Rinascimento a Sud: il Parco d’Aspromonte riscopre un patrimonio d’arte dimenticato

Crocifisso, bott. di Giandomenico Mazzolo, seconda metà XVI sec.

Crocifisso, bottega di Giandomenico Mazzolo (attr.), seconda metà XVI sec.

di Redazione FdS

La mostra “Rinascimento visto da Sud”, un anno fa tra gli eventi di punta di Matera Capitale Europea della Cultura, ha evidenziato come il Rinascimento italiano non sia stato solo una stagione artistica del Centro-Nord e come cambiando prospettiva, a partire dal Sud, cioè dalle sponde di quel Mediterraneo da sempre incrocio di culture e di civiltà, di gente e di arti, si possa scoprire un Rinascimento diverso, in dialogo con Firenze, Milano, Roma e Venezia senza rinunciare alle sue peculiarità. Muovendo da questa consapevolezza e dalla volontà di valorizzare il patrimonio scultoreo rinascimentale conservato nei comuni che circondano la riserva naturale più a Sud dell’Appennino italiano, l’ente Parco Nazionale dell’Aspromonte, con la collaborazione del comune di Bagaladi (Reggio Calabria), sta portando avanti già da qualche anno il progetto Rinascimento d’Aspromonte volto a promuovere il restauro e la fruibilità di una serie di opere di alto valore artistico presenti sul suo territorio. Grande è stato nel 2017 l’interesse suscitato dal cantiere aperto di restauro grazie al quale è tornata a risplendere l’Annunciazione della chiesa di San Teodoro Martire a Bagaladi, uno dei capolavori dello scultore Antonello Gagini (1478 – 1536) originariamente collocato nella locale chiesa dell’Annunziata, distrutta dal terremoto del 1908.
 

Antonello Gagini, Gruppo dell'Annunciazione, Chiesa di S. Teodoro Martire, Bagaladi (RC)

Antonello Gagini, Gruppo dell’Annunciazione, Chiesa di S. Teodoro Martire, Bagaladi (RC)

Il progetto prosegue portando a termine gli interventi di valorizzazione delle sculture cinquecentesche presenti nella chiesa parrocchiale di Bagaladi, con il miglioramento della loro fruizione mediante delle audio guide basate sull’uso del QR-Code, un sistema innovativo che consente, tramite il proprio smartphone, di ascoltare la storia e le caratteristiche artistiche delle opere marmoree. Si è cominciato dalla chiesa di Bagaladi perchè vanta un corpus di opere d’arte decisamente significativo nel panorama storico-artistico della regione, avendo essa raccolto manufatti provenienti dai più antichi luoghi di culto del borgo, nonché dalle perdute chiese monastiche un tempo disseminate lungo la valle del Tuccio, nell’entroterra pedemontano dell’Aspromonte. L’iniziativa non si limita tuttavia al solo borgo di Bagaladi ma riguarda anche altre importanti sculture del Quatto e Cinquecento venerate dalle comunità che popolano il Parco Nazionale dell’Aspromonte. Sono infatti ben diciotto le sculture rinascimentali, alcune delle quali attribuite ad Antonello Gagini e alla sua scuola, oggetto di un lavoro di studio e di ricerca i cui risultati potranno appunto essere ascoltati tramite QR-Code dai sempre più numerosi turisti che ogni anno visitano il Parco Nazionale dell’Aspromonte.
 

Antonello Gagini, Annunciazione, 1504. La luce rivela i dettagli policromi superstiti

Antonello Gagini, Annunciazione, 1504. La luce rivela i dettagli di superstite policromia

