Franco Arminio: Sud, paesologia e ipocondria

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Il poeta e scrittore campano Franco Arminio – Ph. Enrico Minasso – FdS: courtesy dell’Autore

di Tiziana Carlino

Non un assalto contro il confine, ma letteratura come passaggio di quel confine: «Fare paesologia – scrive Franco Arminio* – significa non rimanere con lo sguardo sulle porte. Trovato un confine ne attraversi subito un altro». Un attraversamento fatto di parole che, al di là degli usci, consegnano al lettore un luogo che è corpo anche poetico e narrativo, vivo, vibrante e carnale: una terrascritta. Il Sud di Franco Armino risuona nel vuoto e nell’abbandono, nell’estetica alternativa dei paesi meridiani quasi spopolati, dimenticati e, tuttavia, amati – forse fin troppo amati (come in un perverso gioco erotico in cui si ama il proprio aguzzino): «Il paese della cicuta è un paese dove dio, la morte e la poesia si danno convegno perché altrove non li vuole nessuno. Stanno qui, ospiti clandestini della piazza: alberi, lampioni e panchine a cui nessuno fa più caso».

Una sorgente poetica interiore ha inglobato l’esterno, si è nutrita di luoghi: Bisaccia, prima di tutto, il paese in provincia di Avellino in cui Arminio è nato e in cui vive; e poi l’Irpinia d’Oriente, che accoglie Bisaccia, dove «il sottosuolo cammina, è fatto di argille sciolte, tegole informi che navigano in una cupa deriva geologica. Dunque essere qui vuol dire essere in bilico». Altri paesi, che non appartengono per vissuto diretto a Arminio, ma che sono iscritti comunque nel cerchio magico della desolazione, hanno contribuito a regalargli una nuova scienza poetica (e anche un po’ politica, secondo noi): la paesologia. Che cosa fa un paesologo? Molto banalmente, potremmo dire che il paesologo studia i paesi. Ma come? «Il paesologo – scrive Arminio – si occupa di una realtà in estinzione. Questo processo di estinzione ha molte forme, per cui il paesologo, in realtà, studia le diverse forme che vanno prendendo i paesi: essi sono come i fiocchi di neve, non ce ne sono due uguali. Fate come me, andate nei paesi, ma non per la gita della domenica. Andate a studiarli cosi come sono adesso. Non andateci per vedere una pietra o gustare un prodotto locale o sentirne la parlata». Non andateci, potremmo aggiungere, per incantarvi di fronte alla bellezza di un borgo antico: la paesologia non è disciplina del puro idillio. Arminio riserva al suo e agli altri paesi uno sguardo impregnato d’amarezza e di verbosa rassegnazione: «Il paese vuole che i suoi abitanti siano militanti dello scoraggiamento, col grembiule del rancore addosso» e ancora: «L’irpinia è una monarchia e il suo re è lo scoraggiatore militante».

Tutto «può essere materiale inutile o prezioso» per l’infaticabile esploratore/osservatore di realtà diverse dalla propria. Persino nella tentacolare conurbazione che dalla periferia Nord di Napoli giunge sino a Caserta (e oltre) Arminio rinviene materiale lirico palpitante e inaspettato. Quella «selva/di paesi giganti/che insieme fanno ottocentomila abitanti» diventa protagonista di un reportage in versi pubblicato sul Corriere della Sera: L’impero romano alla rovescia. La ‘terra dei fuochi’ si dispiega al lettore in una sequenza ininterrotta di luoghi a cui Arminio guarda con manifesta clemenza: «Ecco Castelvolturno/qui l’Occidente si è carbonizzato/aria africana, insegne/smisurate, la parola caseificio/come un mantra».

Persino il rapporto del poeta con i generi letterari si agita pericolosamente su un confine che rifugge le etichette, le definizioni stabili, le notizie confortanti. E rigetta, anche la modernità letteraria, per preferire qualcosa che le è succeduto, che è venuto dopo e che è post-moderno nel senso cronologico e quasi postumo in quello poetico: «fin quando siamo vivi è solo questione di orlo, di bordo, di confine». Il confine ritorna come metafora di un discorso esistenziale: «Il mio confine tra salute e malattia: l’ipocondria. Pure l’ansia è un confine». Grazie alla poesia, Arminio non resta con lo sguardo sulla porta della sua ipocondria dolente e invasiva. Compone un’opera breve ed epigrammatica: Cartoline dai morti. In questa Spoon River appenninica il poeta esorcizza, con ironia, quel suo sacro terrore della fine: «Il giorno dell’apertura della caccia qualcuno mi ha scambiato per una quaglia» e ancora: «Sono morto alle sette del mattino. Un modo come un altro per cominiciare la giornata».

È stato Rocco Papaleo l’interprete perfetto di Cartoline dai morti, recitate durante il festival dall’affascinante titolo “La luna e i calanchi” che, ogni anno ad Aliano, accoglie le azioni e i parlamenti paesologici. Le singole parti del programma recano titoli lirici: i pasti divengono, ad esempio, ‘cerimonie dei sensi’. E il confine vi ritorna – incessante: Aliano è stato il luogo del confino fisico di Carlo Levi; Aliano è l’emblema del paesaggio ‘inoperoso’. «Il mondo – sostiene Arminio –  si è fatto piccolo. Trovare un angolo di silenzio è raro, trovare un angolo non battuto da turisti, da venditori di merci o di paesaggi. Aliano e i suoi calanchi sono un miracolo e sono un miracolo molti posti della Lucania».

La scrittura militante di Arminio si auspica altri miracoli, che potrebbero piacere a chi scrive. Noi meridionali diasporici, alla domanda: «Di dove sei?», in genere rispondiamo: «della provincia di…». Di un paese, cioè, minuscolo, sconosciuto ai più, che magari potrebbe anche non esistere o smettere di esistere. Ed è proprio questo il punto della riflessione politico/ paesologica: «I paesi non devono vivere per forza. Alcuni possono vivere e altri possono morire. I ragazzi non devono per forza rimanere nei loro paesi. Devono essere semplicemente messi in condizione di scegliere tra qui e un altrove».

Il tempo della scelta è lungo, il percorso tortuoso. Nel frattempo, si possono ricordare le parole con cui Arminio sigilla il passaporto per il festival di Aliano, per gli ambasciatori della luna nei calanchi: «C’è ancora una serietà in quei luoghi che può essere attraversata dal gioco, dalla fantasia. L’ambasciata della luna protegge i vostri deliri, i vostri incanti».

*Franco Arminio è nato a Bisaccia (Avellino) nel 1960. È poeta, scrittore e maestro elementare. Ha pubblicato numerosi libri tra cui Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza), Cartoline dai morti (Nottetempo), Terracarne (Mondadori), Geografia commossa dell’Italia interna (Bruno Mondadori), La punta del cuore (Mephite). Sempre attivissimo sul web, Arminio ha fondato il blog della paesologia: “Comunità provvisorie”. Collabora con “Il Manifesto” e “Il Fatto Quotidiano”.

© Tiziana Carlino | FdS: courtesy dell’Autrice

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