I fratelli Gaudio: due cosentini nella storia del Cinema

Tony ed Eugene Gaudio fotografati sul set

Tony ed Eugene Gaudio fotografati sul set dei film Experiment Perilous (1944) e Kitty Kelly M.D. (1919)

Primo italiano a vincere un Oscar nella storia del Cinema, Gaetano Antonio si aggiudicò anche altre 5 nomination agli Academy Awards, mentre Eugenio firmò nel 1916 la fotografia del primo lungometraggio con scene subacquee ed effetti speciali

di Enzo Garofalo

“Reminiscenze: me ne vengono in mente a migliaia. Ma non c’è spazio per tutto ciò che la memoria lascia riemergere dai suoi meandri. C’è quanto basta per dire che i bei vecchi tempi del cinema erano davvero così: colorati, pittoreschi, memorabili, un momento di preparazione per le glorie a venire. La mente li accarezza con affetto e poi li depone nei suoi recessi a dormire fino all’eternità”.
Tony Gaudio, 1933

Nel 2010 la Calabria si è improvvisamente ritrovata catapultata sulla scena cinematografica internazionale grazie al premio Oscar per la fotografia del celebre film Avatar vinto da Mauro Fiore, artista di grande talento nativo di Marzi, piccolo centro a breve distanza da Cosenza. Pochi però sanno che proprio un cosentino lo aveva preceduto di 73 anni (1937) vincendo l’Oscar nella stessa categoria per Avorio nero (Anthony Adverse), un film del 1936 di Mervyn LeRoy (futuro regista di Quo Vadis) basato sul romanzo omonimo di Hervey Allen; una pellicola ambientata in parte nella Livorno del ‘700 ricostruita negli studi di Hollywood. Parliamo di Gaetano Antonio Gaudio che col fratello minore Eugenio emigrò dalla Calabria negli USA nel 1906 ignaro del fatto che presto sarebbero entrati ambedue nella storia del Cinema, lui come grande direttore della fotografia e primo italiano premiato con un Oscar e suo fratello come direttore della fotografia del film muto 20,000 Leghe Sotto i Mari (1916) di Stuart Paton, primo lungometraggio tratta dal capolavoro letterario di Jules Verne del 1870 nonché primo lungometraggio subacqueo con effetti speciali della storia del cinema (v. film integrale di seguito).
 

 
Come apprendiamo da Raffaele Alimena, residente a Roma e loro pronipote tramite sua madre Clorinda Gaudio, Gaetano Antonio ed Eugenio – nati rispettivamente nel 1883 e nel 1886 da Francesco Gaudio e Marietta Severini – erano fratelli minori di Raffaele Gaudio, affermato fotografo professionista di Cosenza, il quale – come risulta da altre fonti – ebbe uno studio già dal 1856 (lo Stabilimento artistico fotografico “Regina Margherita”), fu presidente della Società Fotografica e ricevette l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia per meriti professionali. Gaetano Antonio e Eugenio frequentarono lo studio fin da bambini armeggiando con la carta fotografica anni prima dell’avvento del bromuro d’argento; infatti esercitavano il loro ingegno realizzando i loro primi ingrandimenti su carta all’albumina. C’è un curioso aneddotto riguardante il talento del piccolo Gaetano Antonio, riportato nel 1937 dal magazine American Cinematographer secondo il quale “all’esterno dell’edificio [in cui si trovava lo studio dei Gaudio – NdR] fu piazzato uno specchio di circa 70 cm. per 1,22 m. in modo da poter riflettere la luce solare nella fotocamera. Lo specchio era disposto su ingranaggi in modo che potesse essere circondato dal sole. Se lo specchio fosse rimasto fisso, l’immagine si sarebbe moltiplicata al movimento del sole. Per evitare questo disastro il bambino fece ruotare lo specchio per mantenere il sole fisso ‘sul punto'”. Ancora bambino Gaetano Antonio imparò a preparare da solo il bagno di sviluppo e le lastre al collodio, proseguendo nel suo apprendistato fotografico fino al suo ingresso in una scuola militare che frequentò fino al 1900. Entrambi i fratelli lavorarono per un periodo con Raffaele negli studi di Corso Telesio (esiste ancora l’insegna su un palazzo) e via Carmine (oggi via Sertorio Quattromani), sviluppando brevetti ma coltivando nel cuore il sogno del Cinema, nato con l’avvento del cinématographe, dispositivo inventato a Parigi dai fratelli Lumière appena 11 anni prima della loro partenza per gli Stati Uniti.
 

L'insegna della Stabilimento Fotografico Gaudio (a sin.), su C.so Telesio, e l'ingresso del palazzo che lo ospitava sulla piazzetta S. Giovanni dei Gerosolimitani - Ph. © Gianni Termine

L’insegna della Stabilimento Artistico Fotografico Gaudio (a sin.), su C.so Telesio, e l’ingresso del palazzo del primo Novecento che lo ospitava, sulla retrostante piazza S. Giovanni Gerosolimitano, Cosenza – Ph. © Gianni Termine | famedisud.it

Del resto Gaetano Antonio – formatosi anche presso l’Istituto d’Arte di Roma (esperienza a cui attribuiva il suo interesse per la fotocamera come mezzo artistico, piuttosto che come semplice strumento di “registrazione” della realtà) -, aveva già girato piccoli cortometraggi per produzioni italiane, come quelle della Ambrosio Film di Torino, e all’età di 19 anni aveva partecipato alla realizzazione di un corto, forse francese*, Napoleone attraversa le Alpi (segnalato nelle fonti americane col titolo Napoleon crossing the Alps), esperienza che aveva ancor più acuito la sua passione.
 

