora siamo qui e non usciremo mai più!”

I capresi tremavano dallo sconforto, come presi da un gran freddo, e mormoravano preghiere rivolte a tutti i santi. Io, che mi attribuivo la colpa di ogni guaio, dovetti raccogliere tutte le mie forze per non perdere il senno. “Non ci resta che confidare in Dio!” esclamai. “Uno deve restare fermo qui in una direzione qualsiasi, e noi altri quattro dobbiamo andare a cercare l’uscita a tentoni, per quanto sia possibile; ci terremo in collegamento con reciprochi richiami e, orientandoci sempre verso quello che è rimasto fermo, finiremo col raggiungere l’obiettivo”.

Il mio amico tedesco non trovò insensata la proposta e mi stava appunto aiutando a persuadere i capresi di metterla in pratica, quando attraverso l’oscurità ci giunse un grido pauroso, simile all’ululato di una belva. Involontariamente ci stringemmo l’uno all’altro. Il grido si ripeté.

“Sia ringraziato Dio, è la voce di Angelo!”, esclamò Michele l’asinaio. “La grotta la fa risuonare così spaventosamente. E’ Angelo e sta chiamando il mio nome, ‘Michele’!”

“Veramente è un angelo”, esclamai, “egli non è lontano, ora possiamo considerarci già fuori!”

Cautamente, ora chiamando, ora ascoltando, ci dirigemo in lunga fila verso quel suono, e il primo non aveva ancora  fatto cinquanta passi che gridò: “Vedo un barlume, l’abbiamo spuntata.

“L’abbiamo spuntata!” gridammo vicendevolmente; e poco dopo anche l’ultimo di noi vide nuovamente il vano della finestra che era nel corridoio. Dopo la spaventosa oscurità, la meraviglia di quello specchio d’acqua azzurra ci apparve doppiamente incredibile e salutammo tutti il buon Angelo con dei festanti “Evviva!”. Egli si cullava sempre nella sua tinozza, ma il fuoco era spento. Poichè noi tardavamo tanto a tornare, aveva pensato che ci fosse capitata qualche disgrazia e, impaurito un po’ per se stesso, un po’ per noi, aveva gridato così spaventosamente.

Ci precipitammo tutti insieme, con gran piacere, in quel cielo sotterraneo. Adesso risultava un po’ più mosso per l’aumentare del vento fresco, per cui Angelo ci esortò a lasciare la grotta. “Se volete fare il giro dell’isola dobbiamo affrettarci”, disse.

Arrampicatici nuovamente a quella riva sotterranea, mettemmo le cartelle e le sedie da campo nella tinozza che portava il fuoco, poi tornammo a tuffarci in quel bell’elemento e ne uscimmo conservandone l’incanto, senza aver ancora compreso la meraviglia dei suoi colori, ma, da parte mia, avevo il fermo proposito di indagarla fino in fondo un’altra volta.

I capresi si credevano ora degli eroi e guardavano con orgoglio l’ingresso della grotta.

“Ne siamo venuti fuori! Sant’Antonio ci ha protetti!”. “La gente di Capri rimarrà a bocca aperta!” disse l’asinaio. Poi mise le tinozze nella barca più piccola e vi salì a bordo insieme al giovane Pagano: il vecchio era andato a Capri in un’altra con un pescatore. Noi salimmo con Angelo nella più grande. “Remate voi da solo?”, gli domandai. “State tranquillo”, rispose Angelo, “consideratemi come se fossimo in due.” Ciò detto, afferrò i due remi, li fissò ai pioli e dalla piccola baia, virando a sinistra, ci portò intorno alla parte nord-occidentale dell’isola. (Fine P. 9Continua)
 
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