Meditazione in musica sulla morte. Al Bari International Music Festival l’eccellenza colpisce ancora

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di Enzo Garofalo

“Ahi cruda morte, e chi fia che ne scampi, | se con tue fiamme avvampi | le più elevate cime?”: così cantava il poeta umanista napoletano Jacopo Sannazaro alludendo alla terribile inesorabilità di Colei che in tanti non verrebbero neppure sentir nominare. Peraltro, come mostrano le numerose speculazioni sulla Morte nella storia del Pensiero, non sempre l’argomento è stato declinato in chiave negativa trattandosi di un campo nel quale entra in gioco l’intima sfera della spiritualità con le sue molteplici implicazioni esistenziali, diverse per ciascun individuo. Si passa così dalla morte come orrida e dolorosa fine del corpo e del tempo, a visioni che la delineano come un cruciale principio di trasformazione verso stati superiori di coscienza. Ad ogni modo, quel che preme qui rilevare è come neppure la musica si sia sottratta alla ‘riflessione’ sul tema, anche perché in quanto Arte essa non potrebbe astenersi dal confrontarsi con tutto ciò che riguarda l’Uomo. E una breve meditazione in musica sulla morte è stato il concerto che lo scorso 1° giugno si è tenuto presso l’Auditorim Vallisa di Bari, il 3° della splendida rassegna “Metamorphosis” fulcro della 2a edizione del Bari International Music Festival (BIMF): un programma oggettivamente molto impegnativo per difficoltà tecnica ed esigenze di ricerca espressiva, quest’ultima resa ancor più ardua dalla delicatezza del tema scelto quale filo conduttore. Il tutto però, ancora una volta, è stato brillantemente affrontato e risolto dai giovani musicisti giunti a Bari da ogni continente appositamente per il Festival. Una sfida giocata e vinta all’insegna del rigore, della concentrazione e del raffinato gusto interpretativo.

Le prime battute del concerto – come sempre impeccabilmente introdotto da un’elegantissima Stefania Gianfrancesco – sono state affidate al celebre ‘Adagio’ del compositore statunitense Samuel Barber, qui proposto nella sua forma originale per quartetto d’archi del 1938. In questo brano dagli intensissimi accenti il senso della morte è più un’evocazione indiretta derivante dall’atmosfera di struggente malinconia, e a tratti di angoscia, che aleggia sul pezzo, che non l’espressione di uno spirito luttuoso e funereo scelto dall’autore. Diciamo pure che il ‘Molto adagio espressivo cantando’, ispirato a una poesia tratta dall’Eneide di Virgilio – evocativa di un onda che si ritrae, s’avanza e si frange sugli scogli – racchiude in sé un tale tessuto di struggimento da richiamare per analogia qualsiasi cosa gli somigli, compreso il dolore per la perdita di una vita umana. In questo brano però il dolore non è quello annichilente e claustrofobico che ad es. troviamo quale diretto motivo ispiratore nel ‘Quintetto’ di Alfred Schnittke, eseguito nella seconda parte del programma, ma un sentimento che raggiunta un’acme quasi lacerante torna a stemperarsi nella calma tristezza dell’inizio. Impeccabili interpreti il violino duttile ed intensamente espressivo della sino-canadese Cordelia Paw, quello della danese Julie Eskar particolarmente sapiente nel dosaggio di timbro e colori, la vibrante viola di Ettore Causa, il violoncello appassionato del coreano Jonah Kim, tutti quanti veri cesellatori di suoni.

Affidati invece al pianista Fernando Altamura i due movimenti superstiti dei tre originari pensati dal ceco Leos Janacek per la sua Sonata I.X.1905, ispirata a un fatto realmente accaduto di cui il musicista fu testimone diretto: la morte di un operaio accoltellato da una baionetta durante una manifestazione pacifica per una nuova università ceca (la data nel titolo del brano è quella del funesto evento). Notevole la maturità espressiva con cui Altamura è riuscito a restituire in modo chiaro la natura fortemente drammatica di un’opera scritta di getto e densa di emotività, recuperata – dopo la distruzione del manoscritto da parte dell’autore depresso – grazie ad alcune copie e all’intervento del pianista che la interpretò per primo. Qui il riferimento alla Morte è diretto, già nel titolo del secondo movimento che è preceduto da un ‘Presentimento’, ossia un motivo malinconico che prelude all’evento luttuoso.Eppure la morte in Janacek ha un carattere di più intima contemplazione sebbene intervallata da momenti frenetici che danno efficacemente il senso del più profondo turbamento.

Spiazzante, claustrofobico, a tratti lugubre e grottesco, sintomatico di un dolore senza scampo che genera fantasmi e ossessioni, è il Quintetto di Alfred Schnittke, scritto a metà degli anni ’70 a seguito della morte della madre, una vuoto incolmabile per l’autore che ha favorito la genesi di questo capolavoro di invenzione compositiva capace di catturare al massimo grado l’attenzione dello spettatore, a dispetto della sua oggettiva osticità. Certo a garantire questo risultato sono l’autenticità del movente ispiratore e la scrittura sapiente dell’autore, ma a compiere fino in fondo il miracolo è soprattutto una esecuzione di alto livello, come quella garantita da tutti e cinque gli interpreti della serata che con questo brano – pur apparentemente così poco ‘commestibile’ – sono riusciti a calamitare l’entusiasmo del foltissimo pubblico in sala che ha tributato loro ripetute ovazioni.

Penultimo appuntamento (sempre all’Auditorium Vallisa, alle 20.30) con la rassegna “Metamorphosis” è quello di stasera con un nuovo appetibilissimo programma, tale per la bellezza dei brani in programma e l’inconsuetudine di alcuni di essi, accostati nel segno della ‘Metamorfosi’: le ‘Variazioni Paganini per due pianoforti’ di Witold Lutoslawski; la ‘Sonata n. 32 in do min. Op. 111’ di L. van Beethoven e ‘Metamorphosen’ di Richard Strauss.

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