Ori della Magna Grecia | Il «tesoro» della Sacerdotessa di Taranto al British Museum

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Collana in oro con rosette, palmette di loto, ghiande e protomi femminili, dal “Tesoro della Sacerdotessa”, Taranto, 350-330 a.C.  | British Museum, Londra /  A destra: testa femminile con diadema, terracotta dipinta, IV secolo a.C. | Museo Archeologico Nazionale, Taranto – Photogallery nel testo

“O tu che hai la suprema forza per sempre invincibile di Zeus,
Racchiusa nei grembi cerulei, aereiforme,
Hera di tutto sovrana, beata sposa di Zeus,
che offri ai mortali gradevoli brezze che nutrono la vita,
madre delle piogge, nutrice dei venti, origine di tutto…”

Inni Orfici

di Kasia Burney Gargiulo

“Le parole dell’inno alla dèa aleggiavano ancora nella penombra della cella, quando lei apparve sul confine dell’ombra, fra le colonne del tempio. Fuori un sole accecante faceva brillare l’azzurro smalto del Mar Grande e accendeva di aurei riflessi il lungo hymation di bisso indossato con portamento regale. Lo sfavillìo del tessuto, mosso dalla brezza marina dal sentore di salsedine, sfidava quello dei suoi gioielli rituali, degni d’una regina. Avanzò nel silenzio dell’ora meridiana guardandosi intorno con la coda dell’occhio. Nessuno l’aveva scorta, tranne il vecchio barrocciaio che, un po’ assopito, l’attendeva sul carro trainato da bianche giovenche. Era venuto per condurla alle pubbliche danze in onore di Hera, patrona dei matrimoni e dei parti…”. Ben si presta alle suggestioni narrative uno dei corredi funerari più raffinati che l’oreficeria della Taranto magno-greca abbia mai prodotto, appartenuto ad uno di quei personaggi misteriosi, sul confine fra realtà e leggenda, che l’archeologia talvolta ci restituisce. Si tratta del corredo della cosiddetta “Sacerdotessa di Taranto”, un trittico di oggetti d’oro di straordinaria fattura che dal 1872 è in mostra permanente  presso il British Museum.

Gli ori della sacerdotessa di Taranto

Anello a castone ovale rialzato, oro, 350-330 a.C.| British Museum, Londra

Gli ori della sacerdotessa di Taranto

Collana con rosette, palmette di loto, ghiande e protomi femminili, oro, 350-330 a.C. | British Museum, Londra

Gli ori della sacerdotessa di Taranto

Scettro (part.), oro, 350-330 a.C. | British Museum, Londra

Gli ori della sacerdotessa di Taranto

Scettro, oro, 350-330 a.C. | British Museum, Londra

Gli ori della sacerdotessa di Taranto

Scettro (part.), oro, 350-330 a.C. | British Museum, Londra

Gli ori della sacerdotessa di Taranto

Scettro (part.), oro, 350-330 a.C. | British Museum, Londra

Gli ori della sacerdotessa di Taranto

Scettro (part.), oro, 350-330 a.C. | British Museum, Londra

Il museo londinese acquistò il gruppo di reperti dal gioielliere e collezionista romano Alessandro Castellani, che lo indicò come proveniente da Taranto, dove sarebbe stato rinvenuto in una sepoltura femminile detta Tomba della Sacerdotessa. Un contesto quindi che sembra suggerire l’attribuzione ai tre oggetti di una valenza rituale connessa al culto che la donna presiedeva.

UNO SCETTRO DA REGINA

A spiccare fra tutti è uno scettro di ca. 52 cm., oggetto di eccellente fattura e di assoluta rarità nell’ambito dell’oreficeria greca, estraneo agli abituali monili femminili, allusivo com’è alla posizione di potere ricoperta dalla sua proprietaria, il cui ruolo religioso, e non politico, sembrerebbe confermato dal fatto che le ultime forme di governo monarchico a Taranto non sembrano aver superato il 473 a.C.

