I Bronzi di Siris: un capolavoro dell’arte toreutica magnogreca, dalla Lucania al British Museum

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I cosiddetti Bronzi di Siris, frammenti della decorazione di una corazza risalente al IV sec. a.C. (390-340), British Museum. Londra

di Kasia Burney Gargiulo

Proseguendo il nostro viaggio fra le mirabilia del Sud Italia sparse per i musei del mondo, spesso a causa di illegittime esportazioni, rifacciamo tappa al British Museum di Londra dove, presso la sezione di Antichità Greco-Romane, troviamo un altorilievo di manifattura magno-greca che il critico d’arte statunitense Charles C. Perkins nel 1885 definì “il più raffinato esempio noto di arte toreutica [ossia quella di lavorare il metallo con decorazioni a incavo o a rilievo, tramite il cesello, lo sbalzo e l’incisione – NdR]”, precisando come “nelle parti del rilievo che spiccano più arditamente, lo spessore del bronzo battuto non supera quello di una carta da lettere pesante”. Si tratta dei cosiddetti Bronzi di Siris, due frammenti alti circa 18 cm. appartenuti a una corazza decorata a rilievo con un scena di Amazzonomachia, tema iconografico tipico dell’arte greca.
 

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Disegno di uno dei due frammenti della corazza bronzea di Siris, tratto dalla pubblicazione di Peter Oluf Brøndsted, London, 1836. Disegno di Riepenhausen, incisione di Bettelini (Roma)

In entrambi i frammenti, sullo sfondo di mantelli fluttuanti, si nota la figura di un guerriero nudo munito di elmo e scudo che atterra un’amazzone colpendola col ginocchio e afferrandola per i capelli. Anche le due figure femminili imbracciano uno scudo, oggetto di cui in entrambi i reperti compare anche un ulteriore esemplare poggiato sul suolo. Su uno dei due frammenti spicca infine una pelle di leone del tipo usualmente indossato dal mitico eroe Herakles. Il soggetto, secondo l’archeologo danese Peter Oluf Brøndsted che per primo pubblicò i reperti nel 1836, riecheggerebbe nella composizione la scena – molto ricorrente nell’arte antica – di Ajace Oileo che durante la guerra di Troia assale la profetessa Cassandra, figlia del re Priamo, mentre i personaggi di questa specifica rappresentazione, secondo Perkins, si prestano a diverse interpretazioni: da Achille che uccide Pentesilea, regina delle Amazzoni, ad Ajace Oileo che uccide l’amazzone Derione, non escludendo peraltro la possibilità che si tratti di un convenzionale gruppo di guerriero greco e amazzone senza un’identità ben precisa.
 

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Disegno del secondo frammento della corazza bronzea di Siris, tratto dalla pubblicazione di Peter Oluf Brøndsted, London, 1836. Disegno di Riepenhausen, incisione di Bettelini (Roma)

Pur nella sua frammentarietà si tratta di un’opera di grande pregio [Brøndsted ci informa che in origine la corazza presentava anche una compatta doratura, purtroppo scomparsa] che ha stimolato l’interesse di vari autori, non sempre precisi nella identificazione del contesto di rinvenimento, peraltro noto. E’ il caso, ad es., dello scrittore britannico Norman Douglas, che nel suo splendido diario di viaggio Old Calabria, attribuisce la corazza del British – da egli definita “nello stile di Lisippo” – al re d’Epiro Alessandro il Molosso, zio materno di Alessandro Magno, perito intorno al 330 a.C. durante un attacco contro i Lucani sotto le mura di Pandosia, città che Douglas – come altri – identifica con Pandosia Bruzia (l’odierna Acri, in Calabria). A parte l’opinabilità di tale identificazione – vari studiosi ritengono infatti si tratti di Pandosia Lucana (l’odierna Tursi, in Basilicata) – resta il fatto che i frammenti della corazza sono stati rinvenuti nel 1820 nell’area archeologica di Grumentum, antica città romana della Lucania i cui resti si trovano ai piedi del colle su cui oggi sorge il paese di Grumento Nova (Potenza) e al cui nome è legato anche l’arcaico cavaliere in bronzo custodito nello stesso museo. I reperti, racconta Brøndsted, sono riemersi dalle rovine di quello che sembrava un piccolo tempio.

