di Redazione FdS
A distanza di 40 anni dalla loro vendita illecita per tre milioni di marchi all’Altes Museum di Berlino si apprestano a tornare in Italia, insieme ad altri 4 reperti (tra cui un frammento di affresco proveniente da una villa di Boscoreale), i 21 vasi apuli di squisita fattura risalenti al IV sec. a.C., trafugati in Puglia e infine approdati in Germania, previo passaggio in Svizzera come da consolidato copione. La notizia, giunta negli ultimi giorni, riaccende i riflettori su una vicenda di cui ci siamo occupati nel 2022 in concomitanza con l’iniziativa giudiziaria di ben due procure volta ad ottenere la confisca dei reperti. Per la loro identificazione nel museo tedesco cruciale è stato il contributo degli archeologi forensi Maurizio Pellegrini e Daniela Rizzo che già anni prima avevano riscontrato la corrispondenza esistente tra i vasi esposti nel museo e alcuni di quelli, raffigurati in frammenti, in una serie di Polaroid sequestrate nel 1995 nel deposito di un noto antiquario romano presso il Porto Franco di Ginevra. Da quella brillante operazione condotta dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale in collaborazione con la Polizia svizzera, sotto la guida del compianto magistrato romano Paolo Giorgio Ferri, era scaturito un duro colpo al traffico illecito internazionale di reperti archeologici e l’avvio di una serie di restituzioni all’Italia di beni culturali da parte di musei esteri, tra cui quella degli ormai celebri marmi di Ascoli Satriano (Foggia), a lungo detenuti dal Getty Museum di Los Angeles; a questi ultimi reperti, secondo Pellegrino e Rizzo, sarebbero da collegarsi i vasi ritrovati in Germania in quanto ci sarebbero motivi per ritenere che questi siano provenienti dallo stesso contesto funerario pugliese, come più dettagliatamente riportato nel nostro articolo del 2022.
Di fronte alle numerose prove sulla loro provenienza illecita presentate dalle autorità italiane, gli attuali detentori hanno dunque accettato l’idea di doverli restituire; si è trattato di una decisione adottata sulla base di un accordo che il Ministro della Cultura italiano, Gennaro Sangiuliano, ha siglato con la Fondazione per l’Eredità Culturale della Prussia (SPK) presieduta da Hermann Parzinger, ente proprietario dei reperti esposti nella sezione “Antichità Classiche” del museo berlinese. L’accordo è stato firmato alla presenza della Ministra tedesca della Cultura Claudia Roth nel corso di una cerimonia ospitata dall’Ambasciatore Armando Varricchio presso l’Ambasciata d’Italia. La restituzione riflette la attuale posizione dei musei statali berlinesi in relazione alle antichità, per cui le collezioni archeologiche si impegnano a gestire in modo trasparente i propri beni e a esaminare criticamente la loro provenienza, criteri in realtà niente affatto seguiti nel 1984 quando il museo acquistò i reperti oggi oggetto di restituzione.
La ministra Roth, in virtù di questo nuovo corso, ha tenuto a sottolineare come “questa restituzione sia un altro esempio dell’efficacia della tutela dei beni culturali in Germania e in Europa. Inoltre, la restituzione dimostra cosa significhi concretamente la protezione dei beni culturali: si tratta di proteggere i beni che formano l’identità da saccheggi e rapine, furti, contrabbando e commercio illegale. Una stretta cooperazione a livello europeo e internazionale è particolarmente importante a questo proposito. La cooperazione tra Germania e Italia è un esempio lampante in questo campo”. Da quanto emerso in ordine all’accordo firmato in Germania, all’ente tedesco detentore dei reperti non è però bastato constatarne la provenienza illecita per ammettere di doverli restituire, ma ha chiesto e ottenuto dal nostro Paese l’impegno ufficiale a concedere prestiti a lungo termine di reperti del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) e dei parchi archeologici di Paestum e Velia, prestiti che il Ministro Sangiuliano ha diplomaticamente giustificato alla luce di “una consolidata tradizione di dialogo culturale tra Italia e Germania, che affonda le sue radici in un passato di scambi e di lunghe esperienze artistiche e letterarie attraverso le quali le due nazioni hanno costruito un’identità comune.”
