La Grotta Azzurra di Capri, 1826. Nascita di un Mito raccontata dalla viva voce dello scopritore – Prima parte

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Heinrich Jakob Fried – Die blaue Grotte von Capri,1835

Il dipinto che vedete in alto è di appena nove anni successivo alla scoperta della Grotta Azzurra di Capri, uno dei luoghi più celebri del mondo, meta di oltre 270 mila visitatori paganti ogni anno, terzo sito della Campania più visitato dopo Pompei e la Reggia di Caserta. Dietro la fama così grande di un luogo la cui ‘scoperta’ da parte dell’Europa e del mondo risale ormai a ben 187 anni fa, c’è una storia che merita di essere raccontata. Non siamo certo i primi a farlo: migliaia di pubblicazioni sulla storia di Capri e sui suoi protagonisti hanno sintetizzato le circostanze curiose e in parte avventurose di quella scoperta, ma siamo forse i primi a lasciarcela raccontare – sulle pagine di un magazine –  dalla voce del suo principale protagonista, August Kopisch, pittore e poeta prussiano formatosi alle accademie di belle arti di Praga e Vienna, il quale dopo  un incidente alla mano destra che gli rese impossibile proseguire la sua arte, si trasferì  in Italia dove, fra Roma e Napoli, fece studi archeologici e scoperte paesaggistiche, la più famosa delle quali rimane appunto quella della Grotta Azzurra di Capri (su cui scrisse il volumetto Entdeckung der Blauen Grotte auf der Insel Capri, pubblicato postumo nel 1903).

Correva l’anno 1826, l’ Europa era in piena temperie romantica e nell’arte e nella letteratura dominava il mito di una natura che è riflesso dello stato d’animo del poeta e anche “spazio” misterioso dove egli incontra il divino. Quale altro luogo avrebbe potuto quindi far vibrare gli animi più di una grotta marina in odore di luogo ‘maledetto’ ma in cui il sole gioca con l’acqua a creare fantasmagorici effetti di luce? Nessun altro…almeno in quel tempo; e lo dimostra il lungo pellegrinaggio che da allora gli adoratori della natura bizzarra e misteriosa hanno intrapreso verso la piccola e splendida isola azzurra del Tirreno. Kopisch, allora ventisettenne, non era solo; con lui c’era il giovane pittore tedesco Ernst Fries, che di anni ne aveva appena venticinque (i soliti maligni sussurrano che fra i due corresse qualcosa in più di una semplice amicizia). Intorno a loro tutta una schiera di personaggi locali, protagonisti anch’essi di quella che sarebbe più giusto definire una ‘riscoperta’ visto che la grotta era già nota ai pescatori capresi che la consideravano luogo da cui tenersi alla larga perchè infestato dagli spiriti. In realtà già gli imperatori romani che secoli prima frequentarono l’isola ne erano a conoscenza, come del resto dimostrano i resti archeologici scoperti nel fondale marino; fra costoro, in particolare Tiberio, dicono le leggende,  la usava come piscina privata e luogo di lascive pratiche erotiche, collegata com’era alla sua villa sovrastante.

Ma torniamo ad August Kopisch e al suo racconto, che comincia dal suo arrivo sull’isola dove prese soggiorno con l’amico presso il mitico Albergo Pagano (oggi La Palma), ossia la casa di Giuseppe Pagano, un notaio che amava ospitare i viaggiatori per il gusto di intrattenere con loro lunghe conversazioni. Molti di questi erano poeti, scrittori, architetti, pittori, musicisti che in segno di riconoscenza decoravano le pareti, scrivevano poesie, o cantavano e suonavano in quello che presto divenne noto come “l’albergo degli artisti”. La prima edizione italiana del libro di Kopisch risale al 1930 (ed. Detken e Rocholl, Napoli); la versione che qui vi presentiamo a puntate è stata curata da Ingrid F. Stern, amica di FDS e, come tutti i tedeschi che amano la cultura, perdutamente innamorata dell’Italia, e del Sud in particolare, dove vive da anni.

La scoperta della Grotta Azzurra a Capri |  Entdeckung der Blauen Grotte auf der Insel Capri – Prima parte

di August Kopisch

Era l’estate del 1826 quando io e il mio amico Ernst Fries sbarcammo nella bella insenatura della marina settentrionale di Capri. Saltammo sulla frusciante riva che già il sole declinava verso la lontana Ischia.

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August Kopisch |  Ernst Fries (autoritratti, 1830 ca.)

