Terra dei Fuochi: il sacrificio di Roberto Mancini al centro di una fiction di Rai1 con Beppe Fiorello

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Roberto Mancini, poliziotto della Criminalpol scomparso nel 2014

Roberto Mancini, poliziotto della Criminalpol scomparso nel 2014

di Kasia Burney Gargiulo

L’indifferenza – insieme alla diffamazione, all’emarginazione e alla soluzione estrema dell’omicidio – è non di rado il principale strumento con cui in Italia si eliminano le persone scomode. Un’indifferenza colpevole, figlia della superficialità se non della dolosa connivenza. Ne sanno qualcosa le tante persone al servizio dello Stato e dei cittadini – magistrati, poliziotti, giornalisti, sindaci, sacerdoti – prontamente ‘arginate’ ogni qualvolta la loro azione sia giunta ad urtare gli interessi di loschi nuclei di potere. Una delle vittime meno note di tale indifferenza è stato il poliziotto Roberto Mancini, la cui storia vedremo raccontata oggi e domani nella fiction Io non mi arrendo in onda su Raiuno con protagonista il noto attore siciliano Beppe Fiorello.

Mancini è l’uomo che per primo, già vent’anni fa, intuì e verificò sul campo il traffico di rifiuti pericolosi in quella che sarebbe diventata la famigerata Terra dei fuochi, ossia quel pezzo di Campania, fra le province di Napoli e Caserta, trasformata in una discarica di rifiuti tossici e quotidianamente attanagliata da roghi di monnezza dai quali si sprigiona la micidiale diossina, con esiti devastanti per la popolazione locale. Quello di Roberto Mancini è stato un impegno in prima linea che lo avrebbe portato ad esporsi agli inesorabili effetti di un inquinamento che in alcune zone raggiunge livelli di gravità estrema. La ferrea volontà di venire a capo della verità fece sì che il poliziotto trascurasse del tutto i rischi per la sua salute: lasciato da solo in una battaglia contro ombre demoniache, che in realtà hanno nomi e cognomi, scavò personalmente nei terreni inquinati, per procurarsi le prove che, ha raccontato un suo collega, sono state lasciate sepolte vergognosamente nei cassetti delle istituzioni. Entrò così a contatto con sostanze molto pericolose, finendo con l’ammalarsi di tumore. Ma anche quando, insieme alla moglie Monika, raggiungeva lo studio dell’oncologo che lo aveva in cura, la sua preoccupazione principale era quella di capire se avrebbe o meno avuto il tempo di concludere la sua indagine. Roberto Mancini purtroppo è morto nel 2014 ma la sua storia approda solo ora all’attenzione del grande pubblico.

Prima del film che andrà in onda questa sera, alla vicenda di Roberto Mancini è stato dedicato il libro Io, morto per dovere (ed. Chiarelettere, 2016) scritto a quattro mani da Luca Ferrari e Nello Trocchia, nel quale si legge appunto come il poliziotto nel 1996 avesse depositato una dettagliata informativa di 250 pagine alla Procura della Repubblica di Napoli, nella cui premessa si legge l’oggetto di un lavoro durato ben due anni, ossia “Spiegare come camorristi, imprenditori ‘ecomafiosi’, usurai, banchieri, bancari e professionisti della finanza possano concorrere, da luoghi e con tempi e ruoli diversi, alla realizzazione di un progetto unico dagli effetti letali per il sistema economico nazionale e per l’ambiente”. Tale informativa – come racconta agli autori del libro uno dei colleghi di Mancini – per ben 15 anni sarebbe “rimasta sepolta senza ritegno nei cassetti”. “Noi non esistevamo – aggiunge il poliziotto – eravamo ectoplasmi, ma abbiamo messo l’anima in quella indagine”.

