Un progetto per salvare il parco di Sibari dalle acque: intervista al direttore Demma e all’ingegnere Domanico

Cicogne negli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin

Cicogne sulle rovine dell’antica città di Thurii-Copiae invase dalle acque, 2018, Parco Archeologico di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«L’acqua è la vera maledizione di chiunque si ponga a scavare questa plaga»
Umberto Zanotti Bianco

di Enzo Garofalo

Sibari. Una città e un”mito” della storia e dell’archeologia che da secoli affascina studiosi e curiosi per la raffinata civiltà che ha saputo esprimere e per la rapida parabola di splendore e caduta intercorsa tra la sua fondazione achea alla fine dell’VIII secolo a.C. e la sua distruzione nel 510 a.C. ad opera dei Crotoniati. Com’è noto, a tale crollo seguirono la “rinascita” sotto il nome di Thurii, la nuova città panellenica voluta dall’Atene di Pericle e affidata nel suo impianto al celebre urbanista greco Ippodamo di Mileto, e – dopo un periodo di dominio lucano – la sua “terza vita”, coincidente con quella della colonia romana di Copiae, sopravvissuta con alterne fortune fino al VI sec. d.C. Coprotagonisti di questa storia, anche se collocati apparentemente sullo sfondo, sono i due fiumi – il Crati e il Sybaris – che nel bene e nel male ne hanno accompagnato le vicende: nel bene, quali elementi della fertilità di un territorio in cui si coltivavano ulivi, viti, frumento, frutta, e si producevano olio e vino; nel male, perché secondo la leggenda la città fu sommersa dal fiume Crati volutamente deviato dai Crotoniati, ma anche per le continue inondazioni subite dall’area archeologica che, scavata a partire dalla fine degli anni ’60, fa parte di un territorio in passato più volte bonificato perché soggetto a impaludamenti; senza peraltro trascurare la presenza di una vasta falda freatica identificata come la principale responsabile dei problemi idrogeologici dell’attuale parco archeologico; una situazione che ha imposto da anni l’adozione di un costosissimo sistema di pompe aspiranti ad alimentazione elettrica (well-points) per tenere all’asciutto l’area degli scavi.

Proprio a tale difficile rapporto con l’acqua – motivo di grave ostacolo per la ricerca archeologica e, talvolta, anche per la stessa fruizione dell’area -, punterà a dare una risposta risolutiva un progetto di intervento in più fasi (Grande Progetto Sibari) presentato nei mesi scorsi dall’archeologo Filippo Demma, direttore del Parco, e da Nilo Domanico, l’ingegnere rossanese reduce dalla progettazione dell’orto botanico più grande del mondo nel deserto dell’Oman; a lui si devono un più corretto inquadramento delle criticità dell’area sibarita e la relativa proposta risolutiva. Per comprendere a grandi linee il carattere di tale intervento, abbiamo posto a entrambi alcune domande.

FILIPPO DEMMA

Filippo Demma

Filippo Demma

Direttore Demma, può spiegarci per sommi capi in cosa consiste il Grande Progetto Sibari?

Il Piano Strategico Grandi Progetti Culturali è un importante investimento del Ministero della Cultura rivolto a siti di notevole importanza culturale per i quali risulta urgente realizzare progetti organici di tutela e valorizzazione [le linee generali sono descritte QUI – NdR]. Il Parco archeologico di Sibari è beneficiario di un finanziamento di circa 3 milioni di euro su quest’asse. Si è ritenuto opportuno destinare la maggior parte di questa cifra per finanziare una serie di studi che portasse alla definizione della sequenza di azioni necessarie a risolvere definitivamente il problema della subsidenza [abbassamento del suolo – NdR] cui sono sottoposte le aree archeologiche pertinenti agli antichi siti di Sybaris, Thurii e Copiae. Gli studi hanno consentito la realizzazione di un Masterplan che prevede una serie di interventi, ciascuno in sé concluso e funzionale, il cui dispiegamento completo tende a raggiungere l’obiettivo sopra descritto. Come spiegherà più nel dettaglio l’ingegnere Domanico, si tratta di un sofisticato sistema di trincee in cui, individuata la direzione della sua provenienza, l’acqua di falda viene intercettata, in parte pompata ed utilizzata a scopi irrigui e in parte drenata nel canale degli Stombi. Il sistema è improntato a un’idea di sostenibilità e circolarità: la terra di risulta viene impiegata nella realizzazione di argini naturali lungo il corso del Crati; l’acqua pompata viene utilizzata per l’irrigazione dei campi – incredibilmente soggetti a desertificazione – il sito archeologico viene mantenuto in sicurezza. I fondi del Grande Progetto, oltre ad aver consentito la stesura del Masterplan, finanziano il primo degli interventi previsti, con il quale si riuscirà a portare a quota zero la falda sotto al Parco del Cavallo che, se non fosse attualmente controllata con il sistema dei wellpoints, raggiungerebbe quota +2,5 metri al di sopra del piano antico.