Il logo dello Stabilimento fotografico di Raffaele Gaudio a Cosenza

Il logo dello Stabilimento fotografico di Raffaele Gaudio a Cosenza | Famedisud.it

Arrivati a New York, i due fratelli iniziarono a lavorare per alcune agenzie fotografiche per poi approdare al mondo del cinema facendosi assumere da compagnie come A. L. Simpson, produttore di song slides, ovvero diapositive dipinte a mano e proiettate durante le esibizioni di cantanti e musicisti che negli intervalli tra i film intrattenevano il pubblico dei primi cinema americani; Vitagraph Studios, con cui Gaetano Antonio realizzò nel 1909 il suo primo film americano come autore della fotografia: Princess Nicotine; or, The Smoke Fairy, con la regia di James Stuart Blackton (v. video seguente): il corto, di appena 5 minuti, nel 2003 è stato incluso tra i 25 film aggiunti al Library of Congress National Film Registry in quanto “culturalmente, storicamente o esteticamente significativi” e, nel 2005, inserito nella raccolta DVD Treasures from American Film Archives: 50 Preserved Films. Questo corto è noto per i suoi pionieristici effetti speciali e per essere uno dei primi casi di product placement di tabacco (per la Sweet Caporal) nel cinema; fu lo stesso Gaudio ad occuparsi degli effetti speciali, ottenuti attraverso l’uso di specchi e lenti particolari per la macchina da presa che gli consentirono di raggiungere una notevole profondità di campo. Il film colpì molto il pubblico dell’epoca al punto che la nota rivista Scientific American pubblicò un articolo che ne illustrava le tecniche di realizzazione; Life Photo Film Corporation della quale i fratelli Gaudio curarono l’organizzazione e la gestione dei laboratori; Independent Moving Pictures, casa di produzione cinematografica, quest’ultima, fondata nel 1909 da Carl Laemmle che a quel tempo lavorava con divi del calibro di Mary Pickford, attrice con la quale Gaetano Antonio avrebbe poi collaborato in una trentina di cortometraggi come curatore delle luci.

 

 
Americanizzati i loro nomi in Tony e Eugene, divennero rispettivamente capo fotografo e supervisore del laboratorio della IMP, tecnicamente organizzato dallo stesso Tony e destinato a costituire un modello per gli anni a venire. La reputazione professionale di Tony crebbe a tal punto che la stessa Pickford acquistò da lui, per l’allora notevole cifra di 75 dollari (oltre 2,000 dollari di oggi), la sceneggiatura di un corto del 1911, sempre per la IMP, For the Queen’s Honor, di cui l’attrice sarebbe stata protagonista. Del resto Tony non era nuovo alla scrittura delle sceneggiature di film di cui curava la fotografia, ma è soprattutto in quest’ultimo campo che trovò espressione la sua genialità tecnica e artistica facendolo presto considerare uno dei padri della fotografia cinematografica statunitense; un cineasta a 360 gradi che anche nel pieno del suo successo non smise mai di studiare e imparare, lasciando le sue acquisizioni in eredità ai colleghi più giovani. Sempre nel 1911 Tony fece un’esperienza in California con la Universal, per le riprese di un film diretto dal regista Frank Grandin, con Margaret Fischer, Harry Pollard e Jack Le Saint nel cast. Ritornato sulla East Coast, lavorò in diverse pellicole con l’attrice Blanche Sweet e intraprese la collaborazione, in qualità di capo coordinatore di tutti i cineoperatori,con gli studi di Fort Lee, nel New Yersey, considerato il vero luogo di nascita dell’industria cinematografica americana. Là gli giunse la proposta di ingaggio dalla importante casa cinematografica Biograph di New York affinché curasse la fotografia di alcune produzioni speciali che la società doveva realizzare per i produttori teatrali Klaw ed Erlanger (tra le altre Strongheart, Classmates, The Woman in Black, The Cricket on the Hearth); fu una delle prime volte che gente del teatro e del cinema collaborava per adattare pièces teatrali al grande schermo, e per Tony fu questo un lavoro che lo tenne impegnato fino al 1915. Nel frattempo anche Eugene accumulò importanti esperienze professionali a New York passando, dopo la IMP, alla Rex Factories e alla Commercial Motion Pictures Company che nel 1913 aveva appena impiantato a New York un innovativo laboratorio.
 

Tony Gaudio (in alto a destra con i baffi) e il team della IMP (la donna seduta al centro è Mary Pickford). Foto apparsa sul magazine The Moving Picture World dell'11 febbraio 1911

Tony Gaudio (in alto a destra con i baffi) e il team della IMP (la donna seduta al centro è Mary Pickford). Foto apparsa sul magazine The Moving Picture World dell’11 febbraio 1911

Nel 1916 i fratelli Gaudio si trasferiscono in California e Eugene inizia a lavorare per la Universal come direttore della fotografia prima di essere assunti entrambi alla Metro Pictures Corporation – una delle tre case produttrici da cui sarebbe nata nel ’24 la celebre Metro Goldwin Mayer – l’uno, Eugene, sempre come direttore della fotografia e l’altro come regista (in tale veste Tony realizzò solamente due film muti nel 1925: Sealed lips e The price of success); venne inoltre incaricato come responsabile delle produzioni con gli attori Harold Lockwood e Mae Allison. Dopo la morte per influenza spagnola (1918) di Harold Lockwood (attore della cui prima serie di film da protagonista, con la regia di F. J. Balshofer, aveva curato la fotografia), Tony si unì alla società di Allan Dwan regista anch’egli di tanti film con il giovane e sfortunato divo del cinema muto. Durante la collaborazione con Dwan, in occasione dell’uscita del film The Forbidden Thing (1920), la stampa americana scrisse che Dwan aveva “un grande debito con Tony Gaudio, per lo splendore della sua fotografia”. Successivamente l’organizzazione di Dwan lo mise a disposizione della Film Booking Office (FBO) [poi Radio-Keith Orpheum (RKO)], per curare la fotografia della prima produzione di quella società, “Kismet” (1920), diretto da Louis J. Gasnier, con Otis Skinner nei panni di Hajj, un mendicante musulmano le cui avventure si consumano tra l’alba e la notte dello stesso giorno. La stampa dell’epoca rimase stupita per come Tony Gaudio fosse riuscito a “perfezionare l’illusione del tempo dalle prime deboli strisce dell’alba alla vellutata profondità blu della notte” introducendo l’uso “di molti nuovi e inediti effetti di luce, che segneranno una pietra miliare nell’arte della fotografia cinematografica”. Fu poi la volta di una serie di produzioni per la J. L. Frothingham Productions tra cui notevole successo ebbero pellicole come Pilgrim of the Night (1921), The Bride of the Gods (1922) e The Man Who Smiled (1922).
 

