Plinio il Vecchio: salvò numerosi pompeiani in fuga dal Vesuvio ma i suoi presunti resti giacciono dimenticati

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Pierre-Henri de Valenciennes, Eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Morte di Plinio il Vecchio, 1813 – Musée des Augustins, Tolosa

Si riaccendono i riflettori sul cranio appartenuto molto probabilmente al celebre ammiraglio e naturalista morto in Campania nel 79 d.C. durante l’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei. Ritrovato nel 1900, dopo oltre un secolo di oblio sta per essere sottoposto a uno studio decisivo per la sua attribuzione

di Kasia Burney Gargiulo

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Il “Cranio di Plinio”, I sec. d.C., Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria, Roma – Ph. Flavio Russo

“Il 20 settembre 1900 furono ritrovati diversi scheletri sotto la lunga tettoia antistante i magazzini. Uno di essi comparso in una posizione più elevata, era disteso, con la testa addossata ad un pilastro. Era lo scheletro di un anziano, sdraiato sul dorso, al di sopra del lapillo. Portava intorno al collo un collare d’oro di 75 maglie formante tre giri, del peso di 400 grammi e sulle ossa di ciascun braccio una armilla d’oro rappresentante due vipere maschio e femmina in triplice giro; il peso dei due bracciali era di circa 665 grammi; alle dita della mano sinistra, aveva tre anelli d’oro massiccio, di cui uno pesante 36 grammi, rappresentante due serpenti affrontati; al suo fianco un gladio [con elsa d’avorio decorata a rilievo con molluschi e tre conchiglie marine – NdR] ed una brocca d’argilla; nessuna moneta di qualsiasi specie gli venne rinvenuta indosso. In direzione Nord, a due metri di distanza dal gruppo, si rinvennero le ossa di un gigante di 2 metri e 10 centimetri di altezza, avente una grossa lampada di bronzo in mano a forma di testa di cavallo”.

Così scriveva l’ingegnere Gennaro Matrone, originario di Boscotrecase (Napoli), in un opuscolo edito nel 1903, nel quale racconta la scoperta, in un fondo di sua proprietà (oggetto, fra 1899 e 1902, di tre campagne di scavi autorizzati e autofinanziati), di 73 scheletri nei pressi di un antico porticato portuale con fondaci e di una lussuosa villa residenziale emersi presso la foce del fiume Sarno, di fronte allo Scoglio di Rovigliano (Petra Herculis), lungo l’antico litorale di Stabia. L’autore conclude identificando lo scheletro dell’uomo anziano con quello del celebre ammiraglio e naturalista comasco Plinio il Vecchio andato in soccorso dei pompeiani con le quadriremi della potente Flotta Pretoria di stanza a Miseno della quale era prefetto. Com’è noto grazie a due epistole del nipote Plinio il Giovane, l’ammiraglio – animato da umana pietà oltre che da un irrefrenabile interesse scientifico per quell’eccezionale evento geologico – trovò la morte a 56 anni sulla spiaggia stabiana ammorbata dalle esalazioni del vulcano, probabilmente una miscela letale di anidride carbonica e acido solfidrico. Una fine senz’altro immeritata per l’uomo che, ben consapevole dei rilevanti mezzi a sua disposizione, fu autore del primo intervento di protezione civile della storia.
 

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Angelica Kauffmann, Plinio il Vecchio a Miseno con sua sorella e suo nipote durante l’eruzione vesuviana del 79 d.C. , XVIII sec.

Fin dal ritrovamento, Matrone cercò di convincere i funzionari dell’amministrazione dei Musei che quello scheletro apparteneva molto probabilmente a qualche illustre personaggio, presto da lui identificato con Plinio il Vecchio, ipotesi peraltro già formulata anche dal vice console di Francia a Castellammare di Stabia, Eduard Jammy, in un articolo del Corriere di Napoli del 16 novembre 1901.
 

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Plinio il Vecchio nel part. di una incisione di Peter van der Borcht (tratta dal volume “Icones veterum aliquot, ac recentium medicorum […]” di Johannes Sambucus, 1574

Matrone fece sua l’ipotesi e con lui anche altri studiosi, fra cui l’ingegnere Mariano E. Cannizzaro (direttore nel 1903-05 degli scavi per il recupero dei frammenti dell’Ara Pacis), che poco dopo il ritrovamento dello scheletrò pubblicò a Londra un breve saggio dal titolo Il Cranio di Plinio, breve nota su alcuni nuovi scavi presso la foce del Sarno con illustrazioni tratte da fotografie di G. Ruffo, principe di S. Antimo”, un’edizione privata in appena 100 copie. Di fronte però all’indifferenza delle istituzioni museali, Matrone si limitò a conservare il cranio e alcuni monili mentre il resto dello scheletro fu sepolto sul luogo del ritrovamento. Quanto agli altri oggetti ritrovati, gli fu lasciata piena libertà di disporne, determinandone così la dispersione sul mercato del collezionismo privato.
 
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Bassorilievo con unità della marina imperiale romana, marmo, I° sec., Sussex (Gran Bretagna)

La tesi di Matrone non mancò di sollevare opposizioni fra cui quella dell’archeologo Giuseppe Cosenza convinto che un ammiraglio romano non potesse andare in giro ricoperto di monili come “una ballerina da avanspettacolo”. In realtà un’osservazione più attenta degli appariscenti ornamenti indossati dall’uomo, ha in seguito suggerito ad altri studiosi come potesse verosimilmente trattarsi degli emblemi di onorificenze e alte cariche militari in uso in età imperiale: emblemi legati all’ambiente marittimo, come nel caso del gladio con le conchiglie marine a rilievo sull’elsa, e ad un ordine sociale e militare come quello equestre (e che Plinio fosse un eques è cosa nota) nel caso dell’anello con protomi ferine affrontate. Si è quindi argomentato che, accingendosi a gestire le operazioni di salvataggio nella situazione di caos totale generata dall’eruzione, Plinio possa aver scelto di rendere ben riconoscibili il proprio ruolo e la propria autorità indossandone le insegne.
 

