Stasera debutta a Bari con ‘Elektra’ e intanto ammette su Repubblica di essere gay. Gianni Amelio: «il vero outing lo vorrei da chi froda il fisco»

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Il regista calabrese Gianni Amelio

di Kasia Burney Gargiulo

Campeggia su tutti i quotidiani nazionali la notizia del coming out fatto ieri nel corso di un’intervista rilasciata a Natalia Aspesi, nota firma del quotidiano La Repubblica, dal regista calabrese Gianni Amelio, uno degli autori più quotati del panorama cinematografico italiano, ben conosciuto anche a livello internazionale come dimostra la nomination all’Oscar per il miglior film straniero del suo Porte Aperte nel 1991. ”Alla mia età forse è ridicolo, ma lo dico per tutti gli altri, felici o no, io sono omosessuale”: queste le parole semplici e dignitose del regista sessantanovenne in questi giorni a Bari per curare la regia dell’opera ‘Elektra’ di Richard Strauss in debutto questa sera al Teatro Petruzzelli: una piccola ‘digressione’ dal suo amato cinema, omaggiato con capolavori come Ladro di bambini, Lamerica,  Così ridevano.

L’ammissione intorno a questo lato della sua vita privata, peraltro già noto nell’ambiente del Cinema ma mai asserito a chiare lettere come in questa occasione, giunge in concomitanza dell’uscita al Festival di Berlino, nella sezione Panorama, del documentario ‘Felice chi è diverso’ , racconto per dialoghi ed immagini delle vicende di omosessuali anziani che hanno vissuto il loro orientamento sessuale in anni socialmente ancora più difficili di quelli attuali. Il film copre infatti un periodo che va dagli inizi del Novecento fino agli anni ’80 e si focalizza – spiega Amelio – “sul significato dell’essere omosessuali per uomini che sono stati giovani quando gli omosessuali non esistevano, se non in una vita clandestina temuta, perseguitata, irrisa”. Toccante il suo ricordo di quando, a 15 anni, sentì un suo professore dire: “Un omosessuale o guarisce o si suicida”. Una frase irresponsabile che ci riporta ai tanti casi odierni di adolescenti che arrivano a togliersi la vita per l’impossibilità di reggere il confronto con una società che non li accetta. Non a caso nell’intervista Amelio denuncia l’ancora forte persistenza di una visione così aberrante: “L’omofobia è ancora imperante, capita ancora che ragazzi si uccidano perché ‘froci’ o ritenuti tali (…) Scherniti, isolati, picchiati. Insomma la battaglia non è vinta”.

La notizia della partecipazione di Amelio alla Berlinale con un documentario sui gay era in qualche modo già parsa a molti una ‘dichiarazione’. E  il regista non smentisce che lo sia stata, anzi sottolinea la sua scelta dicendo: “credo che chi ha una vita molto visibile abbia il dovere della sincerità”. E chiude l’intervista con una stoccata ispirata all’attualità nazionale: “Io sono gay, ma il vero outing me lo aspetterei da chi froda il fisco, da chi usa la politica per arricchirsi”.

La vicenda di Amelio, e l’inevitabile risalto datole dai media,  porta con sè un’amara riflessione su come nell’epoca della cibernetica, della rivoluzione web e dei prossimi viaggi su Marte, e in una società convinta (falsamente) di aver rivoluzionato tutti i propri tradizionali schemi comportamentali, sia paradossale che debba continuare a fare scalpore la notizia che un essere umano provi attrazione fisica e sentimentale nei confronti di individui del suo stesso sesso. Ci siamo mai chiesti perchè ciò accada?

La mia personale risposta è che al livello più popolare domini una profonda ignoranza sul fatto che l’omosessualità – ancora spacciata per un vizio di cui vergognarsi – sia un’espressione della natura umana esistente fin dall’origine del mondo, mentre fra chi regge sottilmente le fila della “morale” comune c’è la malafede propria di chi vuole mantenere un controllo su una delle sfere più intime dell’individuo, quella cioè in cui dovrebbe contare, più che in altri casi, solo la sua libera scelta, e che invece è spesso fatta oggetto di pesanti interferenze. In breve, un esercizio di potere. E anche fra i più spietati, perchè esercitato strumentalizzando quella abissale ignoranza. In una realtà del genere ben vengano quindi i coming out – ossia le ammissioni sulla propria omosessualitàda parte di personaggi famosi, perchè sono un mezzo che alla lunga può contribuire a scardinare il sistema dei luoghi comuni su questo tema; anche perchè in moltissimi casi – come in quello di cui oggi tutti parlano – non è riscontrabile alcuno degli stereotipi che solitamente vengono appioppati con ironia e sarcasmo alla figura del gay. E anche laddove quegli stereotipi trovassero un riscontro oggettivo, rimane l’inderogabile obbligo morale del rispetto nei confronti delle scelte di vita altrui, soprattutto se queste non interferiscono affatto con quelle degli altri.

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