Eugene Gaudio, a sin. dietro la macchina da presa, una Bell & Howell model 2709

Eugene Gaudio, a sin. dietro la macchina da presa, una Bell & Howell model 2709 (foto del 1919)

Dei due fratelli, nel frattempo sposatisi con le sorelle Vincenzina e Rosina Pietropaolo, originarie di Amantea (Cosenza), Eugene fu il più sfortunato poiché la sua vita e la sua carriera cessarono il 1° agosto 1920, quando una a causa di una peritonite, complicanza di un’intervento di appendicite, morì a soli 33 anni lasciando la moglie Vincenzina e i due figli Maria Katherine e Joseph Eugene (è sepolto all’Hollywood Forever Cemetery di Los Angeles). Il primo film accreditato di Eugene fu, nel 1915, The House of Fear, di Stuart Paton, che subito ne mise in evidenza il grande talento (nelle scene notturne utilizzò le nuove lampade portatili Panchrome Twin Arcs, ottenendo suggestivi effetti chiaroscurali), ma la più conosciuta tra le sue prime opere è senza dubbio 20,000 Leagues Under the Sea, adattamento cinematografico del romanzo di Verne prodotto da Universal Studios e Williamson Submarine Film Corporation. Fu un lavoro difficile per Eugene che dovette curare la fotografia di riprese subacque pionieristiche effettuate calando nel mare delle Bahamas un globo d’acciaio e vetro di 4 tonnellate detto “photosphere” – ideato nel 1913 dal fotografo e giornalista John E. Williamson e dal fratello George e contenente la macchina da presa (v. foto in basso) -, ma il suo impegno, portato a termine in modo impeccabile, fu gratificato da un grande successo di pubblico e da numerosi premi in piena epoca pre-Oscar, riconoscimento che sarebbe stato introdotto solo nel 1929. Forse nessuno oggi sa che Eugene rischiò addirittura di morire nel realizzare questo film a causa di un incidente occorso al condotto dell’ossigeno collegato alla “photosphere”. A raccontarlo fu egli stesso nel 1917 dalle pagine del New York Tribune offrendo una testimonianza carica di tensione emotiva [leggi il testo integrale QUI].
 

Manifesto di Out of The Fog. In questo film del 1919 Eugene Gaudio fu il primo ''cameraman'' a fotografare una nebbia

Manifesto di Out of The Fog. In questo film del 1919 Eugene Gaudio fu il primo ”cameraman” a fotografare una nebbia – Image from wikipedia

Il riscontro ottenuto per 20,000 Leagues Under the Sea fu solo una delle numerose manifestazioni di stima di cui, più in generale, Eugene ha goduto nella sua breve vita e che troviamo sintetizzate nel giudizio espresso nel 1919 dal settimanale newyorchese The Leader-Observer: “Eugene Gaudio è uno dei maghi del chiaroscuro”. Tra i suoi altri film degni di nota si possono citare The Red Lantern (1919), diretto da Albert Capellani, con la diva Alla Nazimova, ambientato in una Cina ricostruita in studio e squisitamente fotografato da Eugene, di cui memorabile rimane la scena con oltre 800 cinesi e far da contorno al passaggio in lettiga dell’attrice nel ruolo della Dea della Lanterna Rossa, scena per la quale utilizzò un ampio armamentario di luci, oltre a ricorrere alla doppia esposizione della pellicola per enfatizzare l’effetto visivo di 500 lanterne cinesi di cui la scena di massa è costellata; e Out of The Fog, diretto sempre nel 1919 da Capellani e parzialmente girato lungo la costa del Massachusetts di cui Eugene restituì magistralmente le atmosfere nebbiose. A proposito della diva protagonista di questi due film, va ricordato il gesto di grande solidarietà che compì all’indomani della prematura scomparsa del suo personale “cameraman”: lei che non presenziava mai alle proiezioni dei suoi film, fece un’eccezione all’Hollywood Theatre in occasione dell’anteprima della sua nuova pellicola Madame Peacock (1920), alla quale invitò centinaia di colleghi per poi donare l’intero incasso dell’evento alla moglie di Eugene Gaudio.

Celebrato dalle cronache dell’epoca fu anche The Man Who Stayed at Home (1919), un film di spionaggio diretto da Herbert Blaché e prodotto dalla Screen Classics Inc.: la stampa scrisse che in questo film Eugene aveva raggiunto “effetti fotografici non ritenuti possibili prima”: dovendosi girare delle scene notturne negli esterni di un hotel sul mare, “fu fedelmente ricostruita in studio la facciata frontale dell’hotel, compreso un vellutato prato d’erba…È in queste scene notturne che Mr. Gaudio ha ottenuto un successo senza precedenti. Nei film, la maggior parte delle riprese notturne mostra infatti una macchia nera con una faccia o un pezzo di scenario appena distinguibile, oppure viene conferita una sfumatura blu-chiaro di luna per dare l’idea della notte; ma nel girare queste scene notturne Mr. Gaudio ha colto proprio la relativa oscurità dell’illuminazione notturna. Non è né opaca né del tutto chiara. Coloro che hanno seguito il suo lavoro sono stati gratificati dalle sue ultime realizzazioni in campo fotografico ma non si sono sorpresi; non dimentichiamo infatti che egli è stato il primo cameraman a fotografare con successo una nebbia”.
 

Due fotogrammi del film 20,000 Leagues Under the Sea (1916) di Stuart Paton

Due fotogrammi del film 20,000 Leagues Under the Sea (1916) di Stuart Paton con la fotografia di Eugene Gaudio

Il film 20,000 Leagues Under the Sea assicurò immediatamente a Eugene un posto di primo piano tra i maestri del cinema americano e un contratto con la Metro per la realizzazione di film con grandi star dell’epoca: dopo aver lavorato a due film con Emmy Whelen, attirò l’attenzione di Alla Nazimova che “illuminò” nei film Toys of Fate, Revelation, An Eye for an Eye, The Brat, oltre che nei già citati Out of the Fog e The Red Lantern. Fu quindi chiamato a curare la fotografia per uno dei film con protagonista May Allison, per poi passare ad occuparsi dell’attrice Bessie Barriscale con la quale girò anche il suo ultimo lavoro (il 22°), il lungometraggio Life’s Twist. Tra gli altri film con la Barriscale ci piace ricordare The Notorius Mrs. Sands (1920), segnalato nel catalogo dei film muti della Biblioteca del Congresso di Washington: una sottile satira sulle convenzioni sociali del tempo e un saggio dell’arte fotografica di Eugene Gaudio di cui le cronache del tempo ricordano come particolarmente memorabile la scena girata in un giardino intorno alle 4 del mattino, “proprio mentre la luna andava perdendo la sua brillantezza trasformandosi in un corpo d’un bianco latteo e opaco.
 