Questa nuova fase del progetto porta il titolo “Il Crocifisso ritrovato – Completamento valorizzazione della chiesa di san Teodoro di Bagaladi e miglioramento della fruizione del patrimonio scultoreo rinascimentale del Parco Nazionale dell’Aspromonte – Ambito 2 “Miglioramento dell’offerta culturale del Parco” – Azione 2 “Castelli, aree archeologiche, opifici (mulini ecc.)”: un titolo la cui prima parte si riferisce a una scultura poca nota conservata nella chiesa di San Teodoro Martire, a Bagaladi, oggi databile grazie ad apposite indagini archivistiche. Attualmente esposto sull’altare centrale della chiesa madre, il Crocifisso proviene dalla perduta cappella dell’Annunziata, che ospitò anche il gruppo scultoreo dell’Annunciata realizzato da Antonello Gagini nel 1504; un edificio i cui resti erano ancora visibili alla metà del secolo scorso sul fianco settentrionale del torrente Zervo. L’opera fu trasferita insieme al gruppo gaginiano nell’attuale edificio di culto nel 1957, dopo un intervento di recupero teso ad integrare la parte mancante del braccio inferiore della croce, andato perduto nel terremoto che distrusse la cappella. Il manufatto, ricavato da un unico blocco di marmo di Carrara, è scolpito su entrambe le facce. Sul recto campeggia il crocifisso raffigurato secondo la tipologia del Cristus Patiens, mentre sul retro sono scolpiti al centro l’agnello pasquale e nei capocroce i simboli degli Evangelisti.
 

Crocifisso (part.), bottega di Giandomenico Mazzolo, seconda metà XVI sec.

Crocifisso (part.), bottega di Giandomenico Mazzolo, seconda metà XVI sec.

L’opera costituisce un unicum in Calabria, dal momento che si tratta dell’unico crocifisso in marmo del Cinquecento che si conosca nella regione. Dal punto di vista stilistico il manufatto lapideo risente dell’influenza della nuova religiosità controriformista che si andava diffondendo in Calabria. Si veda l’espressione di pathos impressa sul volto del Cristo morto, coronato di spine e leggermente inclinato sulla spalla destra, con appena accennate le sporgenze degli zigomi, o la risoluzione dello sguardo, immortalato mentre esala l’ultimo respiro. Di contro la struttura del corpo del cristo presenta una certa rigidità e alcune sproporzioni, tanto da far ipotizzare che esse possano essere frutto di una specifica richiesta della committenza all’artista affinché si rifacesse ad un modello più arcaico, probabilmente dipinto o in metallo prezioso.
 

Antonello Gagini (attr.), Madonna del Pilerio (part.), 1508, Chiesa di S. Maria delle Grazie, Sinopoli (RC)

Antonello Gagini (attr.), Madonna del Pilerio (part.), 1508, Chiesa di S. Maria delle Grazie, Sinopoli (RC)

Da documenti del 1595, relativi alla visita pastorale dell’Arcivescovo di Reggio Calabria, Annibale d’Afflitto, si è appreso che il Crocifisso fu voluto dall’abate Giovanni Luigi Verduci, un prete italo-greco, originario di Motta di San Lorenzo, discendente di quel Jacopo Verduci che nel 1504 aveva commissionato, sempre per la cappella di famiglia bagaladese, il gruppo scultoreo dell’Annunciazione attribuito ad Antonello Gagini. La fonte documentaria è di estremo interesse in quanto consente di collocare l’esecuzione dell’opera tra gli inizi degli anni sessanta del Cinquecento, quando Giovanni Luigi Verduci aveva raggiunto la maggiore età, e il 1595, anno in cui l’opera è descritta per la prima volta nella sacrestia della cappella dell’Annunciata di Bagaladi. Studi recenti condotti dallo storico dell’arte e conservatore di Beni Culturali Pasquale Faenza assegnano il crocifisso alla bottega di Giovan Domenico Mazzolo, figlio del carrarese Giovambattista Mazzolo che agli inizi del ‘500 approdò in Sicilia dove avviò un’impresa familiare. Tali studi mostrano anche come la scelta da parte di preti italo-greci di commissionare opere ad artisti rinascimentali, palesemente lontani dai tradizionali linguaggi figurativi di matrice bizantina, ancora vivi nell’area aspromontana alle soglie del XVI secolo, testimoni una loro apertura verso la politica di latinizzazione che il clero cattolico portava avanti in tutta la Calabria meridionale, in una fase di avanzato stato di decadenza del monachesimo “basiliano”.
 