Quali sono, a livello amministrativo, gli step che l’intervento tecnico pensato dall’ingegnere Domanico dovrà affrontare per diventare realtà operativa?

Oltre al Masterplan, Domanico ha steso il DIP del primo intervento ed il capitolato con il quale la sua progettazione esecutiva verrà affidata, dopo opportuna selezione, ad un team di progettisti. Consegnato e validato, il progetto esecutivo verrà messo a gara e i lavori potranno cominciare.

Quali cautele intende adottare affinché non si rischino nuovi episodi di sperpero di denaro pubblico come quelli avvenuti in passato col finanziamento di soluzioni poi rivelatesi fallimentari…?

La normale applicazione dei principi dell’azione amministrativa contemplati dalla normativa, l’applicazione puntuale di uno stringente protocollo di legalità per l’espletamento delle gare d’appalto in via di sottoscrizione con la Prefettura di Cosenza; la previsione di un periodo di manutenzioni ordinarie delle opere comprese nei contratti di appalto per la realizzazione delle opere; la cura e la professionalità. Insomma niente che ecceda la normale amministrazione.

Quali saranno i vantaggi dal punto di vista archeologico garantiti dalla nuova soluzione che si intende adottare? Mi riferisco non solo alla fruibilità dell’area di scavo ma anche e soprattutto alle prospettive di apertura di nuovi cantieri di ricerca…

Dover impiantare un sistema appositamente progettato di well-points [l’attuale sistema di pompe idrovore – NdR] intorno ad ogni nuovo cantiere di scavo aumenta a dismisura i costi di qualunque intervento di ricerca, oltre a complicare le normali operazioni di raccolta dei dati. L’elevato costo degli attuali sistemi drenanti impedisce di fatto la progettazione di qualunque estensione della superficie scavata. Venendo meno questi elementi, le possibilità che si aprono alla ricerca risultano evidenti.

Qualche considerazione più ampia sul rapporto tra il Parco di Sibari e il pubblico…La sensazione è che fino ad oggi diversi fattori abbiano contribuito a relegare a un ruolo marginale ciò che resta di una città diventata già nell’antichità un mito mediterraneo per via di una sorta di riconosciuto primato intellettuale. A tale gruppo di fattori sembrerebbe doversi ascrivere non tanto la collocazione geografica oggi periferica del sito, quanto piuttosto un mai coltivato rapporto ”identitario” tra le comunità locali e la storia della Sibaritide così come una passata gestione spesso intrisa di colpevole indifferenza, senza trascurare quello che lei ha di recente definito “un chiaro problema di legalità” presente nell’area circostante il parco: furti, rapine, prostituzione, occupazione abusiva di terreni demaniali afferenti al parco. Qual è la strada che intende percorrere perché la Sibari del presente e, si spera, anche quella che riemergerà in futuro, possa essere riscattata dal degrado e diventare, insieme all’incantevole contesto naturale in cui è ubicata, un luogo meritevole di far parte dei principali circuiti turistico-culturali del nostro Paese?