La 'photosphere' per le riprese subacquee di 20,000 Leagues Under the Sea (1916)

La ‘photosphere’ per le riprese subacquee di 20,000 Leagues Under the Sea (1916)

Eugene fu tra i 15 membri fondatori dell’American Society of Cinematographers (ASC), associazione di categoria di cui il fratello Tony sarebbe diventato a sua volta membro nonché presidente (1924 e 1925) e della quale oggi fa parte anche il loro corregionale Mauro Fiore; si tratta di una organizzazione formata da direttori della fotografia e tecnici degli effetti speciali distintisi nell’industria cinematografica, molti dei quali – compresi i fratelli Gaudio – avevano già fatto parte del Cinema Camera Club di New York, dalla cui unione con lo Static Club di Los Angeles nacque nel 1919 la Society. E proprio sulla rivista dell’associazione, The American Cinematographer (1 febbraio 1922), Eugene viene ricordato come un professionista che considerava i suoi strumenti di lavoro “un mezzo di espressione” e “guardava la propria macchina da presa come un violinista guarda il suo strumento, con tenerezza e affetto”.
 

Immagini tratte da Cinema News (Nov. 1917)

Immagini tratte da Cinema News (Nov. 1917)

La carriera di Tony come direttore della fotografia si sarebbe invece protratta per oltre 30 anni (l’ultimo film è The Red Pony, del 1949, scritto da John Steinbeck, diretto da Lewis Milestone, con Myrna Loy, Robert Mitchum e la musica di Aaron Copland), curando la fotografia di oltre 1000 produzioni (di vario genere e dimensioni), al punto da risultare considerato, almeno fino agli inizi degli anni ’50, il direttore della fotografia col maggior numero di film in assoluto. Dopo la citata esperienza in “Kismet” della Film Booking Office (FBO), Tony si unì allo staff della celebre diva del muto Norma Talmadge e di sua sorella Constance, i cui film – con il management del produttore Joseph Schenck – erano in uscita con la United Artists. L’attrice volle l’esclusiva e Tony curò tutti i suoi film, tranne l’ultimo girato prima del ritiro dalle scene. Fu quindi ingaggiato dalla MGM per realizzare la fotografia dei primi due film americani di Greta Garbo, pellicole mute del 1926 di grande importanza per la sua carriera: “The Torrent”, per la regia di Monta Bell, e “The Temptress”, di Fred Niblo; fu durante quest’ultimo film che un incidente sul set costò a Tony il migliolo della mano sinistra. Successivamente si trasferì alla società di produzione e distribuzione First National (assorbita dalla Warner Bros. nel 1929) e per un anno diresse la fotografia per i film dell’attrice Billie Dove. Fu quindi il turno di un nuovo incarico che – scrive l’American Cinematographer“da molti punti di vista è stato uno dei più spettacolari che sia mai capitano a un cineoperatore nella storia del cinema”, ossia lavorare col grande regista e magnate Howard Hughes. Il primo progetto fu The Racket, con Louis Wolheim, seguito da Two Arabian Nights, con Wolheim e Bill Boyd; ma l’impegno più arduo di sempre fu Hell’s Angels (Angeli dell’inferno), del 1930, ambientato durante la Ia Guerra Mondiale e legato a una serie di record: la lavorazione durò 2 anni e mezzo impegnando un numero incalcolabile di cineoperatori; costò l’enorme (per l’epoca) cifra di 3,95 milioni di dollari ma alla sua prima uscita non recuperò i costi nonostante il grandissimo successo; furono prodotte centinaia di ore di girato; concepito inizialmente come film muto, la sua lunga produzione si incrociò con l’avvento del sonoro, quindi Hughes decise di rifarlo con la nuova tecnologia cambiando l’inadatta attrice protagonista; non è un caso che proprio per questo film sia stato usato per la prima volta il termine “kolossal”, inaugurando la stagione delle mega produzioni hollywoodiane.
 

Hell's Angels (1930), manifesto del film di Howard Hughes con la fotografia di Tony Gaudio - Image by wikipedia

Hell’s Angels (1930), manifesto del film di Howard Hughes con la fotografia di Tony Gaudio – Image by wikipedia

Ironizzando su quella esperienza, ma anche esprimendo la propria concezione del lavoro, nel ’37 Tony disse: “Tra piccoli e grandi, ho probabilmente “fotografato” oltre 900 film. Si potrebbe dire che siano tanti…ma non erano tutti Hell’s Angels. Molti di essi erano dei corti. Ma questo dato statistico sta a significare che ho dovuto affrontare molte volte più di 900 problemi, e che per ogni problema superato un’altra nicchia all’interno della testa è stata riempita contro il ripetersi dello stesso incidente. Nella fotografia non c’è una strada privilegiata per imparare più di quanto ce ne sia in qualsiasi altro ambito: il nuovo sangue deve percorrere la strada accidentata proprio come hanno fatto i suoi predecessori, il vecchio sangue”. E a proposito di “sangue nuovo”, è interessante il suo pensiero riguardante i giovani e la responsabilità dei veterani: “Per come la vedo io, il fotografo che ama davvero la sua professione farà del suo meglio per trasmetterne i rudimenti e gli aspetti fondamentali ai suoi collaboratori più giovani.Continuerà ad offrire loro i propri insegnamenti finché non avrà dato loro ciò che ha. Credo di aver dato un valido supporto a un certo numero di cineoperatori, aiutandoli a raggiungere il massimo, spiegando loro cosa intendevo fare e perchè lo stavo facendo piuttosto che tenere i miei colleghi all’oscuro dei miei movimenti”. Una scelta che mise in pratica non solo sul campo con i propri assistenti, ma anche tenendo dei workshop nella scuola d’arte drammatica che l’ebreo austriaco Max Reinhardt, celebre fondatore del Festival di Salisburgo, nonché attore e regista teatrale e cinematografo, drammaturgo, produttore e talent-scout, aprì nel 1938 a Hollywood dove era approdato in fuga dall’Astria occupata dai nazisti.
 

