Scoperti sei nuovi vulcani nel mare di Sicilia

La Sicilia vista dal satellite con l'Etna in eruzione. Nel tratto tracciato in rosso l'area del ritrovamento

La Sicilia vista dal satellite con l’Etna in eruzione. L’area del ritrovamento è indicativamente quella nel tratto tracciato in rosso

di Redazione FdS

Sicilia terra di Efesto, dio greco del fuoco e dei metalli, abile fabbro e protettore della metallurgia. Non poteva essere diversamente in presenza di quelle tre bocche di fuoco e vapori sulfurei che si chiamano Etna, Stromboli e Vulcano, fautrici – al tempo della colonizzazione greca – della diffusione sull’isola del culto per il figlio deforme di Hera e Zeus. In realtà la perenne fucina di fuoco e terra che ribolle in Sicilia ha anche un suo contraltare sottomarino come è ben noto dai tempi di Ferdinandea, l’isola vulcanica emersa nel 1831 nel Canale di Sicilia, tra Sciacca e Pantelleria, per poi sparire lasciando a bocca asciutta gli Stati che se la contendevano. Ed è proprio questo inquieto mondo sottomarino ad essere oggetto di recenti studi scientifici, come quelli condotti nel 2012 dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) sul cosiddetto Banco Graham, dove sono stati rilevati 9 crateri vulcanici monogenici, e gli ultimi portati a termine dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) che, nel corso di due campagne geofisiche a bordo della nave da ricerca Explora, hanno individuato ben sei vulcani a pochi chilometri dalle coste della Sicilia sud-occidentale, tra Mazara del Vallo e Sciacca. Trova così conferma la già ipotizzata esistenza di tre di questi vulcani, mentre gli altri tre costituiscono una novità assoluta. Lo studio, effettuato nel 2018, nel corso del progetto di ricerca “Fastmit”, coordinato dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) di Trieste, e finanziato dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, è stato pubblicato sul nuovo numero della rivista scientifica Marine Geology.

La scoperta è avvenuta ricostruendo in dettaglio la morfologia del fondo marino, grazie alle mappe batimetriche ad alta risoluzione e alle prospezioni sismiche e magnetiche. “Tutti i vulcani che abbiamo rilevato sono localizzati entro 22 chilometri dalle coste della Sicilia; uno in particolare si trova a soli 7 km da Capo Granitola” spiega Emanuele Lodolo, a capo del team di ricercatori dell’OGS. La mitologia ha naturalmente guidato la scelta dei nomi, tratti da quelli di Nereidi e Oceanine: Actea, Climene, Nesea, Doride, Ianeira e Ianassa. Situati a una profondità tra 180 e 80 metri, i vulcani hanno un diametro che varia da circa 400 a 1200 metri“Il vulcano più vicino alle coste, chiamato Actea, mostra una morfologia complessa e lungo il suo fianco occidentale presenta un importante flusso lavico che si estende per oltre 4 chilometri”, precisa Lodolo. Le dimensioni di questa colata sono paragonabili a quelle di grandi apparati vulcanici e rappresentano un unicum nel quadro del magmatismo di questo settore del Canale di Sicilia.

I vulcani individuati si trovano circa 14 chilometri a nord di quelli già noti del Banco Graham, dove è presente la famosa isola Ferdinandea, la cui sommità – dopo un’ultima emersione nel 1863 – oggi giace a circa 7 metri sotto la superficie del mare. “L’analisi suggerisce che i sei vulcani identificati sono stati generati durante la stessa fase magmatica precedente all’ultimo massimo glaciale, circa 20000 anni fa”, spiega Dario Civile, ricercatore Ogs che ha collaborato allo studio. Solo il vulcano Actea mostra indicazioni di una riattivazione più recente, probabilmente successiva alla risalita globale del livello del mare in seguito all’ultima deglaciazione.

“Dobbiamo sottolineare – ha aggiunto Civile – che nessuno di questi edifici vulcanici era stato precedentemente riportato né nelle carte nautiche comunemente utilizzate, né nelle mappe batimetriche sinora disponibiliLa scoperta di vulcani sommersi così vicini alla costa della Sicilia dimostra che ci sono ampie aree sommerse vicino al litorale che sono ancora poco conosciute e studiate, nonostante siano state attraversate, sin dai tempi più remoti, da innumerevoli imbarcazioni di ogni tipo”. Gli esiti di questo studio hanno mostrato l’importanza di mappare e monitorare i fondali marini, la cui conoscenza approfondita – al momento ancora incompleta – ha importanti ricadute su numerose attività come la navigazione, la pesca, la gestione delle infrastrutture costiere e portuali, la difesa delle coste dagli effetti spesso devastanti di fenomeni estremi generati dai cambiamenti climatici.

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