Giovan Battista Mazzolo (attr.), Madonna del Pilar, Chiesa di S. Maria in Nives, San Lorenzo

Giovan Battista Mazzolo (attr.), Madonna del Pilar, Chiesa di S. Maria in Nives, San Lorenzo (RC)

Nel gruppo di opere rinascimentali su cui si sono finalmente accesi i riflettori dominano senza dubbio le sculture dedicate alla Madonna, patrona di gran parte dei borghi che coronano la grande montagna calabrese. In quest’area compresa tra Jonio e Tirreno, da sempre punto di incontro di culture diverse, culti antichissimi sono confluiti nella venerazione mariana praticata attraverso riti, preghiere, pellegrinaggi, danze e canti popolari che uniscono fede, gioia e spiritualità.  Questi capolavori di marmo raccontano di apparizioni e di miracoli, la fede nei quali ha alimentato un culto le cui origini si perde nella notte dei tempi radicandosi nella più remota venerazione verso la terra e la fertilità della “Montagna”, nome con cui da sempre i calabresi chiamano l’Aspromonte, alludendo alla montagna per antonomasia; una ”madre” simbolica che finì col tempo per essere identificata con la madre per eccellenza: la Madonna. Non a caso tra tutti i culti mariani dell’Aspromonte spicca quello intitolato della Madonna della Montagna, venerata nel santuario di Polsi, nel cuore del monte calabrese.
 

Scorcio del Parco Nazionale dell'Aspromonte - Ph. Carlo Bonini

Scorcio del Parco Nazionale dell’Aspromonte – Ph. Carlo Bonini | ccby-sa2.0

IL RINASCIMENTO IN ASPROMONTE

A qualcuno potrebbe sembrare bizzarro che si parli di Rinascimento in Aspromonte, trattandosi di un’area lontana  dalle principali città del Centro Nord Italia che diedero vita all’Umanesimo, che col rinnovato interesse verso gli studi classici latini e greci e l’affermazione della centralità dell’uomo nell’Universo avrebbe alimentato la produzione artistico-letteraria rinascimentale. In realtà la Calabria aveva giocato un ruolo fondamentale agli albori stessi dell’Umanesimo con l’attività svolta dal monachesimo italo-greco nella conservazione e nella traduzione dei classici. E’ quanto fecero ad esempio i due celebri maestri di greco di Petrarca e Boccaccio: Barlaam e Leonzio Pilato, entrambi calabresi di Seminara (RC). Terra di mezzo tra Oriente e Occidente, l’Aspromonte ha esaltato la tradizione spirituale bizantina, conservato la memoria magnogreca e messo a confronto le espressioni artistiche provenienti da tutto il Mediterraneo, contribuendo in modo fondamentale alla crescita stessa della cultura occidentale.
 

Benedetto da Maiano, San Sebastiano, Museo Diocesano, 1492 ca. Oppido Mamertina (RC)

Benedetto da Maiano, San Sebastiano, Museo Diocesano, 1492 ca. Oppido Mamertina (RC)

A questo si aggiunga che a partire dalla seconda metà del ‘400 l’Aspromonte conobbe una intensa stagione di prosperità economica tradottasi nel secolo successivo in una crescita demografica e in una fioritura culturale di ampio respiro. La stabilità politica garantita dalla Casa Reale Aragonese trasformò il vicino porto di Messina in un importante spazio di scambio internazionale, aprendo nuovi mercati alla seta dell’Aspromonte. Ad avvantaggiarsene furono inizialmente gli ebrei reggini, seguiti nel Cinquecento da ricche famiglie di mercanti siciliani, toscani e soprattutto genovesi che, grazie a parentele instaurate con con l’aristocrazia locale rimasta in auge anche dopo la conquista spagnola della Calabria (1503), riuscirono ad accaparrarsi i principali feudi della zonaFurono loro, insieme a vescovi e confraternite laiche e religiose, ad inaugurare una nuova stagione culturale alimentando la committenza di opere d’arte presso le botteghe attive a Napoli e soprattutto a Messina, città dove una serie di illustri artisti in trasferta stabile avrebbero arricchito il panorama locale contribuendo a diffondere in tutto l’Aspromonte opere rinascimentali di matrice lombarda e toscana. Fu così che accanto a grandi maestri meridionali come il siciliano Antonello da Messina, si ritrovarono ad operare nella zona nomi illustri di importazione come il toscano Benedetto da Maiano e Antonello Gagini, nato a Palermo ma membro di una famiglia di scultori e architetti di origini svizzero-genovesi.
 

