L’eros guerriero delle donne di Sparta e il culto di Afrodite Armata a Taranto: le tracce su un altare custodito a Copenhagen

Altare da Taranto, marmo, età augustea, Museo Nazionale di Danimarca, Copenhagen

Da sin. bassorilievi con Afrodite armata e figura maschile togata di offerente, altare marmoreo da Taranto, età augustea, Museo Nazionale di Danimarca, Copenhagen

di Kasia Burney Gargiulo

A Copenhagen, nel Museo Nazionale di Danimarca, si custodisce da tempo un pregevole altare marmoreo di età Augustea ritrovato nella città pugliese di Taranto nel 1760 circa. E’ un oggetto la cui valenza storico-artistica è accresciuta dal suo probabile collegamento con una leggenda legata alla fondazione spartana della città jonica di cui finalmente l’Italia contemporanea inizia a riscoprire la straordinaria storia plurimillenaria. Al tempo stesso è l’ennesima testimonianza di quella incontenibile emorragia di capolavori involatisi dal Sud Italia verso l’estero, spesso per vie illegali (con un milione di oggetti trafugati e ricettati, l’Italia è il paese occidentale che nell’ultimo secolo ha subito il massimo saccheggio d’arte e cultura, secondo quanto riferisce Fabio Isman nel libro ‘I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia’).

L’altare fu ritrovato nella città vecchia, nei pressi della chiesa di S. Agostino, fra le fondamenta delle case del sign. Baroncelli, in un’area che si ritiene coincida con quella di un tempio dedicato ad Afrodite, dea greca dell’amore, della bellezza, della generazione e della fertilità. Sul reperto tarantino, decorato a bassorilievi, la dea vi appare però munita dell’insolito attributo marziale della lancia. A descrivere per primo l’oggetto, appena una decina di anni dopo il suo ritrovamento, è il letterato Cataldo Antonio Carducci che nel 1771 dà alle stampe il poema inedito “Delizie Tarantine” dell’umanista Tommaso Niccolò d’Aquino. Nel commento che accompagna il testo tradotto dal latino (Lib. I note), il Carducci scrive:

“L’ara ha l’altezza di palmi tre e un quarto, e larghezza di due, con un festone di mirto che la cinge intorno nel lembo superiore, che nei quattro angoli termina in una testa di ariete. Alle quattro facce ci sono quattro bassi rilievi. Uno rappresenta appunto la dea armata d’asta, e con la palma sinistra stretta al seno sostiene il pomo, ed ha un amorino alato sull’omero sinistro in atto di porle sul capo un serto di mirto.”

Le figure si susseguono su tutti i lati dell’altare ornati da un festone di mirto (pianta sacra alla dea) che sugli angoli è fissato da bucrani, rappresentazione dell’usanza greca di appendere all’esterno dei templi i teschi degli animali sacrificati. Oltre alla dea armata di lancia, con pomo nella mano e un amorino che la incorona di mirto, compare sull’ara anche una figura maschile togata, intenta con il capo coperto a bruciare offerte su un tripode, una Vittoria alata e una seconda figura maschile togata. Secondo gli studiosi del museo danese, quest’ultima potrebbe raffigurare Ottaviano Augusto mentre il personaggio offerente potrebbe essere Marco Vipsanio Agrippa, vincitore della battaglia di Azio (31 a.C.) che concluse la guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio, alleato di Cleopatra. In altre parole l’altare tarantino potrebbe essere stato l’omaggio di Agrippa alla dea, fra l’altro progenitrice della Gens Iulia a cui Ottaviano apparteneva.
 