Tony Gaudio (primo a sin.) sul set de La leggenda di Robin Hood, con William Keighley, Patrick Knowless ed Errol Flynn, 1938

Tony Gaudio (primo a sin.) sul set de La leggenda di Robin Hood, con William Keighley, Patrick Knowless ed Errol Flynn, 1938

Numerosi furono i film ai quali Tony lavorò in seguito – tra gli altri ricordiamo Oil for The Lamps of China (1935) diretto da Mervyn LeRoy, il pluripremiato The Life of Louis Pasteur (1936), diretto da William Dieterle, con Paul Muni nel ruolo dello scienziato; pellicola che ricevette la nomination dell’Academy come Miglior Film e che valse a Muni l’Oscar e la Coppa Volpi a Venezia come Miglior Attore, mentre Pierre Collings e Sheridan Gibney conquistarono quelli per la migliore sceneggiatura e il miglior soggetto; non si possono non ricordare poi il famoso The Adventures of Robin Hood (La leggenda di Robin Hood) girato nel ’38, con Herrol Flynn e Olivia de Havilland, e “Days of Glory” (1944), il film che segnò il debutto di Gregory Peck sul grande schermo – così come le collaborazioni con altri grandi registi quali Lewis Milestone, Michael Curtiz, Raoul Walsh, Frank Borzage, Jacques Tourneur, Mervyn LeRoy, Howard Hawks; lavori che portarono Tony Gaudio ad aggiudicarsi ben 5 candidature all’Oscar e una vittoria nel ’37 con Avorio nero (v. trailer nel video seguente).
 

 
L’assegnazione dell’Oscar a Tony Gaudio fu introdotta dallo scozzese Frank Lloyd, uno dei fondatori della Academy e a sua volta premiato due volte come “miglior regista”, il quale ebbe parole di grande apprezzamento per l’artista calabrese (collaborarono in almeno 4 film) e per l’intera categoria dei direttori della fotografia, sottolineando a tal punto l’importanza del loro contributo nella riuscita di un film da considerare l’Oscar a Gaudio come “uno dei più importanti riconoscimenti dell’anno”. Lo stesso Tony, nelle dichiarazioni che seguirono la premiazione, disse di credere fermamente nel valore del riconoscimento ricevuto, ritenendo che sarebbe stato un grande incentivo per tutti i colleghi a dare il meglio di sè. All’indomani degli Academy Awards gli elogi si susseguirono, a cominciare da quelli del magazine American Cinematographer che dedicò a Tony Gaudio la copertina del numero di Aprile 1937 e un articolo di due pagine nel quale viene definito come “il n. 1 al mondo dei veterani della fotografia cinematografica, nel senso che fin dall’inizio del secolo è stato un tutt’uno col cinema, operando inizialmente soprattutto in laboratorio e, dal 1911, attivamente e costantemente impegnato alla macchina da presa e attualmente ancora assegnato alle produzioni di maggior rilievo”.
 

Tony Gaudio (al centro con l'Oscar) durante la cena di gala agli Academy Awards. Ultimo alla sua sinistra Walt Disney

Tony Gaudio (al centro con l’Oscar) durante la cena di gala agli Academy Awards del ’37. Ultimo alla sua sinistra Walt Disney e penultimo alla sua destra Frank Capra, che a sua volta vinse il premio come Miglior Regista per Mr. Deeds Goes to Town (E’ arrivata la felicità)

Impegnato con la First National al tempo della morte prematura di Eugene, lavorò in seguito per la Warner Bros., che nel 1928 acquistò la First National, e qui conobbe il collega e connazionale Sol Polito, che per un periodo fu suo assistente e con cui avrebbe stretto una collaborazione volta alla ricerca di nuove tecniche fotografiche. Fu infatti ideatore di numerose innovazioni tecniche, contribuendo in larga misura a mettere a punto le caratteristiche stilistiche degli Studi Warner fra il 1930 e il 1943; la Warner – scrive lo storico del cinema John A. Gallagher -, a differenza di MGM e Paramount, non cercava immagini “graziose” e Gaudio e i suoi colleghi furono in grado di mettere a punto luci che rispecchiassero anche stati d’animo e atmosfere. Emblematico, da questo punto di vista, è il noir High Sierra (1941), opera rilevante di Raoul Walsh con Humphrey Bogart, illuminata da Gaudio – aggiunge Gallagher – “in modo ultra-realistico, quasi documentaristico”. Negli anni alla Warner, come nel resto della sua carriera – scrive lo storico -, Tony si rivelò estremamente versatile e capace di gestire ogni tipo di pellicola, da quelle a grosso budget ai B-Movie come quelli della serie Torchy Blane; versatilità che ebbe modo di esprimersi, come già accennato, in una serie innumerevole di lavori, il millesimo dei quali – la commedia musicale Garden of the Moon (1938) – fu prodotta proprio dalla Warner, che per quella produzione gli assegnò una macchina da presa d’ultima generazione del valore di 10,500 dollari, uno strumento certo agli antipodi rispetto ai mezzi di ripresa a manovella in uso al tempo dei suoi esordi, 34 anni prima. Per la straordinaria occasione Pat O’Brien, Margaret Lindsay, John Payne e gli altri membri del cast gli resero omaggio regalandogli un bottone d’oro da bavero con inciso un segmento di pellicola e il numero romano “M”.
 

Manifesto pubblicitario delle Mitchell Camera sulle quali Tony Gaudio apportò delle innovazioni

Part. di flyer pubblicitario delle macchine da presa Mitchell sulle quali Tony Gaudio apportò delle innovazioni – Image by wikipedia