Benedetto da Maiano, S. Caterina d'Alessandria, 1492 ca. | Chiesa di S. M. Assunta e Sant’Elia, Terranova Sappo Minulio (RC)

Benedetto da Maiano, S. Caterina d’Alessandria, 1492 ca. | Chiesa di S. M. Assunta e Sant’Elia, Terranova Sappo Minulio (RC)

Oggi, tra i musei di Reggio Calabria e le chiese d’Aspromonte è dunque possibile rendersi conto delle matrici artistiche che animarono lo Stretto di Messina nella seconda metà del Quattrocento e delle testimonianze scultoree della nuova corrente rinascimentale. Nel delineare una sorta di mappa di queste preziose presenze artistiche, il Parco Nazionale d’Aspromonte, ha individuato tre gruppi omogenei: quello dei precursori del Rinascimento, riferibile a sculture tardo-quattrocentesche; quello delle opere di Antonello Gagini e della sua bottega; quello degli scultori coevi al Gagini e, infine, quello delle opere tardo-cinquecentesche di ispirazione gaginiana. Così, a Reggio Calabria, nella frazione di Ortì, la chiesa di S. Maria di Loreto conserva una Madonna con bambino, a mezzo busto, detta Madonna Lauretana (v. foto seguente), attribuita ad un ignoto artista siciliano vicino ai modi di Francesco Laurana e Domenico Gagini, primi protagonisti della diffusione degli stilemi rinascimentali nel Regno di Napoli, a seguito dei loro trasferimenti dal centro nord Italia verso la capitale partenopea e poi la Sicilia.
 

Ignoto siciliano, Madonna Lauretana, Chiesa di S. Maria di Loreto, XV-XVI sec. Ortì (RC)

Ignoto siciliano, Madonna Lauretana, Chiesa di S. Maria di Loreto, XV-XVI sec. Ortì (RC)

È però nel cuore dell’Aspromonte, nel Museo Diocesano di Oppido Mamertina, che è possibile ammirare uno splendido capolavoro di scultura rinascimentale toscana in Calabria: si tratta di un San Sebastiano (v. foto in alto e qui di seguito) in origine facente parte della pala d’altare commissionata nel 1491 da Marino Correale – consigliere e castellano di re Alfonso V d’Aragona e Vicerè di Calabria Ultra sotto re Federico – allo scultore fiorentino Benedetto da Maiano e comprendente anche una Vergine con Bambino e una Santa Caterina di Alessandria, oggi custodite nella poco distante chiesa di S. M. Assunta e Sant’Elia a Terranova Sappo Minulio. Questo gruppo di sculture è da considerarsi la più importante novità artistica introdotta nel panorama locale: in particolare, la Vergine di Benedetto da Maiano oltre a ispirare una lunghissima serie di repliche, realizzate da vari scultori attivi nella zona aspromontana, è considerata il più antico modello iconografico della Madonna della Montagna, venerata nel Santuario di Polsi.
 

Benedetto da Maiano, Vergine con Bambino, S. Caterina d'Alessandria, San Sebastiano, 1492 ca.

Benedetto da Maiano, Vergine con Bambino, San Sebastiano, S. Caterina d’Alessandria, 1492 ca.

Una novità dirompente, quella introdotta da Benedetto da Maiano, che avrebbe influenzato anche lo stesso Antonello Gagini, dal 1498 attivo a Messina, per il quale non è tuttavia da escludere un periodo di diretto apprendistato in Toscana presso la bottega del grande maestro fiorentino. Importante per Gagini fu anche lo studio diretto delle opere dell’italo-croato Francesco Laurana e delle ceramiche dei fiorentini Della Robbia che circolavano in Sicilia; influssi non privi di sviluppi visto che Gagini, grazie alle numerose opere disseminate sul territorio, avrebbe fatto ”scuola” in Calabria ispirando a sua volta diversi scultori. Nell’area aspromontana, in particolare,  tra le prime opere a lui attribuite c’è la succitata Annunciazione della chiesa di S. Teodoro Martire di Bagaladi, realizzata nel 1504. Lo ritroviamo in zona nel 1506 con la Madonna dell’Alica, custodita presso la Chiesa dello Spirito Santo, a Pietrapennata di Palizzi, all’indomani di un ipotizzato viaggio a Roma, testimoniato anche da fonti tarde che lo ricordano accanto a Michelangelo impegnato nei lavori della Tomba di Giulio II.
 

