Quattro opere d’arte dal Sud Italia: Mibac scrive a musei stranieri per discutere restituzione

Camillo Miola, Oracolo di Delfi, XIX sec., Getty Museum

Camillo Miola, Oracolo di Delfi, XIX sec., Getty Museum, Malibu

di Redazione FdS

Il Ministero dei Beni e delle Attività culturali torna ancora una volta ad occuparsi dei ‘tesori’ d’arte italiani finiti illegittimamente in musei e gallerie di tutto il mondo. Una vera e propria razzia che soprattutto fra Otto e Novecento – attraverso il traffico clandestino di dipinti, sculture e reperti archeologici, alimentato da collezionisti e mercanti senza scrupoli – ha depauperato il nostro patrimonio culturale di una innumerevole quantità di opere. In questo scenario il Sud Italia ha avuto la peggio, essendo il meridione una fra le aree maggiormente depredate nel corso del tempo.

E proprio dal Sud proverrebbero alcune delle opere poste all’ordine del giorno dal Comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali che, presieduto dal Ministro Alberto Bonisoli, si è riunito di recente al Collegio Romano. Il primo interlocutore estero, destinatario di una missiva inviata a seguito della riunione,  è il celebre Getty Museum di Malibu (Los Angeles), noto oltre che per le straordinarie collezioni d’arte possedute, per una serie di controverse detenzioni di capolavori provenienti dal nostro Paese, talvolta culminate nella loro restituizione. Tuttavia i casi in sospeso fra l’Italia e il Getty sono ancora diversi, fra cui quello ormai celebre dell’Atleta Vittorioso di Lisippo. Ripescato casualmente da un peschereccio nel mare di Fano nel 1964 e finito nel museo americano nel 1977, è un’opera della quale la Cassazione italiana ha già sancito l’obbligo di restituzione, obbligo in merito al quale il Mibac ha voluto richiamare l’attenzione del Getty, ottenendo in risposta la promessa di verifiche da parte del suo staff tecnico.

Altre ipotesi necessitano invece di adeguati approfondimenti prima che si attivi la procedura giuridico-diplomatica volta ad ottenere la restituzione. E’ il caso di due sculture funerarie raffiguranti dei leoni (I sec. a.C – I sec. d.C.), provenienti da Palazzo Spaventa di Preturo, in provincia di L’Aquila, di presunta esportazione illecita, e di una tela ottocentesca raffigurante L’oracolo di Delfi di Camillo Miola (1880), rubata dalla sede della Pinacoteca Provinciale di Napoli tra il ’43 e il ’46, della quale esiste anche una coeva riproduzione ad acquaforte di Giuseppe De Sanctis oggi custodita presso il Comune di Grassano (Matera) nello storico Palazzo Materi. Per tali opere, a cui è da aggiungersi un mosaico con testa di medusa (II sec. d.C.), rubato al Museo Nazionale Romano, il Mibac ha richiesto l’avvio di specifici negoziati finalizzati ad una verifica congiunta della loro provenienza.

I LEONI ROMANI DI PRETURO (AQ)

Le due sculture funerarie in forma di leone, oggi in deposito al Getty Museum, sono opere romane in calcare marmoreo del II° sec. d.C. che fino ai primi decenni del ‘900 facevano mostra di sè ai fianchi del portale del seicentesco Palazzo Spaventa, a Preturo, piccola frazione de L’Aquila.  Stando alla scheda del museo, a partire dal 1928 i due leoni sarebbero finiti nelle mani della aristocratica famiglia dei marchesi Dragonetti di Pizzoli (L’Aquila), per poi passare in quelle del collezionista Nicolas Koutoulakis che nel 1958 li vendette al Getty.

I leoni di Preturo in una foto d'epoca nella loro collocazione originaria davanti al Palazzo Spaventa

I leoni di Preturo in una foto d’epoca nella loro collocazione originaria davanti al Palazzo Spaventa

Entrambe le statue, che rivelano qualche traccia di restauro moderno, mostrano un leone con la testa leggermente ruotata verso destra. Sono privi delle zampe, ma ciò che ne resta è sufficiente a suggerire che i due animali fossero originariamente accucciati sulle zampe anteriori. Le costole sono visibili attraverso solchi incisi sui lati del corpo. La criniera è composta da grandi ciocche ricurve, più definite intorno al collo.

L’ORACOLO DI DELFI, DI CAMILLO MIOLA

L’Oracolo di Delfi è un dipinto del 1880 di Camillo Miola, pittore napoletano dedito principalmente ai soggetti storici, allievo prediletto di Domenico Morelli e Filippo Palizzi; un artista che coltivò la sua passione fra Napoli, Roma, Firenze, Milano e Parigi, città quest’ultima dove partecipò all’Esposizione Universale del 1867, frequentò lo studio di E. Meissonier e conobbe Alfred Stevens e J.L. Gérôme. Notevole conoscitore della letteratura greca e romana, esercitò molto come copista di suppellettili e arredi antichi, cosa che lo pose in diretto contatto con i nuovi scavi e restauri di Pompei consolidando e arricchendo le sue conoscenze tecniche e artistiche, sfociate in una tematica neopompeiana ricorrente in varie sue opere.

Nell’opera conservata al Getty e sparita dalla Pinacoteca Provinciale di Napoli a metà degli anni ’40, Miola si sofferma sul tema storico del celebre Oracolo di Apollo a Delfi: vi si scorge infatti la Pizia, sacerdotessa vergine del dio, seduta in cima al sacro tripode, con accanto l’omphalos, considerato il centro della terra nonché l’oggetto più sacro a Delfi. A destra, un’ iscrizione tracciata su un altare, ricorda la conquista di Delfi da parte dei Cretesi che divennero i primi sacerdoti del dio. La profetessa per nove mesi all’anno saliva sul tripode, nel settimo giorno di ogni mese, considerato sacro evocando il giorno della nascita di Apollo, e lì attendeva che arrivasse l’ispirazione del dio; l’interpretazione delle sue pronunce ispirate venne ad un certo punto affidata ad un sacerdote.

Il Trofeo di armi, IV sec. a.C. di fabbricazione apula o italico-meridionale, Staatliche Antikensammlungen, Monaco

Il Trofeo con armi, IV sec. a.C. di fabbricazione apula o italico-meridionale, Staatliche Antikensammlungen, Monaco

Gli antichi greci consideravano l’oracolo delfico – sia la profezia divina di Apollo sia la profetessa attraverso la quale si credeva egli parlasse – quale autorità decisiva su qualsiasi questione, che fosse religiosa, politica o sociale. Il dipinto, transitato negli anni ’70 nelle mani di alcuni collezionisti privati è infine approdato nel museo californiano.

IL TROFEO CON ARMI

Nell’ambito della stessa riunione del comitato ministeriale, è stato dato atto della lettera inviata dal Ministero al museo Staatliche Antikensammlungen di Monaco, in Germania, con la richiesta di restituzione di un Trofeo con armi, di dimensioni imponenti, composto da una schematica figura umana intagliata nel legno di circa 2,5 metri, abbigliata con una panoplia bronzea di produzione apula o italico-meridionale del IV secolo a.C., ritenuto riconducibile a scavi illeciti e illegalmente esportato. Su questa opera è stata anche avviata una rogatoria internazionale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Rispondi

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati *

*

Torna su