Fra i contributi innovativi di Tony Gaudio si possono citare alcuni di importanza capitale per l’evoluzione dell’arte cinematografica: fu il primo direttore della fotografia hollywoodiano a intervenire sul montaggio, cosa che fece nel film “Il segno di Zorro” (1920) con Douglas Fairbanks (fu coinvolto come aiuto); partecipò alla realizzazione del primo film subacqueo della storia del cinema americano, precursore di numerosi film del genere: si tratta di Submarine, al quale Tony lavorò per lo più su natante in immersione nel 1910 a Newport News in Virginia, completando il suo intervento sui set costruiti a New York; inventò un dispositivo che migliorò in modo incisivo i meccanismi di messa a fuoco delle macchine da presa: un’innovazione messa a punto nel 1922 per conto della celebre Mitchell Camera Corporation, che la adottò su tutte le macchine prodotte, e tale da valergli la gratitudine di tutti gli addetti ai lavori. Contribuì, inoltre, ad alcune delle primissime sequenze in Technicolor (The Gaucho, On With the Show, General Crack), così come ai primi influenti film di guerra come All Quiet on the Western Front (insieme ad Arthur Edeson) e il già citato Hell’s Angels, nel quale, insieme al collega Harry Perry, diede il massimo nella fotografia della scene aeree. Sua anche la fotografia del primo lungometraggio in 3-strip Technicolor della Warner, God’s Country and the Woman, del 1937, con la regia di William Keighley, cineasta che affiancò anche l’anno dopo in The Adventures of Robin Hood; così come suoi sono gli interni claustrofobici di The Dawn Patrol (1938), con Errol Flynn e David Niven, remake dell’omonimo film di Howard Hawks del ’30; per quest’ultimo lavoro, un sondaggio tra i critici di Hollywood, lanciato in occasione delle uscite di dicembre ’38, lo classificava tra i migliori direttori della fotografia in bianco e nero. Il suo permanente gusto per la sperimentazione, anche dopo decenni di carriera, è testimoniato da quanto di lui scrisse nel 1938 il magazine American Cinematographer: “Il suo “lavoro a casa” è fatto di colore, bianco e nero, illuminazione, trucco. Utilizza busti in gesso per studiare l’illuminazione di cui è maestro riconosciuto. Le pellicole e le macchine da presa lo aiutano nei suoi esperimenti sui colori. Come tutti gli artisti, Tony non si è mai accontentato di fermarsi al primo ragguardevole traguardo, ma ha sempre sfidato se stesso nel superamento dei risultati già raggiunti”.

TONY GAUDIO INVENTORE DELL’«EFFETTO NOTTE»

Una delle conquiste tecniche meno note, eppure epocale e documentata, di Tony Gaudio, fu la creazione del celebre “effetto notte” (Day for night per gli americani), ossia di quel sistema che consentiva di simulare un’ambientazione notturna in riprese effettuate con la luce solare. Diventato una sorta di metafora del Cinema stesso al punto da ispirare il regista François Truffaut per il titolo del suo celebre film “La Nuit américaine” (espressione francese per indicare quella tecnica), Tony testò la sua innovazione nel 1923 sul film muto di ambientazione algerina Dust of Desire (poi uscito col titolo The Song of Love) diretto da Chester Franklin e Frances Marion, prodotto da Joseph M. Schenck e interpretato dalla diva Norma Talmadge.
 

Card pubblicitaria del film The Song of Love (1923), primo film con l'effetto notte.

Card pubblicitaria del film The Song of Love (1923), primo film con l’effetto notte – Image by wikipedia.

In estrema sintesi il metodo ideato da Tony Gaudio – come riporta il magazine American Cinematographer del novembre 1923 – prevedeva il trattamento del negativo del film con una “soluzione colorante speciale”. Ebbene, quando di trattò di effettuare il test di ripresa con il suo metodo, Tony Gaudio si sentiva talmente sicuro del risultato da dichiarare di essere pronto a giocarsi la sua reputazione (nel ’23 era già considerato un veterano del suo lavoro). Poichè questa sua convinzione incontrò il favore di John Considine, general manager del produttore Schenck, fu organizzata una trasferta di una troupe di 400 persone in un’area desertica di Oxnard, in California, per realizzare in piena luce diurna tre giorni di riprese di scene notturne di ambientazione nordafricana. A fine lavoro si constatò come la pellicola pretrattata fosse stata in grado di restituire cieli neri, primi piani chiari, uno skyline chiaramente definito, sagome nette e ombre nitide al chiaro di luna, risultati che rappresentarono un miglioramento significativo rispetto ai poco efficaci metodi precedenti di colorazione del positivo della pellicola. Fu una vera rivoluzione, anche perché le reali riprese notturne erano estremamente costose a causa della spesa da affrontare per elettricisti, apparecchiature elettriche e per la stessa energia; una spesa che, per le scene notturne di Dust of Desire si calcolò sarebbe ammontata a 5,000 dollari al giorno, praticamente una fortuna per l’epoca. Gaudio e il produttore credettero invece che un’alternativa a tutto ciò fosse possibile, col valore aggiunto di un deciso miglioramento sul piano del risultato artistico. Tony mise in gioco la propria reputazione, mentre il produttore avrebbe perso circa 40,000 dollari (il costo della trasferta) se il test fosse fallito. Ma alla fine vinsero entrambi.
 

Moving pictures spotlights

Moving pictures lights – Image by Pixabay

TONY GAUDIO E LA «ILLUMINAZIONE DI PRECISIONE»

Un’altra importante innovazione tecnica introdotta da Tony Gaudio nel suo lavoro fu la cosiddetta “illuminazione di precisione”, novità che – all’indomani dell’Oscar – espose agli addetti ai lavori nel corso del convegno primaverile della Society of Motion Picture Engineers che si tenne a Hollywood nel maggio del 1937. Una vera e propria “lectio magistralis” di fotografia cinematografica di cui ci resta un estratto pubblicato lo stesso anno dal magazine American Cinematographer. Si tratta – racconta Gaudio – di una soluzione nata dai tentativi di risolvere “i problemi creati dai film super-veloci di oggi e dalla tecnica della macchina da presa in movimento”. Essa consisteva, in estrema sintesi, nella sostituzione di una illuminazione generalizzata della scena con un’altra ottenuta quasi esclusivamente con strumenti di illuminazione di precisione: gli spotlights (faretti). In tal modo ogni dettaglio, sia degli attori che del set, veniva illuminato da fasci di luce proiettati da spotlights. Un sistema in grado di produrre “un’enorme differenza nel risultato sullo schermo”. Rifacendosi al “comune concetto di luce” come qualcosa che “arriva dall’alto verso il basso”, Tony raccontò di aver utilizzato nelle sue più recenti produzioni, come The Life of Emile Zola (Oscar Miglior Film 1938) e lo stesso Anthony Adverse (Avorio Nero), un’illuminazione ottenuta quasi interamente da faretti disposti su binari sospesi sul set, rendendosi necessario solo in rari casi l’utilizzo di unità di luce poste sul pavimento.