I due frammenti, ritenuti di manifattura tarantina, sono pervenuti nel 1833 al British Museum che li acquistò per 1000 £ grazie ad una sottoscrizione pubblica coperta per una parte dagli amministratori del museo e per il resto dalla Society of Dilettanti, gruppo di nobili e di esperti che a Londra promuoveva lo studio dell’arte greco-romana. Essi erano stati acquistati a Napoli dall’archeologo danese Peter Oluf Brøndsted, di ritorno da un viaggio che lo aveva portato nelle Isole Ioniche, a Malta e in Sicilia. Giunto in Inghilterra, li vendette al British Museum attribuendoli alla scuola di Lisippo. Entrambi i due frammenti sono stati illustrati, tramite alcune incisioni, nella pubblicazione The Bronzes of Siris curata dallo stesso Brøndsted ed edita nel 1836 dalla Society of Dilettanti.
 

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Disposizione originaria dei due Bronzi di Siris, incisione di Ruspi (Roma), tratta dalla pubblicazione di Peter Oluf Brøndsted, London, 1836

Se Douglas nel 1915 chiamò in causa la Calabria e Alessandro il Molosso per la paternità della corazza, Brøndsted cita correttamente Grumentum come luogo del ritrovamento e pone in correlazione l’oggetto con Pirro, anch’egli re dell’Epiro e membro della stessa dinastia dei Molossi che, sbarcato in Italia nel 280 a.C., prese il comando di una coalizione greca contrapposta ai Romani, il cui esercito guidato dal console Publio Valerio Levino fu battuto dall’epirota nella Battaglia di Heraklea (l’odierna Policoro, in Lucania), grazie alla superiorità della cavalleria e alla potenza dei suoi elefanti. Pirro ebbe il suo accampamento nella pianura fra Pandosia Lucana ed Heraklea, nei pressi del fiume Siris (l’odierno Sinni), nome appartenuto anche alla città magno-greca fondata nel VII sec. a.C. presso la sua foce. In questa ricostruzione rimane l’interrogativo di come la corazza sia poi finita a Grumentum, ma a tal proposito non è da escludere che possa essere stata portata via da qualcuno come bottino di guerra, probabilmente sottratta all’ufficiale Megacle che, secondo la tradizione, indossò l’armatura di Pirro per sviare il nemico, scelta che gli costò la vita per mano di un soldato romano. Altri autori di fine ‘800, come l’archeologo francese François Lenormant, hanno invece ritenuto di porre il reperto in correlazione con Alessandro il Molosso o uno dei suoi generali, ascrivendolo stilisticamente alla scuola del celebre scultore Scopas. La questione è ancora aperta, e forse lo rimarrà per sempre. Tuttavia che la corazza sia appartenuta all’una o all’altra delle due figure regali o a taluno dei loro ufficiali, è un dilemma che nulla toglie alla magnificenza di quest’opera, testimone eloquente della raffinatissima civiltà magnogreca.

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I Bronzi di Siris nel disegno tratto da una pubblicazione italiana del 1842

Bibliografia:
AA.VV., Guide to the Bronze Room, British Museum, London, 1871
AA.VV.,Teatro Universale. Raccolta enciclopedica e scenografica pubblicata da una Società di Librai italiani, Tomo IX, Anno nono – 1842, pp. 297-98
Peter Oluf Brøndsted, The Bronzes of Siris, now in the British Museum, Printed for the Society of Dilettanti by W. Nicol, Pall-Mall, London, 1836, pp.57
Norman Douglas, Old Calabria, ed. Giunti, Firenze, 1992, pp. 297-98
Charles C. Perkins, The Siris Bronzes, in American Journal of Archaeology, Vol. I [Plate VI], 1885, pp. 162-163
François Lenormant, La Grande Grèce, Paris, 1881-1884

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