Rogo tossico di rifiuti nei pressi dell'Aeroporto di Napoli - Ph. Pagina FB La Terra dei Fuochi

Rogo tossico di rifiuti nei pressi dell’Aeroporto di Napoli – Ph.  La Terra dei Fuochi

I fatti risalgono ai primi anni ’90 quando un piccolo gruppo di poliziotti della terza squadra della Criminalpol di Roma, già impegnata in indagini sulla camorra, comincia ad occuparsi della gestione dei rifiuti fra Lazio e Campania, tema sul quale il livello di attenzione di magistratura e forze dell’ordine era in quel momento praticamente pari a zero. Tutti, persino alcuni familiari dello stesso Mancini, guardarono con incredulità e ironia a quell’indagine, ignari del vasto giro di interessi che, fra l’assenza di leggi adeguate e la distrazione della popolazione, portò imprenditori e camorristi, uniti da un patto mostruoso, ad avvelenare intere aree della Campania. Il meccanismo scoperto dalla squadra di Mancini era in realtà molto semplice: i boss locali, per conto di imprenditori senza scrupoli, molti dei quali del nord Italia, si incaricavano di far smaltire a basso costo sul territorio campano tonnellate di rifiuti tossici la cui regolare gestione avrebbe comportato spese molto più elevate. Un meccanismo che in realtà non era affatto ignoto alle istituzioni visto che nel 1992 il boss pentito Nunzio Perrella si era rivolto agli inquirenti con una frase spiazzante – “La monnezza è oro, dotto’, e la politica è ‘na monnezza” – raccontando così lo sporco affare dei rifiuti. Un anno dopo seguirono decine di arresti, ma il procedimento si concluse con assoluzioni, prescrizioni e qualche condanna di poco conto.

Una situazione che accentuò la caparbietà della piccola squadra di Roberto Mancini (meno di 10 uomini) nel voler ricercare a tutti i costi le prove schiaccianti che potessero inchiodare i responsabili. L’occasione fu favorita dalla nomina nel 1997 di Roberto Mancini a consulente a tempo pieno della Commissione Parlamentare sul ciclo dei rifiuti; tale collaborazione comportò numerosi sopralluoghi nelle discariche abusive dove Mancini e i suoi uomini vennero a contatto per anni con i rifiuti tossici. Un attività pagata ad alto prezzo perchè – come racconta uno dei colleghi di Mancini – oltre a Roberto, anche un altro membro della squadra è morto di leucemia e altri due si sono ammalati.

I colleghi raccontano come Roberto avesse dato tutto se stesso per riuscire ad assolvere fino in fondo il suo compito, e come pochi giorni prima di morire rimpiangesse il fatto di non aver avuto il tempo sufficiente per riuscire a consegnare alla giustizia tutti i responsabili di quella devastazione. Eppure ad anni di distanza da quell’immane fatica investigativa, dopo diverse mobilitazioni della cittadinanza e vacui proclami della politica, la Terra dei Fuochi è ancora una triste realtà. Molte le promesse e poche le bonifiche, e intanto – soprattutto nel famigerato ‘triangolo della morte’ di Acerra, Nola e Marigliano – la Terra dei Fuochi, buco nero di una democrazia inquinata dal malaffare, continua a provocare più morti di una guerra civile.

Nel frattempo c’è un processo in corso dal 2011, quello contro Cipriano Chianese, “l’inventore dell’ecomafia”, messo sotto inchiesta per disastro ambientale. A lui si è arrivati grazie ad indagini svolte negli anni 2000 ma già nel dossier redatto da Mancini negli anni ’90 era svelato tutto il sistema criminale ruotante intorno ai rifiuti, e lo stesso Chianese – avvocato e persino candidato al Parlamento – vi veniva descritto come un pezzo grosso del business illegale della monnezza. Eppure nessuno volle prenderlo in considerazione, almeno fino a quando un pm napoletano non chiamò Mancini nel suo ufficio chiedendogli di sbobinare tutte le telefonate allegate alla sua vecchia informativa. La nemesi vuole che Roberto stia riuscendo a dare fastidio anche da morto perchè le prove da lui raccolte si stanno rivelando decisive nel processo contro Chianese, individuo che ha operato indisturbatamente fino al duemila consentendo, come dichiara l’accusa, che i peggiori rifiuti avvelenassero una delle terre più belle e fertili d’Italia.

Insieme a Roberto Mancini vogliamo ricordare il sacrificio di un altro uomo, il vigile urbano di Acerra (Napoli) Luigi Liguori, la cui storia vi abbiamo raccontato nel 2014.

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