Il concetto di identità culturale è qualcosa di estremamente delicato e assolutamente complicato da maneggiare. L’identificazione culturale tra la comunità moderna e quella antica è un dato di fatto caratterizzante, dalla toponomastica, ai nomi scelti per scuole, cooperative agricole, negozi, fino ai discorsi più o meno pertinenti di rappresentanti politici locali e nazionali; sembrerebbe cioè un dato acquisito. Ovviamente si tratta di un malinteso e la realtà dei fatti va poco più in là delle intenzioni. Tuttavia una volta che il Museo avrà recuperato un ruolo culturale e educativo, i significati verranno ristrutturati e le distonie si attenueranno. Soprattutto: non è necessario ricorrere al concetto di identità culturale per stimolare la curiosità verso un luogo della cultura e la sua frequentazione. Il senso di appartenenza ad una comunità, che è concetto forse affine, ma diverso e più maneggevole, aiuta in questo senso assai di più. E i concetti di Museo di Comunità e di Comunità Educante sono per l’appunto quelli ai quali abbiamo già iniziato ad ispirarci per la nostra azione, che deve portare in primis al recupero di un principio di legalità.

Che tipo di azioni sono state previste in quest’ultimo ambito?

Nel campo della legalità le azioni sono state di due tipi, il primo è relativo al controllo ed alla messa in sicurezza del patrimonio. Per raggiungere questo obiettivo è stato chiesto, ottenuto, progettato e messo a gara in pochi mesi un finanziamento al Ministero dell’Interno sull’asse del PON Legalità; i lavori di installazione dei presidi di sicurezza sono stati affidati le scorse settimane. Queste operazioni sono preliminari e necessarie per poter procedere alla ristrutturazione del sistema di concessioni dei fondi agricoli di pertinenza del Parco. Le azioni del secondo tipo sono invece più decisamente culturali e riguardano lo stimolo alla riflessione e l’educazione ai principi della legalità tramite laboratori didattici rivolti principalmente alle scuole.

Può farci qualche esempio?

Un esempio sono i laboratori che stiamo programmando: “Copycat: speranze replicabili” coinvolgerà studenti dell’Istituo Professionale ‘Erodoto’ di Cassano allo Jonio e detenuti della casa circondariale di Castrovillari. I primi insegneranno ai secondi a scansionare e poi riprodurre con stampanti 3D alcuni reperti conservati nel Museo. Le operazioni saranno precedute naturalmente da introduzioni storiche e archeologiche sugli oggetti, il loro significato, la loro importanza. Le copie verranno prima esposte sia in carcere che al Museo, poi messe a disposizione di pubblico non vedente che sarà introdotto alla conoscenza dalle spiegazioni degli stessi ragazzi che le hanno realizzate. Per poter procedure alle attività laboratoriali sia il personale del Museo che i docenti della scuola coinvolti saranno preventivamente formati con un corso specifico tenuto dalla onlus Maestri di Strada che lavora sugli operatori didattici impegnati in contesti di disagio sociale. Il Museo in questo modo fornisce lo spunto, le risorse economiche e materiali ed il personale per un’operazione culturale che coinvolge le comunità scolastica e carceraria. Queste comunità non restano però esclusivamente ricettive, ma si fanno parte attiva dell’azione auto-educativa da un lato ed educante dall’altro, nei confronti ad esempio della comunità non vedente. I benefici in termini di educativi vengono così esponenzialmente moltiplicati. Si sta poi lavorando al progetto denominato “Di genio e meraviglie: percorsi tra mito e cronaca, bellezza e mafia”, ispirato al libro del giornalista Arcangelo Badolati “La Calabria delle meraviglie” e volto a mettere in campo un’azione decisa di contrasto alla mentalità mafiosa attraverso un’educazione alla legalità veicolata dal patrimonio culturale della Sibaritide e, in generale, dell’intera Calabria; un progetto che nella sua prima edizione coinvolge il Presidio Libera di Cassano e alcuni licei del circondario in un’esperienza-pilota da allargare agli altri istituti dell’Alto Ionio nelle prossime edizioni. Sono poi previste una serie di iniziative rivolte a diversi pubblici adulti, che il Parco sta programmando in collaborazione con il presidio di Cassano dell’associazione Libera e con altre onlus impegnate nel territorio. Apriremo poi una stagione di progettazione partecipata delle nostre attività culturali e prevediamo per il secondo biennio del mio mandato la sperimentazione di un partenariato speciale pubblico-privato per la progettazione di un vasto piano di valorizzazione e per la gestione partecipata di alcuni servizi culturali.

Si direbbe un processo di maturazione culturale di lungo periodo…Sul piano invece più strettamente turistico come vede il futuro?