Antonello Gagini, Madonna dell'Alica, Chiesa dello Spirito Santo, Pietrapennata di Palizzi (RC)

Antonello Gagini, Madonna dell’Alica, Chiesa dello Spirito Santo, 1506 ca, Pietrapennata di Palizzi (RC)

Nuove opere del Gagini arrivarono in Aspromonte dopo lo spostamento della sua bottega a Palermo, nel 1508: è ad esempio il caso della Madonna del Pilerio della Chiesa di S. M. delle Grazie a Sinopoli Superiore, commissionata lo stesso anno dal conte Giovanni Ruffo e la coeva Madonna del Popolo della Chiesa di S. M. Assunta, nella frazione reggina di Arasì, in cui maggiore risulta essere l’apporto della bottega.
 

Antonello Gagini, Madonna del Popolo, 1508, Arasì (RC)

Antonello Gagini, Madonna del Popolo, 1508, Chiesa di S. M. Assunta, Arasì (RC)

Alla fase più matura dello scultore si fa risalire invece il rilievo dell’Incredulità di San Tommaso della Cattedrale di S. M. Assunta di Gerace, del 1531, la sua opera più tarda conservata in Aspromonte. L’artista morì infatti nell’aprile 1536 lasciando alla seconda moglie Antonina Valena e ai figli del primo e del secondo matrimonio, (Giacomo, Fazio e Vincenzo) due botteghe ben avviate. La storia dell’arte lo ricorda tra i più grandi scultori del Rinascimento, infaticabile divulgatore dei linguaggi figurativi toscani nella sua Sicilia e nelle terre più meridionali del Regno di Napoli.

Antonello Gagini, Incredulità di S. Tommaso, 1531, Chiesa di S. M. Assunta, Gerace (RC)

Antonello Gagini, Incredulità di S. Tommaso, 1531, Chiesa di S. M. Assunta, Gerace (RC)

Col trasferimento del Gagini nella più lontana Palermo (1508), la corrente toscano-carrarese – già attiva presso la Corte napoletana – guadagna terreno ancora più a sud attraverso suoi rappresentanti che si insediano a Messina, Palermo e nelle relative province, coltivando rapporti anche con la Calabria. Tra questi troviamo Giovanbattista Mazzolo, attivo in Sicilia e in Calabria fino alla metà del Cinquecento. In particolare la sua presenza a Messina è documentata per la prima volta nel 1512 e l’anno successivo, a proposito dell’acquisto di marmi carraresi in società con lo scultore Antonello Freri. Dagli anni ’20 risulta a capo di un’organizzatissima bottega all’interno della quale operava anche il figlio Giovandomenico. 
 

Giovanbattista Mazzolo, Madonna di Loreto, Chiesa dell'Assunta, Castellace di Oppido Mamertina

Giovanbattista Mazzolo, Madonna di Loreto, Chiesa dell’Assunta, 1542, Castellace di Oppido Mamertina

Le numerose opere di soggetto mariano di Giovanbattista Mazzolo sono per lo più repliche dei modelli gaginiani, a loro volta ispirati alla Madonna della Neve che Benedetto da Maiano realizzò per l’antica Terranova. Dal Gagini il Mazzolo riprende anche le soluzioni architettoniche e il repertorio decorativo, ma di lui non ha la nobiltà e la ricchezza di invenzione, risolvendo il tutto con una certa rigidità e semplificazione. Nel Parco Nazionale d’Aspromonte di Mazzolo senior troviamo opere come la Madonna della Visitazione della Chiesa di S. Nicola a Delianuova, probabilmente della fine degli anni ’20 (realizzata forse in collaorazione con Antonello Freri) e la Madonna di Loreto della Chiesa dell’Assunta a Castellace di Oppido Mamertina (v. foto sopra), del decennio successivo, ispirata alla Madonna degli Angeli del Gagini custodita a Seminara. Attribuite allo scultore sono anche la Madonna del Pilerio a Tresilico di Oppido Mamertina (v. foto seguente) e la Madonna del Soccorso della Chiesa di S. Biagio a Scido, quest’ultima considerata tra i suoi migliori risultati. Della metà del XVI secolo è invece la Madonna del Pilar della chiesa di S. Maria in Nives, a San Lorenzo, quasi certamente opera della sua bottega (v. foto in alto).
 

