Tra poesia e arte, il mito di Taranto e Locri nella Francia sette-ottocentesca

Alexandre Schoenewerk, La Jeune Tarantine, marmo, 1871, Musée d'Orsay, Parigi

Alexandre Schoenewerk, La Jeune Tarantine, marmo, 1871, Musée d’Orsay, Parigi

Negli elegiaci versi del poeta francese André Chénier, morto a 31 anni sulla ghigliottina, e nelle sensuali forme marmoree del capolavoro di Alexandre Schoenewerk, rivive il mito della classicità magno-greca 

di Redazione FdS

Il nome Andrea Chénier nel 2021 evoca ai più l’omonima opera lirica nota in tutto il mondo composta dal musicista pugliese Umberto Giordano su libretto di Luigi Illica: un dramma storico che narra la vita del poeta francese André Chénier, vissuto all’epoca della rivoluzione francese – ai cui inizi partecipò attivamente – e giustiziato a 31 anni sulla ghigliottina per aver denunciato con coraggio gli eccessi del Terrore. In pochi ne conoscono invece l’opera letteraria che l’editore Latouche pubblicò postuma nel 1819 e che permise al pubblico di apprezzare i suoi lavori spazianti dalla lirica filosofeggiante alla poesia satirica, al teatro, alla letteratura orientale. Considerati il suo capolavoro, i versi de Les Bucoliques comprendono due composizioni ispirate al mondo classico delle città magno-greche di Taranto e Locri, La Jeune Tarentine (la Giovane Tarantina) e La Jeune Locrienne (la Giovane Locrese), che vi proponiamo nell’edizione parigina del 1907 ricavata dal manoscritto originale a cura dall’accademico di Francia José-Maria de Heredia. Lo stesso Heredia scrisse di Chénier: “Nessun poeta ha cantato così voluttuosamente e orgogliosamente la natura, la giovinezza, l’amore, gli eroi, gli dei, la giustizia e la libertà (…) Per la sua immortalità sarebbero bastati le Bucoliche e i Giambi. Ma fu ancora, prima dei trent’anni – un genio precoce e fecondo – un grande poeta epico, lirico, elegiaco e filosofico. Nei suoi versi così nuovi ha concentrato l’essenza dell’antichità, e con essa ha profumato per sempre la poesia francese. Vi tiene il posto tenuto a Roma da colui che fu detto il Cigno di Mantova. Quando i miei pensieri evocano l’ombra di André Chénier e la mia memoria canta i suoi versi divini, le mie labbra sussurrano involontariamente questo bel nome fraterno: Virgilio”.
 

Joseph-Benoît Suvée (attr.), Ritratto di André Chenier, Musée des Beaux-Arts de Carcassonne

Joseph-Benoît Suvée (attr.), Ritratto di André Chénier, Musée des Beaux-Arts de Carcassonne

Sebbene venga collocato in ambito pre-romantico e sia considerato un precursore del Simbolismo, la passione per la classicità, lo stile, i contenuti e il linguaggio legano André Chénier alle atmosfere settecentesche. Il rapporto con la grecità fu forse ispirato dalle ascendenze elleniche e dagli interessi culturali materni, ma trovò espressione soprattutto nello studio appassionato del greco classico che lo portò già a 16 anni a leggere correntemente Omero e Saffo in lingua originale. Una passione che nel 1786 lo spinse ad accettare l’invito di alcuni amici a partecipare a una crociera nel Mediterraneo durante la quale prevedevano di visitare l’Italia, la Grecia, Costantinopoli e le coste dell’Asia Minore. Ma dopo alcune entusiasmanti tappe italiane, come quella di Roma di cui rimane traccia in alcune elegie, il viaggio ebbe purtroppo termine a Napoli. La causa fu un attacco di nefrite, male di cui soffriva periodicamente, che lo costrinse a far ritorno a Parigi impedendogli così di raggiungere l’agognata Grecia in quella che rimase l’unica opportunità di visitarla.
 

Pietro Fabris, Templi di Paestum, 1761 c.

Pietro Fabris, Templi di Paestum, 1761 c.

Anche il territorio dell’antica Magna Grecia rimase per lui inesplorato, ma lo sentiamo riecheggiare con forza nei due idilli che andiamo a presentarvi, il primo dei quali La Jeune Tarentine (1785 ca.), ispirato a un passo degli Astronomica di Manilio e già pubblicato poco tempo dopo la sua morte dal fratello Marie-Joseph insieme all’elegia La Jeune Captive  – ispirò anche artisti come lo scultore neoclassico Alexandre Schoenewerk, che nel 1871 ne ricavò una sensualissima statua oggi esposta al Musée d’Orsay di Parigi, il pittore e litografo Henri Fantin-Latour e altri. Tali opere mostrano quanto fosse radicato il mito della Taranto classica negli ambienti europei del Neoclassicismo. Non meno spazio, in questo immaginario, trova la polis magno-greca di Locri evocata dal secondo idillio – La Jeune Locrienne, un inno all’amore libero, istintivo, senza costrizioni morali, incarnato da una giovane cortigiana – che, pur attingendo a numerose fonti greche, è fortemente ispirato ai versi del siceliota Teocrito, celebre inventore della poesia bucolica, che tanto influenzò Chénier soprattutto nella prima fase della sua produzione.