Penso che quando i luoghi avranno riacquistato sicurezza e dignità ed i progetti saranno avviati, sarà quello il momento nel quale dovrà chiarirsi se questo territorio vuole aprirsi a politiche di turismo esperienziale e sostenibile che rimettano Sibari e i suoi scavi al centro di circuiti nazionali ed internazionali. Come sa chiunque abbia un minimo di congnizioni di marketing territoriale, il lancio turistico del territorio è frutto esclusivamente di una forte volontà politica che investa in accoglienza e accessibilità.

 NILO DOMANICO

Nilo Domanico

Nilo Domanico

Ingegnere Domanico, può dirci tecnicamente quali sono le problematiche di cui soffre il sito archeologico di Sibari?

Ad oggi soltanto una minima parte del patrimonio archeologico di Sibari è stato scoperto a causa dell’assetto idrogeologico dell’area poiché il livello della falda non confinata è tale da complicare e rallentare la venuta alla luce dell’area archeologica sommersa da una particolare combinazione di fattori di natura idro-geo-morfologica ed antropica. La piana di Sibari costituisce una “anomalia” nell’ambito del movimento tettonico dell’area in cui ricade. Con specifico riferimento alla zona del Parco Archeologico, le ricerche hanno evidenziato un fenomeno di subsidenza testimoniato dalla presenza di tre città sovrapposte in alcune parti: Sybaris, Thurium e Copiae, attualmente ad una profondità che varia da 7 a 3,5 m al di sotto del piano campagna. Il tasso della subsidenza connessa alla consolidazione per peso proprio dei sedimenti pleistocenici ed olocenici, stimato al netto delle variazioni di quota di natura tettonica e glacioeustatica, è andato via via riducendosi, ma negli ultimi decenni la velocità di abbassamento del suolo è diventata importante anche per cause antropiche, riconducibili essenzialmente all’azione del sistema well-points impiegato da qualche decennio per liberare dall’acqua gli scavi archeologici.

Come interferisce l’acqua di falda con l’area di scavo?

Per comprendere cosa succede nel sottosuolo di Sybaris, immaginiamo la falda acquifera come una sorta di “fiume sotterraneo” che, defluendo verso il mare, scorre a circa 0.5-1.0 m. al di sotto del piano campagna della Piana di Sibari. Un “fiume” profondo dai 15 ai 20 metri che ha sommerso tutte le stratificazioni delle popolazioni che in questo posto hanno edificato splendide e gloriose città sprofondate sottoterra per il fenomeno della subsidenza che affligge questa landa. Un lembo di terra che nel corso delle ere geologiche ha subito abbassamenti dovuti alla tettonica terrestre ed alla antropizzazione che lo hanno fatto divenire lagunoso e paludoso laddove i corsi d’acqua hanno trovato la loro naturale convergenza. Dunque occorre seguire le evoluzioni di questo “fiume sotterraneo” per carpirne i segreti. Esso è alimentato in gran parte dal Massiccio del Pollino e dalla Sila e in parte dalle precipitazioni piovose (abbastanza ridotte e al disotto della media regionale), acque che in parte si riversano sul Crati (e non viceversa come potrebbe apparire) e sullo Stombi (che in parte si sviluppa sul vecchio corso del fiume Sybaris/Coscile).

Può spiegarci in cosa consisterà il tipo di intervento da lei ideato e qual è l’elemento nuovo che lo contraddistingue?

