Taranto: la dolente metamorfosi di un paradiso, nei ricordi della fotografa Anna Svelto

salviamo-taranto1_annasvelto

Quella che state per leggere è la toccante testimonianza di una persona che ha vissuto in presa diretta l’infausto passaggio della città di Taranto da tipico centro urbano del Sud con i suoi problemi economici legati alla mancanza di  lavoro e all’emigrazione, ma con un ambiente naturale ancora salubre, in città industrializzata che in 49 anni di Italsider/Ilva ha visto il proprio volto deturparsi a causa dell’inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque, con progressiva distruzione dei paesaggi e delle economie tradizionali e un incremento di malattie gravi fra la popolazione che ha superato di molto la media nazionale. Il tutto è avvenuto fra l’indifferenza delle istituzioni e senza che a questo prezzo altissimo abbia corrisposto almeno un reale sviluppo in termini di benessere economico, ammesso poi che quest’ultimo abbia un senso e un valore lì dove il livello di qualità della vita precipita ai minimi termini. Oggi – mentre si continuano a contare i morti e mentre la popolazione prende coscienza di essere stata ostaggio di una classe dirigente corrotta fin nel midollo dal denaro dei saccheggiatori – solo scelte coraggiose e radicali di cambiamento potranno determinare una svolta decisiva nella storia di una città che nel suo millenario passato fu uno dei principali fari di civiltà per l’intero Occidente. Taranto infatti ha ancora molto da dire e da dare a quanti sanno guardare oltre la cortina dei fumi della più grande acciaieria d’Europa, come ci mostrano alcune delle immagini (v. photo gallery in basso) scattate dalla fotografa Anna Svelto, la testimone le cui parole state per leggere (Redazione FdS).

di Anna Svelto

Quando ero piccola ho vissuto da testimone lo scempio della distruzione di masserie, uliveti secolari ed agrumeti meravigliosi. Lo vedevo e soffrivo così tanto che ricordo ancora il dolore che provavo.

La domenica, con i miei genitori andavamo a Castellaneta Marina nella nostra casa di campagna e percorrevamo la Statale 106. Dal finestrino vedevo settimana dopo settimana cambiare quel paradiso in inferno. L’insediamento dell’acciaieria l’ho sempre pensato e vissuto come una maledizione. Ma tutti erano contenti, quasi tutti, ed i negozi si affrettarono a mettere nelle vetrine:”Qui si accettano buoni Italsider”…Eravamo diventati ricchi! Era arrivato il benessere? Non lo so…Io quando ero piccola abitavo alla discesa del Vasto, nelle case del Comune. Mio fratello mi fischiava, mi affacciavo e lo vedevo alla guida del motoscafo. Correvo giù ed insieme andavamo a salvare i delfini. Entravano dal canale per mangiare le cozze e i cozzaruli li sparavano! Rompevano tutto nei giardini delle cozze! Andavamo a via Cariati a comprare con poche lire delle sardine e mentre lui era alla guida io lanciavo il pesce ed i delfini saltando o mantenendosi in piedi sulla coda mangiavano al volo le sardine e ci seguivano. Così noi li portavamo in salvo nel Mar Grande. Il delfino, simbolo della nostra città, nonostante l’inquinamento, miracolosamente continua a vivere ancora al largo di Mar Grande, quasi a volerci spronare a volerci bene di più e ad amare più intensamente la nostra storia, le nostre origini, la nostra identità. E soprattutto ad isolare coloro che le tradiscono.

Torniamo ai miei ricordi di bambina. Lungo la banchina di via Garibaldi pescavamo in apnea a meno di due metri, spugne piene di coccioli, i mitici molluschi che i tarantini facevano fermentare per ricavarne la porpora per la tintura dei tessuti. Mio nonno mi raccontava che c’era una collina fatta di gusci di coccioli lungo Mar Piccolo dove ora sorge il Circolo Ufficiali della Marina Militare. E nella nostra meravigliosa laguna c’erano anche i giardini (le sciaje) delle ostriche: una vera prelibatezza. Il Galeso, decantato dagli antichi latini per la sua bellezza, era luogo dedicato fin dall’antichità al lavaggio delle pecore e alla tosatura: le lane bagnate nel Galeso erano morbide e bianche. Ricordo quando arrivavamo da mare con la barca: eucalipti meravigliosi lungo le sue rive che davano frescura e riflessi bellissimi alle acque trasparenti, tanti piccoli pesci che crescevano lì prima di nuotare nelle acque del Mar Piccolo ormai adulti. L’immagine più bella che ho ancora negli occhi, perché legata alla nostra storia millenaria: i tarantini fino agli inizi degli anni ’60 d’estate arrivavano con lenzuola bianche annodate nelle quali portavano le lane dei loro materassi per lavarle nell’antico fiume, lane che venivano messe sui cespugli ad asciugare e poi cardate con attrezzi presi in fitto.

Ne avrei tanti di ricordi belli da raccontarti ma voglio chiudere qui questa lettera. Per quel che ho vissuto, io non potrò mai rassegnarmi , io non potrò mai accettare di vedere la mia amatissima e bellissima Taranto drammaticamente vituperata ed offesa.

LA TARANTO UMILIATA E OFFESA (click on images to enlarge)

salviamotaranto4_annasvelto salviamotaranto24_annasvelto svelto_003

L’ALTRA TARANTO (click on images to enlarge)

taranto5_annasvelto taranto8_annasvelto taranto24_annasvelto

taranto21_annasvelto taranto17_annasvelto taranto4_annasvelto

taranto14_annasvelto taranto18_annasvelto taranto31_annasvelto svelto_005

Images: by Anna Svelto © All rights reserved – FdS: courtesy dell’Autrice

Rispondi

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati *

*

Torna su