LA JEUNE TARENTINE

“Piangete o dolci alcioni, voi uccelli sacri
cari a Teti, piangete.

Viveva un tempo Myrto, la giovane tarantina.
Una nave la portava in Sicilia verso le rive di Camarina.
Là l’imeneo, i canti, i flauti,
lentamente dovevano condurla alla porta del suo amato.
Una premurosa chiave aveva per quel giorno
rinchiuso nella cassa di cedro il suo abito da sposa,
l’oro che avrebbe adornato le sue braccia per la festa
e i profumi da spargere sui suoi biondi capelli.
Ma, sola sulla prua, invocando le stelle,
la travolse l’impetuoso vento che soffiava tra le vele.
Atterrita, lontana dai marinai,
cadde gridando tra i flutti.
 

Alexandre Schoenewerk, La Jeune Tarantine (part.), marmo, 1871, Musée d'Orsay, Parigi

Alexandre Schoenewerk, La Jeune Tarentine (part.), marmo, 1871, Musée d’Orsay, Parigi

E i gorghi risucchiavano la giovane tarantina,
mentre l’onda marina trascinava roteando il suo bel corpo.
Teti, gli occhi ricolmi di lacrime,
ebbe cura di nasconderlo nell’incavo di una roccia
per sottrarlo ai famelici mostri del mare.
Su suo comando le belle Nereidi
lo sollevarono da quell’umida dimora,
lo portarono a riva
e lo deposero dolcemente
in un monumentale sepolcro
innalzato sul Capo Zefirio.
Poi, chiamate da lontano con alte grida le loro compagne,
le ninfe dei boschi, delle sorgenti e delle montagne,
cominciarono tutte a battersi il petto,
abbandonandosi a un lungo e luttuoso lamento
intorno al suo sepolcro: “ahimè!”
 

Alexandre Schoenewerk, La Jeune Tarantine (part.), marmo, 1871, Musée d'Orsay, Parigi

Alexandre Schoenewerk, La Jeune Tarentine (part.), marmo, 1871, Musée d’Orsay, Parigi

Ahimè! Dal tuo amato non hai fatto ritorno,
non hai più indossato il tuo abito da sposa,
bracciali d’oro non hai più annodato alle tue braccia,
e i dolci profumi non hanno irrorato i tuoi capelli.

traduz. dal francese a cura di Famedisud ©
 

 Alexandre Schoenewerk, La Jeune Tarantine (part.), marmo, 1871, Musée d'Orsay, Parigi

Alexandre Schoenewerk, La Jeune Tarentine (part.), marmo, 1871, Musée d’Orsay, Parigi

 
Henri Fantin-Latour, La Jeune Tarantine, incisione, 1921, Cleveland Museum of Art

Henri Fantin-Latour, La giovane tarantina cade dalla nave, incisione, 1903, Cleveland Museum of Art

 
E. Champollion, La Jeune Tarantine, incisione su disegno di M. Bida, XIX sec.

E. Champollion, Le Nereidi recuperano il corpo della giovane tarantina, incisione su disegno di M. Bida, XIX sec.

LA JEUNE LOCRIENNE
 

Francesco Jerace, Victa, marmo, XIX sec.

Francesco Jerace, Victa, marmo, XIX sec. | Image courtesy of Silvio Russino

“Fuggi, non consegnarmi a lui così; parti prima che egli ritorni,
alzati, vai, addio! Fallo prima che egli entri, prima che la tua vista
sia causa di grandi sciagure, prima che io sia perduta!
Ecco, guarda, non vedi arrivare il giorno? Vai…addio!”

[una giovane locrese intonava in pubblico questo canto rivolto a un immaginario amante…]

Stavamo godendo di questa sua ingenua e ridente follia,
quando all’improvviso, un italico saggio dalla nera barba,
magro, pallido, pensieroso, scalzo,
zelante cultore del silenzioso filosofo di Samo
ammirato dai cittadini di Metaponto,
alzandosi in piedi disse:
«O voi, Locresi perduti! Non vi vergognate?
Un tempo possedeste un tesoro di sante usanze.
Le vostre vergini oggi ricche di porpora e d’oro
accennano canti adulteri con le loro giovani bocche.
Ahimè, cosa ne è stato dei vostri austeri precetti,
del sacro pastore Zaleuco a cui Atena apparve in sogno
ispirandogli leggi riservate a voi?»
Pronunciando tali parole se ne andò…
La fanciulla rimase attonita,
i suoi occhi neri si bagnarono di improvvise lacrime.
La consolammo, e le sue ingenue risate,
le sue canzoni, la sua allegria, presto riaffiorarono.
Un giovane di Thuri, il cui nome mi è ignoto
ma la cui bellezza era pari alla sua,
uscì insieme a lei.
Penso che l’abbia seguito e
che le abbia fatto dimenticare
il grave Pitagora e il suo cupo allievo.

traduz. dal francese a cura di Famedisud ©

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

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