Molto più prosaicamente Andreas Scholl, direttore della Collezione di Antichità Classiche, ha spiegato come i vasi pugliesi siano stati “per anni un punto di forza” del museo berlinese, aggiungendo che “saranno sostituiti da prestiti a lungo termine provenienti da diversi musei italiani” e che in stretta consultazione con i colleghi italiani, sono stati selezionati “oggetti che in precedenza non erano rappresentati nelle collezioni o erano fortemente sottorappresentati.” In particolare, tra le altre opere, andranno a Berlino, rimanendovi in esposizione per 4 anni (prestito rinnovabile una volta), due lastre dipinte provenienti da tombe lucane e raffiguranti guerrieri e armi protettive in bronzo – armatura ed elmo – del IV secolo a.C. Gli oggetti illustrano gli intensi contatti, spesso bellicosi, tra i Greci e le popolazioni indigene italiche nel sud della Penisola appenninica in quel periodo; un genere di dipinti che non è affatto rappresentato nel patrimonio della Collezione di antichità classiche di Berlino e che quindi va ad arricchire, sia pure temporaneamente, in modo eccezionale il suo patrimonio.
Intanto i 25 reperti in restituzione, tra cui gli splendidi 21 vasi apuli, dovrebbero rientrare in Italia al massimo nell’arco dei prossimi tre mesi per poi essere esposti in una mostra-evento. Nulla al momento è dato sapere in merito alla loro destinazione finale, anche se logica e ragioni storiche vorrebbero che – come già avvenuto in altri casi – i reperti raggiungessero il territorio da cui sono stati abusivamente asportati, territorio che nel caso di specie è la Puglia e – più precisamente, alla luce delle deduzioni esposte dagli archeologi Pellegrini e Rizzo – il territorio della provincia foggiana.
LA COLLEZIONE DEI 21 VASI APULI
I vasi apuli in imminente arrivo dalla Germania sono di molteplice tipologia tra crateri, anfore, skyphoi e piatti. Modellati in argilla, sono realizzati con la tecnica della pittura a figure rosse, sviluppatasi alla fine del VI secolo a.C. e inizialmente praticata soprattutto ad Atene. Nell’Italia meridionale, e in particolare nell’attuale Puglia, furono ampiamente prodotti da artigiani attici immigrati a partire dal V secolo. Nei secoli successivi, nel Golfo di Taranto si sviluppò uno stile unico e vennero prodotti vasi sempre più sofisticati. Solitamente accoppiati tra loro, sono decorati con ricche scene della mitologia greca e raffigurazioni di tombe. I vasi erano utilizzati come puro arredo funebre e spesso erano collocati in tombe ricche insieme ad altre ceramiche locali. Nel caso dei manufatti del complesso di Berlino, si ritiene che la necropoli di provenienza si trovasse nel nord della Puglia, dove si era insediato il popolo dei Dauni. I vasi sono databili intorno al 340 a.C. e possono essere attribuiti a specifiche botteghe in cui lavoravano alcuni dei più importanti artisti del mondo greco dell’epoca. Le ricerche archeologiche attribuiscono a uno di essi il nome di Pittore di Dario, del quale alcuni importanti manufatti sono presenti nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
I 21 vasi furono acquistati nel 1984 dall’Antikenmuseum der Staatlichen Museen Preußischer Kulturbesitz da un mercante d’arte basilese e, al momento dell’acquisto, si disse che la collezione fosse appartenuta in precedenza a una certa famiglia Cramer di Ginevra, che li avrebbe posseduti fin dal 1889. Un esperto aveva inoltre dichiarato di conoscere gli oggetti già dal 1972. Tali dichiarazioni furono a posteriori più volte passate al vaglio degli esperti che le contestarono ritenendole pretestuose. Oggi la SPK è giunta alla conclusione, anche alla luce dei dati presentati dalle autorità italiane, che i vasi apuli provengono da scavi illegali. In Italia i primi dubbi sulla loro provenienza furono sollevati già alla fine degli anni ’90, dubbi ai quali seguirono indagini pluriennali. La SPK ha infine deciso di restituire gli oggetti all’Italia proprio sulla base dei numerosi elementi acquisiti grazie a quelle lunghe indagini.