Nel quadro prima descritto, e in accordo con il Masterplan, prenderà forma l’intervento di Bonifica Idraulica dell’area sulla quale fu costruita Sybaris, sprofondata nel corso dei millenni per il sopracitato fenomeno della subsidenza, allo scopo di drenare le acque che sommergono i resti dell’antica città magno greca e, dunque, garantire la protezione dall’afflusso di acqua sotterranea negli scavi presenti e futuri con l’obiettivo ultimo di far tornare alla luce Sybaris. Le linee guida dell’intervento previsto, è questo il dato nuovo, non propongono una soluzione tampone ma una soluzione definitiva del problema, con azioni descritte nel Masterplan presentato, il quale è suddiviso in varie fasi e realizzabile in differenti “step” sulla base dei finanziamenti a disposizione dell’Ente. Si intende realizzare un progetto ispirato alla sostenibilità e circolarità in tutte le sue fasi: dalla ideazione del progetto ingegneristico, che preveda soltanto scavi e riporti per la realizzazione di Canali Drenanti durante la Fase 1 (allo scopo di un primo parziale abbassamento della superficie piezometrica) e la realizzazione di diaframmi bentonitici impermeabili nella Fase 2, per impermeabilizzare tridimensionalmente l’area sommersa del Parco Archeologico. Inoltre il suolo estratto durante la realizzazione dei canali drenanti potrebbe essere riutilizzato per la realizzazione di dighe in terra finalizzate alla mitigazione del rischio esondazione del Fiume Crati, mentre gli stessi canali drenanti potrebbero assolvere inoltre alla funzione di “vasche di laminazione” [vasche di raccolta – NdR] delle piene. Ma l’utilizzo più proficuo dell’enorme quantità di acqua che si andrà a drenare, potrebbe concretizzarsi con l’integrazione del progetto di Bonifica Idraulica del Parco Archeologico con i progetti di reti irrigue del Consorzio di Bonifica dello Jonio Cosentino, “riusando” le acque drenate dalla falda, di ottima qualità. Tale progetto aderisce dunque ai criteri dell’economia circolare e sostenibile e sarà il luogo dove sperimentare e praticare un nuovo modello di sviluppo, basato sul recupero dei materiali e sull’efficienza energetica abbattendo i costi elettrici dei well-points, oltre a ridurre i fenomeni di subsidenza puntuali da essi indotti.

Cosa non ha funzionato nel sistema well-points e in quello di ”trincee drenanti” fino ad oggi adottati?

Non si può dire che il sistema well-points non abbia funzionato. Infatti è stato grazie a questo sistema se gli scavi in questi anni siano stati tenuti all’asciutto. Il problema è che devono rimanere attivi h24, sono soggetti a continua manutenzione e possiamo definirli non solo “idrovori” ma anche “energivori” con consumi e quindi costi energetici abnormi. Inoltre, altro aspetto non meno rilevante, anzi fondamentale, è che i well-points inducono fenomeni di subsidenza localizzati che provocano assestamenti puntuali e differenziati all’interno dell’area archeologica con cedimenti delle antiche strutture venute alla luce. Per quanto riguarda invece le “trincee drenanti”, originariamente pensate come tali in fase di progettazione preliminare, pochi anni fa, in sede di progetto esecutivo sono divenute “pozzi drenanti” che hanno avuto problemi di funzionamento sin da pochi mesi dopo la realizzazione e probabilmente non c’è mai stata un’effettiva gestione dell’impianto secondo le specificità che lo contraddistinguono. Inoltre presentavano effetti collaterali di subsidenza analoghi a quelli prima descritti per i well-points.

Può dirci in che modo sarà possibile intervenire tecnicamente e quali garanzie di ”tenuta” offrirà nel tempo la soluzione prospettata rispetto ai metodi finora adottati?

Il Masterplan, come è stato descritto, userà tecniche ampiamente sperimentate e naturali. Canali drenanti e diaframmi impermeabili che non necessitano di energia elettrica per il loro funzionamento. Un sistema di pompaggio sarà utilizzato soltanto per emungere l’acqua dalla vasca di accumulo nella quale convergeranno le portate che saranno lì convogliate dai Canali Drenanti nella Fase 1, mentre nella Fase 2, attraverso la realizzazione dei diaframmi, si provvederà a impermeabilizzare tridimensionalmente l’area sommersa, deviando il flusso della falda acquifera che si “ricongiungerà’” a valle degli scavi per confluire infine nel mare. Dunque soluzioni definitive le quali, una volta completate le diverse fasi, eviterà che la falda acquifera attraversi l’area del Parco Archeologico, eliminando dunque alla radice il problema.

Tali soluzioni comporterebbero un definitivo superamento dei sistemi usati finora o questi potrebbero continuare a svolgere una qualche funzione complementare?

L’intervento previsto dovrebbe risolvere alla radice il problema. Resta però il fatto che gli scavi archeologici sono comunque, letteralmente, “scavi” e dunque luogo di accumulo di acque piovane o di eventuali esondazioni del Crati. Dunque un sistema di smaltimento di acque va comunque previsto, da azionare però soltanto quando tali eventi dovessero verificarsi.

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