L’altro strumento che giocava un ruolo importante in questa illuminazione di precisione era il dimmer, uno strumento che consentiva di “riequilibrare l’illuminazione” alzando o abbassando l’intensità luminosa della singola fonte di luce “mentre gli interpreti o la macchina da presa si muovono sul set”. Questo consentiva di mettere gradatamente in luce dettagli drammaturgicamente rilevanti, come ad esempio una importante espressione facciale dell’attore, che diversamente avrebbe rischiato di rimanere in ombra. Il tutto avveniva con un sincronismo tale che il processo di variazione di intensità luminosa non sarebbe stato percettibile sullo schermo. Questo sistema consentiva inoltre, in una scena per copione non completamente illuminata, di porre in armonica relazione visiva quelli che Tony definiva “i punti di interesse e di luce principali” con quelli “secondari” evitando – tramite un graduale gioco di diminuzione/aumento di luminosità – che l’interprete, nel passaggio dall’uno all’altro dei due punti focali della scena, finisse risucchiato in “un’ombra nera come la pece”. Si comprende come, rispetto alla precedente illuminazione convenzionale del set, questo sistema consentisse, soprattutto nelle inquadrature con macchina da presa in movimento sul dolly, di offrire allo spettatore quel suggestivo intrico di chiaroscuri che percepiamo quando ci muoviamo nella realtà; e accostarsi il più possibile alla realtà, ossia a ciò che l’occhio umano realmente vede, fu per Tony sempre la massima aspirazione. I risultati sullo schermo con la sua nuova tecnica di illuminazione avevano appunto il vantaggio di essere “sia più artistici che più naturali” rispetto al passato. Tony suggellò la sua lectio con un pensiero in cui può ritenersi espresso tutto il peso creativo che egli riconosceva alla sua innovazione: “Si può vedere come questo tipo di illuminazione debba essere strettamente intrecciata con la composizione…e ciò perché la composizione è davvero più di una semplice disposizione geometrica di linee, masse e oggetti. La composizione dovrebbe essere propriamente una parte dell’illuminazione e l’illuminazione una parte della composizione. La migliore composizione può essere rovinata da un’illuminazione sbagliata, mentre un’illuminazione tecnicamente perfetta può essere pessima se non è coordinata con la composizione”. Di questo suo sguardo così consapevole sarebbe rimasta inconfondibile impronta in tanti film e sequenze memorabili.
 

Da sin.: la locandina di Sealed lips e l'attrice Florence Turner, tra i protagonisti di The price of success

Da sin.: la locandina di Sealed lips e l’attrice Florence Turner, tra i protagonisti di The price of success: i due film con la regia di Tony Gaudio

Nel 1930 sarebbe arrivata per Tony Gaudio la prima candidatura all’Oscar per Hell’s Angels (Gli angeli dell’inferno) diretto da Howard Hughes, seguita nel ’37 da quella per Avorio nero, diretto da Mervyn LeRoy, che gli valse l’ambita statuetta (con LeRoy collaborò in vari lungometraggi, tra cui lo splendido Little Caesar, primo gangster movie dell’era del sonoro). Bette Davis lo volle come suo abituale curatore della fotografia al punto che collaborarono in ben 11 film (i gossip dell’epoca parlarono persino di una relazione fra Tony e la grande attrice che del resto lo considerava “uno dei tre più grandi cameramen, simpaticissimo e bellissimo”). In particolare Tony riservò alla Davis un trattamento glamour nel film Ex-Lady (1933), diretto da Robert Florey, primo tentativo di trasformare in un sex-symbol l’attrice che in questa pellicola veste i panni di un’artista anticonformista. Ma tornò a conferirle un’immagine austera nello spettacolare Juarez e in The Old Maid, due film in costume del 1939, per poi mostrarcela ancora in uno splendido look naturale in The Great Lie (1941), dopo aver raggiunto l’apice nel noir di William Wyler The Letter (Ombre Malesi) del 1940, memorabile soprattutto per la misteriosa e malinconica atmosfera tropicale e coloniale che Gaudio è riuscito ad imprimere fin dall’inquadratura iniziale, con quella lenta carrellata sotto la luna attraverso una piantagione malese di alberi della gomma che in modo superbo dà il tono all’intero film. Memorabili gli interventi di Gaudio anche in altre due pellicole con la Davis: Bordertown (1935), nel quale impresse un forte realismo alla squallida ambientazione messicana, e Kid Galahad (1937), nel quale riuscì a creare un magnifico contrasto tra le raffinate scene art deco e i fumosi interni di un ring di boxe. Fu proprio il già citato film con la grande diva, Juarez (Il conquistatore del Messico), del 1939, a valergli la terza nomination all’Oscar. La quarta candidatura arrivò nel 1941 per The Letter (Ombre Malesi), in cui Gaudio illumina appunto la Davis con la luce della luna piena; la quinta nel 1943 con il b/n Korvette K-225 e l’ultima nel 1945 per il film in Technicolor A Song to Remember (1944) di Charles Vidor, lavorando in entrambi i film da indipendente. In particolare per il film di Vidor la stampa dell’epoca scrisse che la fotografia in Technicolor di Tony Gaudio era “a dir poco rivoluzionaria” e ciò era accaduto – dichiarò a sua volta Tony – “perché abbiamo fotografato gli attori invece dei set; in passato, ogni volta che c’era un film in Technicolor, la macchina da presa si concentrava sui dettagli luminosi di colori e oggetti di scena presenti sul set invece che sulle persone”. Oltre ai premi e agli apprezzamenti tributatigli dal mondo del cinema, nel febbraio del 1939, Tony Gaudio apprese, tramite il consolato italiano a Los Angeles, di essere stato insignito da Re Vittorio Emanuele III del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia; un alto riconoscimento che, pervenutogli in pieno fermento prebellico, non mutò i suoi umori critici nei confronti di Mussolini e del suo regime, se è vero – come si racconta nella biografia del regista William Wyler scritta da Axel Madsen – che, sentita alla radio a onde corte, nell’estate del ’40, la dichiarazione di guerra del Duce al Regno Unito e alla Francia, Tony – all’epoca impegnato col regista nelle riprese di The Letter (Ombre Malesi) – imprecò “Maledetto figlio di puttana!”, traducendo poi al tesissimo cast il contenuto di quell’atto che avrebbe portato l’Italia nel baratro.

Nel 1949 Tony si ritirò a vita privata morendo il 10 agosto del 1951, a 67 anni, per un attacco cardiaco, mentre risiedeva a Burlingame nei pressi di San Francisco insieme alla seconda moglie, la cecoslovacca Marie, sposata dopo il clamoroso divorzio da Rosina nel 1934. Come il fratello Eugene, è anch’egli sepolto all’Hollywood Forever Cemetery. Dalla moglie calabrese Rosina Pietropaolo ebbe quattro figli: Elena (sposata Hipple), Elvira Esterina (detta Vera, sposata Woods), Francesco (cineoperatore, secondo assistente nello staff del padre) e Antonio (avvocato). La memoria di questo personaggio straordinario è oggi custodita e consegnata ai posteri dalla The Tony Gaudio Foundation, un ente senza scopo di lucro costituito di recente a Los Angeles per volontà dei suoi discendenti.
 