Capri era la prima isola su cui mettevo piede e non potrò mai scordarne l’impressione. Uno dei miei desideri più cari veniva esaudito; sentivo riecheggiare il mare intorno a quelle rupi dall’aspetto meraviglioso, che già da Napoli avevano magicamente incantato i miei pensieri: ogni onda, frangendosi, sembrava sussurrarmi cantando che io ero ero separato dal continente, su uno scoglio abitato da un popolo di poveri pescatori e contadini, dove lo scalpitare dei cavalli e il rumoreggiare delle carrozze erano sconosciuti.

Già da lontano l’isola con le sue rupi, le sue grotte e i suoi giardini sospesi, con i suoi antichi ruderi, i suoi nuovi paesi e le sue scale nella roccia, mi si era mostrata come un mondo particolare, pieno di meraviglie, avvolto da oscure e affascinanti leggende. Ora il mio tempo non avrebbe avuto limiti, avrei potuto esplorare quel mondo in tutti i suoi confini, e il solo pensiero mi rendeva indescrivibilmente felice.

Al nostro arrivo la spiaggia si affollò di gente dei due paesi [Capri e Anacapri – NdT], uomoni e ragazzi, donne e bambini, tali da far rivivere la memoria della bella e antica popolazione greca. Essi presero in consegna il carico della nave mercantile sulla quale eravamo arrivati anche noi e lo trasportarono agilmente in parte ad Anacapri, attraverso la scala scavata nella roccia, e in parte a Capri, tramite una più leggera salita.

Un ragazzo scattante afferrò il nostro piccolo bagaglio e noi seguimmo lentamente quel corteo verso Capri. Ci ritrovammo come sulla scena di un mastodontico teatro di rocce: sul davanti, una fila di bianche case dai tetti piatti; sopra, vigneti, che, di terrazzo in terrazzo, si espandevano in un sempre più ampio semicerchio, fin dove le pareti rocciose con il loro superbo svettare e la città sovrastante permettevano allo sguardo di spingersi. Il nostro sentiero zigzagava accanto a quei terrazzi. Notavamo i ripidi pendii coperti di cespugli di mirto e di alloro, ci imbattemmo in alberi di mastice e qualche palma. Gli uccelli volteggiavano sopra di noi, e dagli ulivi le cicale intonavano la loro monotona canzone.

La via era lunga, la sera dolce. Tutto quello che avevo letto di quell’isola si parava innanzi alla mia mente, confondendosi con la seduzione del presente. Se ci voltavamo a guardare indietro, vedevamo scintillare in lontananza l’incantevole Golfo di Napoli, Ischia, Procida e le Isole Pontine.

Osservando ammirati e spesso sostando, giungemmo infine a un varco dell’isola e per una porta fortificata entrammo nella piccola città di Capri, quasi orientaleggiante nei suoi edifici.

Il ragazzo che portava il nostro bagaglio, ci condusse poco oltre la Chiesa, nella bella e bianca locanda di don Giuseppe Pagano, dove in cambio di un modico compenso trovammo la più confortevole accoglienza.

Il nostro ospite, un simpatico ometto sui cinquant’anni, scala dopo scala, ci fece fare il giro della casa dalla bizzarra e pur gradevole costruzione; e non appena mi fermai davanti ad una piccola collezione di vecchi libri, mi disse di esserseli procurati a Napoli quando era studente, e si qualificò come il notaio del luogo.

Fui molto felice di trovare in lui una persona colta e numerosi libri nella sua biblioteca, italiani e latini, che in parte trattavano di Capri. Non appena s’accorse che avevo intenzione di conoscere meglio l’isola, subito e con gran piacere mi porse tutti quelli che potevano servirmi allo scopo, ripromettendosi di procurarmene degli altri il giorno dopo tramite alcuni amici.

Dopo che ci fummo ristorati con una bella cena, tutta la famiglia del notaio salì con noi sul tetto della casa, dove ci sedemmo a chiacchierare piacevolmente godendo della bella veduta dell’isola alla luce delle stelle.

Nella penombra di quella notte chiara, don Pagano ci segnalava ogni cosa che gli sembrasse degna di osservazione, narrandoci tutto ciò che conosceva in proposito: i nostri occhi si sforzavano di seguirlo in quella suggestiva oscurità, con una curiosità tanto più viva quanto meno riuscivamo a orientarci in quel buio. Con lui parlammo anche delle escursioni che avevamo in mente di fare via via, e ci proponemmo di rimanere in casa nelle calde ore pomeridiane a leggere l’Odissea: io volevo anche sfruttare il tempo a disposizione per leggere i libri citati prima, in modo da poter approfondire il più possibile la conoscenza dell’isola (Fine  P. 1 – Continua)

Sommer,_Giorgio_(1834-1914) -_Capri_-_Hotel_Pagano

Ph. Giorgio Sommer – L’Hotel Pagano, a Capri – fine ‘800

 

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