Giovanbattista Mazzolo, Madonna del Pilerio, Tresilico di Oppido Mamertina

Giovanbattista Mazzolo, Madonna del Pilerio, 1530-40, Palazzo Vorluni, Tresilico di Oppido Mamertina

Altro scultore carrarese presente nella zona aspromontana è Domenico Vanello. Attivo tra il 1519 e il 1520 nella bottega toscana dello spagnolo Bartolomé Ordóñez, giunse ben presto ad elaborare un linguaggio artistico personale, contraddistinto da un sofisticato grado di finitezza, un modellato compatto e una predilezione per il dato decorativo. Trasferitosi a Messina nel 1535, divenne capomastro del Duomo della città fino al 1547, anno a cui si data la Madonna delle Grazie della Chiesa di San Giorgio a Sinopoli Inferiore, attribuitagli di recente, sebbene non manchi l’ipotesi che l’opera sia di un maestro napoletano attivo nell’area dello Stretto di Messina (v. foto seguente).
 

Domenico Vanello, Madonna delle Grazie, Chiesa di S. Giorgio, Sinipoli Inferiore

Domenico Vanello, Madonna delle Grazie, Chiesa di S. Giorgio, Sinopoli Inferiore (RC)

Il modello gaginiano che nell’area aspromontana spopolò nella prima metà del Cinquecento, non smise di fare proseliti, spesso con pregevoli risultati, anche nella seconda metà del secolo. Sebbene influenzato dal fiorentino Montanini, non mancò di guardare al Gagini lo scultore messinese Giuseppe Bottone (1539–75), autore della Madonna delle Grazie dell’omonima chiesa di Sant’Eufemia di Aspromonte, del 1568 (v. foto seguente).
 

Giuseppe Bottone, Madonna delle Grazie, Chiesa della Madonna delle Grazie, 1568, S. Eufemia d'Aspromonte

Giuseppe Bottone, Madonna delle Grazie, Chiesa della Madonna delle Grazie, 1568, S. Eufemia di Aspromonte

La corrente scultorea tardo-cinquecentesca ancora influenzata dal modello gaginiano trovò però il suo più grande interprete nel siciliano Rinaldo Bonanno (1545-90), anch’egli formatosi col Montanini e attivo per un certo periodo sul territorio toscano prima del rientro a Messina, dove portò le più aggiornate esperienze manieriste, messe a frutto soprattutto negli ultimi anni della sua attività. Se le sue opere documentate, come la Madonna con Bambino della Cattedrale dell’Isodia a Bova, firmata e datata 1584, e la Madonna della Montagna di San Vito Inferiore di Reggio Calabria, della Chiesa di S. Nicola, sono intrise di suggestioni toscane, mostrano tuttavia una ricchezza di dettagli chiaramente derivante dall’influsso delle opere del Gagini.
 

Rinaldo Bonanno, Madonna con Bambino, 1584, Cattedrale dell'Isodia, Bova (RC)

Rinaldo Bonanno, Madonna con Bambino, 1584, Cattedrale dell’Isodia, Bova (RC)

Forte l’impronta gaginiana anche nella Madonna delle Grazie della chiesa omonima di Sambatello di Reggio Calabria, e nella coeva Madonna del Bosco (v. foto seguente), custodita nella Chiesa di S. Maria del Bosco, a Podargoni di Reggio Calabria (1588-89).
 

Rinaldo Bonanno, Madonna del Bosco, 1588-89, Chiesa di S. Maria del Bosco, Podargoni di Reggio Calabria

Rinaldo Bonanno, Madonna del Bosco, 1588-89, Chiesa di S. Maria del Bosco, Podargoni di Reggio Calabria

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