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Il cosiddetto “pendente” in cristallo di rocca e oro, IV sec. a.C., Museo Archeologico Nazionale, Taranto

Realizzato con tecnica e gusto raffinatissimi, lo scettro era costituito in origine da una verga in legno, avorio o osso (parte deperibile oggi rimpiazzata da un cilindro in resina) rivestita da una rete di maglie d’oro, costruita in 14 sezioni pressoché uguali, con smalti bianchi e blu incastonati negli anelli posti all’incrocio dei fili e disposti a spirale lungo l’asta. Uno splendido capitello corinzio nella parte superiore dello scettro fa da base ad un grosso vago di vetro verde a sei lobi – forse una mela cotogna stilizzata – avvolto da otto foglie di acanto o di quercia. Elemento che in qualche modo ricorda il cosiddetto “pendente” in cristallo di rocca e oro conservato al Museo Archeologico Nazionale di Taranto, la cui vera funzione potrebbe essere stata appunto quella di pomo di uno scettro andato perduto. La parte inferiore è invece costituita da un disco d’oro decorato con cerchi concentrici di fili a rilievo con al centro una rosetta a petali concavi sormontata da una sfera di oro massiccio. Secondo gli studiosi britannici Dyfri Williams e Jack Odgen questo scettro costituisce un unicum da quando il cosiddetto “scettro della Tomba degli Ori di Canosa”, esposto al Museo di Taranto, è stato reinterpretato da Bernard den Driessche come il manico di un elaborato flabello.

L’ANELLO A CASTONE

Richiama una figura femminile anche un anello con castone ovale rialzato – il più bello della serie di anelli magno-greci a castone finora ritrovati, secondo i citati Williams e Odgen – decorato con la sagoma a rilievo di una donna dal lungo chitone che, seduta, ha accanto alla mano sinistra un oggetto che potrebbe essere uno scettro. Se così fosse, sarebbe un elemento di personalizzazione che rimanderebbe ad una realizzazione su commissione dell’intero corredo.

LA COLLANA

Anche due elementi del terzo oggetto sembrerebbero rafforzare la consistenza storica della misteriosa figura sacerdotale: si tratta di due delle numerose teste femminili (protomi), grandi e piccole, che adornano una straordinaria collana d’oro a rosette, palmette di fiori di loto doppi e ghiande. Esse si mostrano munite di corna e orecchie taurine, attributi della mitologica Io, celebre sacerdotessa di Hera. Ci troviamo dunque di fronte a una serie di indizi che fanno propendere per una reale presenza a Taranto di una sacerdotessa che presiedeva il culto della regina degli dèi, sebbene non manchi la voce contraria di chi sospetta che i tre oggetti siano stati raggruppati ad arte dallo stesso Castellani, muovendo soprattutto dall’osservazione che il tipo di anello a castone incluso nel corredo era diffuso soprattutto in area campana.

Sottoposta a un restauro non filologico da parte dello stesso Castellani (la sua fu una famiglia di orafi che padroneggiavano tecniche e modelli dell’oreficeria antica), la collana è stata di recente ripulita delle aggiunte moderne (una rosetta, otto grani sferici, una delle teste più grandi e due terminali), mentre un’analisi tecnico-stilistica ha portato lo studioso Dyfri Williams a ricondurre la manifattura dei tre oggetti a uno stesso orafo, quello già noto per il corredo funerario rinvenuto a Crispiano (Taranto) composto da un diadema con decorazioni floreali e una coppia di orecchini a disco con pendente centrale a protome femminile, custodito presso il MarTA. Si tratta dell’orafo chiamato dagli studiosi “Maestro di Crispiano”, di probabile origine greco-orientale, forse tra i pionieri dell’oreficeria a Taranto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bibliografia:
Williams Dyfri, Masterpieces of Classical Art, British Museum, London 2009, pp. 360
Dyfri Williams, Jack Ogden, British Museum, Metropolitan Museum of Art (New York, N.Y.), Greek gold: jewelry of the classical world, Abrams, New York 1994, pp. 256
The J. Paul Getty Museum, Studia Varia from the J. Paul Getty Museum, 1993, pp.140
Gianpiero Romano, La “Tomba della Sacerdotessa di Taranto”, in Archeotaranto

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