Gli altri due bassorilievi dell'Altare marmoreo proveniente da Taranto, età augustea, Museo Nazionale di Danimarca, Copenhagen

Da sin. Vittoria alata e figura maschile togata (forse Ottaviano Augusto), altare marmoreo da Taranto, età augustea, Museo Nazionale di Danimarca, Copenhagen

L’EROS GUERRIERO DELLE DONNE DI SPARTA ALL’ORIGINE DEL CULTO TARANTINO PER LA VENERE ARMATA

La figura della Afrodite/Venere dotata di lancia, raffigurata sull’altare di Copenhagen, sarebbe da ricollegarsi, secondo lo storico Lucio Pierri, alla presenza a Taranto di un culto dedicato ad Afrodite Armata, peraltro testimoniato da un riferimento contenuto in un epigramma dell’antico poeta tarantino Leonida (IV sec. a.C.) presente nell’Antologia Planudea:

“Queste sono armi di Marte, perché le indossi tu Citerea? Inutilmente ti sei caricata di questo peso; nuda, Marte stesso hai disarmato! Se così hai vinto un dio, perché ti armi inutilmente contro dei mortali?” (Ant. Planudea, 171).

Allo stesso culto si riferirebbe anche un secondo epigramma di Leonida (Ant. Planudea, 320) nel quale Afrodite viene rimproverata dal dio-fiume spartano Eurota per essersi spogliata delle sue armi. Ma anche il poeta Antimaco (V sec. a.C.), in un suo epigramma (Ant. Planudea, 321) descrive un’Afrodite spartana con armatura e lancia, così come Pausania (II sec. d.C.) cita due statue antiche della dea a Sparta ed una a Cythera, mentre Plutarco riporta che gli Spartani usavano rappresentare in armi tutti i loro dei (Inst. Laconum, 28).

Questo culto, secondo quanto narrato dallo scrittore romano Lattanzio (III sec.), sarebbe legato a un episodio accaduto a Sparta durante la lunga guerra contro i Messeni, conflitto durato ben 19 anni e scatenato dall’uccisione del re Teleclo recatosi a Messene per fare un sacrificio o, forse, dalla violazione di alcune vergini spartane.

Il racconto di Lattanzio vuole che i Messeni, usciti di nascosto dalla loro città assediata dagli spartani, cercassero di saccheggiare Sparta, senonché furono messi in fuga dalle donne che, armate di tutto punto, si misero alle loro calcagna. Intanto, i soldati Spartani, appresa notizia dell’assalto alla loro città, accorsero in massa, ma viste le donne in armi le scambiarono per i nemici. Intimorite, queste si denudarono per farsi riconoscere, suscitando l’eccitazione dei soldati che, presi dal furore erotico, si abbandonarono ad accoppiamenti promiscui con le concittadine. L’episodio – dice Lattanzio – fu talmente memorabile da meritare la dedica di un tempio e di una statua ad Afrodite Armata (Lattanzio, Inst. I 20,32).

I figli nati da queste unioni estemporanee, sarebbero andati ad ampliare le fila di quelli nati dai giovani soldati fatti rientrare dal fronte per congiungersi con le vergini spartane e porre così riparo alla lunga carenza di nascite dovuta all’impegno degli uomini nella interminabile guerra contro i Messeni. Erano questi i cosiddetti Partenii, privi di diritti civili e politici perché ritenuti comunque figli illegittimi. Resisi protagonisti di una congiura presto scoperta, furono inviati a fondare una colonia al di là del mare, l’unica che Sparta abbia mai avuto in terre lontane. A guidarli fu un certo Falanto direttosi nei luoghi indicati dall’Oracolo di Delfi, là dove sarebbe nata Taranto e dove i loro dei, Afrodite compresa, trovarono nuova dimora.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Scena di vita greca nel dipinto "Under the Roof of Blue Ionian Weather" di Sir Lawrence Alma-Tadema, 1903 - Coll. Privata

Scena di vita greca nel dipinto “Under the Roof of Blue Ionian Weather” di Sir Lawrence Alma-Tadema, 1903 – Coll. Privata

Riferimenti bibliografici:
C. A. Carducci, Memorie di T. N. D’Aquino e note alle “Delizie Tarentine”, Napoli, 1771
L. Pierri, Come fu fondata Taranto, in Ribalta n°24/2005

Rispondi

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati *

*

Torna su