Tony Gaudio mentre controlla una delle sue ottiche

Tony Gaudio mentre controlla uno dei suoi obiettivi – Image from wikipedia

È questa, in estrema sintesi, la storia di due straordinari talenti approdati negli States per inseguire l’avventura del Cinema, una scelta certamente diversa da quella, forzosa, della moltitudine di emigranti che negli stessi anni varcavano l’Atlantico in cerca di un lavoro per vivere, ma non meno coraggiosa. Due figure di cui l’Italia farebbe bene a rinnovare la memoria magari intitolando loro, almeno nella natìa Cosenza, una via e un festival cinematografico. Viceversa risultano ad oggi quasi sconosciuti nel nostro Paese, anche a causa di una bibliografia italiana sul cinema americano che, salvo qualche eccezione, risulta pressoché priva informazioni sul loro conto. Gli unici eventi sul tema sono stati finora la mostra fotografica con cinerassegna presso la Biblioteca Nazionale di Cosenza – La grande avventura: Tony Gaudio/Nicholas Musuraca, Direttori della fotografia ad Hollywood – che su iniziativa della Cineteca di Calabria, ha reso omaggio nel 2017 oltre che a Tony Gaudio anche a Nicholas Musuraca, suo collega e conterraneo nato a Riace (Reggio Calabria), e – nel settembre 2022 – l’apposizione di una targa-ricordo intitolata a Tony Gaudio sul palazzo di Corso Telesio, a Cosenza, dove aveva sede lo studio fotografico di famiglia; nell’occasione è stata anche annunciata la lavorazione in corso di una docufiction a lui dedicata che dovrebbe uscire nel 2023 per la Open Fields Productions di Cosenza; un lavoro che ripercorre la sua straordinaria carriera partendo dalla statuetta di quel primo Oscar “italiano” della quale, a oltre 80 anni dalla vittoria, si è misteriosamente persa traccia.

Diciamo che questo è il minimo, soprattutto per un artista come Tony Gaudio apprezzato dai propri contemporanei per la straordinaria carriera di direttore della fotografia “la cui arte supera tutto il resto senza intaccarne l’umiltà”, di creativo che “nonostante sia il più vecchio direttore della fotografia cinematografica al mondo, continua ancora a imparare e a studiare”. E a proposito del suo essere stato un vero pioniere dell’industria cinematografica americana, c’è un suo bellissimo articolo-memoriale edito nel 1933 dall’International Photographer nel quale l’artista rievoca “i primi anni di un’industria nascente”, quando “le aziende erano tutte piccole e tutte lottavano per mantenersi in piedi” e “gli attori principali di ogni studio erano al tempo stesso falegnami, pittori, scenografi, addetti alla sicurezza, nonché le star dei loro film”; un tempo in cui “non c’erano costosi staff di sceneggiatori…perché nella prima epoca d’oro, registi, produttori, cameramen, e persino il garzone dell’ufficio, suggerivano storie destinate a diventare dei film”. A noi, che di Tony Gaudio evochiamo la figura in un tempo in cui il Cinema insegue le nuove frontiere tecnologiche della realtà aumentata, della realtà virtuale interattiva, dell’intelligenza artificiale, della volumetric capture, piace immaginarlo seduto sulla sua pieghevole da set con la visiera verde a proteggere quegli occhi il cui sguardo creativo ha dato forma ai primi esaltanti sogni del grande schermo.

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Le tombe dei fratelli Eugenio e Gaetano Antonio Gaudio all'Hollywood Forever Cemetery

Le tombe dei fratelli Eugenio e Gaetano Antonio Gaudio all’Hollywood Forever Cemetery, Los Angeles

Articolo revisionato a settembre 2022 sulla base di nuove fonti

NOTA:
*Potrebbe forse trattarsi di un episodio di Épopée napoléonienne, cortometraggio di Lucien Nonguet del 1903 che fra le scene in successione sulla vita di Napoleone (la quarta per la precisione) ne prevede una che si intitola “Passaggio del passo di San Bernardo”, riferibile appunto all’attraversamento delle Alpi. In realtà risulta difficile immaginare che a quel tempo la troupe, ingaggiata dalla francese Pathé Frères, venisse fino in Italia per girare poche scene di un corto, per cui è possibile che Tony Gaudio ne abbia fatto parte trasferendosi in Francia per un periodo. Del resto non era inusuale che i primi cineasti italiani facessero esperienze formative Oltralpe dove il cinema era nato oltre un decennio prima: è il caso ad es. del torinese Arturo Ambrosio, fondatore dell’omonima casa di produzione, del quale sono noti contatti con la Pathé Frères di Parigi oltre che con lo stesso Gaudio. A quest’ultimo proposito è anche possibile che il primo film di Gaudio fosse proprio una proto-produzione dello stesso Ambrosio, realizzata prima della nascita ufficiale della sua compagnia nel 1906 (non è forse un caso che alcune fonti americane pongano quella prima esperienza cinematografica di Tony Gaudio in relazione con un periodo di sua collaborazione con Ambrosio). L’ultima ipotesi formulabile, ma in realtà poco probabile [se non altro perché le fonti americane parlano, a tal proposito, di una sua esperienza da cineoperatore], è che invece il legame di Tony Gaudio con quella produzione francese fosse circoscritto al suo iniziale mestiere di semplice fotografo: infatti la Pathé fece produrre per il lancio del film alcune serie di cartoline illustrate tratte dalla pellicola, fra cui una in Francia curata dalla Rex e una in Italia prodotta da Alterocca di Terni (Virgilio Alterocca introdusse la cartolina illustrata nel nostro Paese) con didascalie anche in francese. E’ quindi possibile ci sia stata qualche collaborazione fra Alterocca e i cosentini Gaudio, a quel tempo fra i migliori fotografi del Sud Italia. Comunque sia, del corto di Nonguet su Napoleone sono disponibili in rete, fra le collezioni digitali del sito americano SMU Libraries (Sulphur Springs Collection), 33 secondi di girato relativi proprio alla scena ambientata sulle Alpi.
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