Come scrivemmo già nel 2022, nel caso di quattro crateri a volute, esistono prove evidenti che provengono da scavi abusivi. Le foto polaroid di questi quattro crateri sono state ritrovate nell’ufficio ginevrino del già menzionato mercante d’arte romano, e in esse i reperti sono visibili in uno stato frammentario, pre-restauro. Le foto sono state probabilmente scattate dopo il 1972 ed è ormai noto che il mercante in questione commerciava ampiamente in manufatti culturali provenienti da aree archeologiche saccheggiate. Anche per i restanti 17 manufatti si è ipotizzata la provenienza da scavi illegali poiché probabilmente derivanti dallo stesso contesto di sepoltura dei primi quattro. Non sono mancati dubbi al riguardo, ma le somiglianze cronologiche, iconografiche e stilistiche, così come ulteriori scoperte di ricchissimi corredi funerari, sembrano deporre a favore di questa ipotesi. Circa le ipotesi sul luogo concreto di provenienza si oscilla tra Arpi, Herdonia e Ascoli Satriano, tutte località del foggiano.
GLI ALTRI 4 REPERTI
Skyphos attico, inv. n. 1970.9
Il vaso frammentario fu acquistato nel 1970 da un mercante d’arte ginevrino che notoriamente apparteneva alla cerchia di alcuni dei più potenti mercanti d’arte e ricettatori che trattavano oggetti trafugati piazzandoli a livello internazionale. Nella corrispondenza sequestrata dagli inquirenti c’è una dichiarazione che, con le conoscenze odierne, può essere interpretata come un riferimento a manufatti provenienti da saccheggi. Lo Skyphos è stato anche oggetto di un’indagine dei Carabinieri italiani in relazione a un procedimento svoltosi a carico di alcuni imputati eccellenti. Tuttavia, non era mai stata avanzata prima una richiesta di restituzione all’Italia.
Kylix attica, inv. n. 1980.7
La kylix (ciotola) fu acquistata nel 1980 da un noto mercante d’arte inglese, anch’egli appartenente alla rete dei grandi trafficanti. Durante l’indagine contro un suo noto collega italiano, una foto del vaso è stata confiscata insieme ad altre foto e antichità da costui possedute a Ginevra, in una stanza che utilizzava per depositare manufatti esportati illegalmente. Le foto mostravano oggetti appena scavati che non erano stati ancora puliti o restaurati. Dato che una foto della kylix compariva tra queste, c’è un’altissima probabilità che il reperto provenga da uno scavo illegale in Italia. Anche in questo caso, però, non c’era mai stata in precedenza una richiesta di restituzione da parte dell’Italia a Berlino.
Cratere a campana lucano, inv. n. 1993.243
Il vaso fu acquistato come dono dalla Collezione Brommer nel 1993. Frank Brommer era un professore di archeologia classica a Magonza ed aveva fatto diverse donazioni alla Collezione di antichità classiche di Berlino. Nelle sue note di studio risultano elencate, tra l’altro, le precedenti provenienze degli oggetti. Egli acquistò il cratere a campana da un commerciante svizzero nell’estate del 1980. Tuttavia, questo vaso è anche uno degli oggetti legati a uno dei grandi trafficanti italiani finiti nelle maglie della giustizia per cui è stato oggetto di un’indagine delle autorità italiane. Anche in questo caso esiste una fotografia di questo vaso non restaurato, confiscata nel più volte menzionato deposito di oggetti scavati illegalmente individuato a Ginevra; elemento che fa pensare a una sua provenienza da scavo abusivo.
Tondo con raffigurazione di Venere e Cupido, Inv. n. 2012.2
Il frammento di una pittura parietale romana del cosiddetto Quarto Stile Pompeiano proveniente da Boscoreale, vicino a Pompei, fu donato alla Collezione di Antichità Classiche nel 2008. Si presunse che fosse di proprietà di una famiglia tedesca da molto tempo. Nel caso però di questo reperto per la SPK, il prerequisito per l’accettazione della donazione fu che venisse coinvolto lo Stato italiano, in quanto un furto presso l’Antiquario Comunale di Pompei negli anni ’50 sembrava probabilmente collegato al reperto. Il Ministero della Cultura italiano suggerì di accettare la donazione e di avviare le misure per la restituzione all’Italia. Nel luglio 2012 fu così stipulato un accordo di donazione contenente una clausola che autorizzava la restituzione all’Italia. Nel frattempo ci furono delle indagini in Italia, ma alla fine il nostro Paese non approfondì più di tanto la questione. La SPK ha quindi deciso di concludere il procedimento con il recente accordo di restituzione.
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