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Gli scavi condotti dall’ingegnere Gennaro Matrone nell’area dell’antica Stabiae (c.da Bottaro, Torre Annunziata), in una foto del 1901

Eppure la critica del Cosenza fu a suo tempo sufficiente a far scemare in Matrone ogni entusiasmo, spingendolo a donare il teschio al Generale Mariano Borgatti dalle cui mani passò al Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria di Roma dove ancora giace dimenticato in una vecchia teca: scritta a mano su un cartoncino ormai sbiadito, una didascalia lo identifica come “Cranio di Plinio il Vecchio”. Difatti l’atteggiamento derisorio che accomunò il Cosenza e tutta una schiera di studiosi e intelletuali, fece sì che sullo scheletro di Plinio e sul suo presunto ritrovamento cadesse una sorta di velo spesso e impenetrabile, solo scalfito anni fa da Antonio Scherillo, Ordinario di Mineralogia all’Università di Napoli, durante un convegno dell’Accademia Nazionale dei Lincei, tenutosi a Roma in occasione del XIX Centenario dell’eruzione del Vesuvio e della morte di Plinio, allorché rievocò i ritrovamenti del Matrone ed espresse, sia pure cautamente, la possibilità che quel cranio fosse realmente appartenuto al celebre scienziato e ammiraglio romano.

Di recente il reperto è però tornato sotto i riflettori grazie all’iniziativa del quotidiano La Stampa di Torino che ha proposto agli scienziati occupatisi del celebre Uomo del Similaun di studiare anche il cranio di Plinio, avvalendosi delle metodologie di ricerca più avanzate. Un invito senza dubbio da condividere e che a quanto pare non è caduto nel vuoto. Del resto non si tratta dei resti di un signor nessuno ma dell’autore della celebre e vastissima Naturalis Historia, opera in 37 libri che abbraccia le più disparate discipline legate al mondo della natura: cosmologia, astronomia, geografia, etnografia, antropologia, zoologia, botanica, farmacologia, medicina, mineralogia, e persino le arti figurative.

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Plinio il Vecchio in un cameo d’epoca romana. E’ considerato il ritratto più fedele tra quelli noti | Collezione Cades V/211

Gli indizi che suggeriscono l’opportunità di uno studio approfondito sul cranio non sono pochi, come evidenziato dallo studioso Flavio Russo autore, insieme a Ferruccio Russo, del libro “79 d.C. Rotta su Pompei”, pubblicazione promossa nel 2014 dallo Stato Maggiore della Difesa per ricostruire quella che è stata definita “la prima operazione di protezione civile”: il cranio appartiene a un cinquantenne e Plinio morì a 56 anni; fu ammiraglio e cavaliere e sullo scheletro furono ritrovati gioielli che rimandano a entrambi gli status; i resti sono stati ritrovati sulla spiaggia di Stabia e appartengono a un uomo certamente morto durante le operazioni di salvataggio nel giorno dell’eruzione che distrusse le città vesuviane, luogo e circostanze pienamente calzanti con la fine di Plinio il Vecchio. Molti indizi non fanno però necessariamente una prova definitiva. Questa potrebbe tuttavia arrivare dall’utilizzo della tecnologia in grado di misurare gli isotopi radioattivi contenuti nell’acqua da bere che si depositano nei denti durante i primi anni di vita di una persona. Un confronto con gli isotopi contenuti nelle acque del comasco (zona d’origine di Plinio) consentirebbe dunque di sciogliere molti dubbi.
 

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Morte di Plinio il Vecchio, litografia, 1888

A raccogliere l’input per uno studio del genere è stata la dottoressa Isolina Marota, antropologa dell’Università di Camerino, che ha seguito a lungo gli studi sull’Uomo del Similaun, mummia di 5000 anni fa ritrovata nel 1991 fra Alto Adige e Tirolo. La studiosa ha ritenuto che “l’idea dell’esame sugli isotopi stabili e degli elementi in tracce” sia sicuramente vincente, come del resto avvenuto nel caso della citata mummia per la quale è stato possibile accertare addirittura la valle alpina di provenienza. A questa indagine potrebbe accostarsi anche il confronto tra la morfologia del cranio e i vari busti di Plinio d’epoca imperiale giunti sino a noi. Insomma non mancano le basi per un serio progetto di studio – che peraltro non dovrebbe superare il costo di 10mila euro – magari da realizzarsi, come suggerisce Marota, “in collaborazione con studiosi e archeologi specializzati e con i responsabili istituzionali del sito di Pompei”.

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Bibliografia:

Carlo Avvisati, Plinio il vecchio: il mistero dello scheletro scoperto sulla marina di Pompei antica, Flavius editore, Pompei, 2001, pp. 74
Mariano E. Cannizzaro, Il cranio di Plinio, Ballantyne Press (edizione privata in 100 copie), Londra, 1901, pp. 36
Giuseppe Cosenza, Intorno alla pretesa scoperta dello scheletro di Plinio il naturalista, in Rivista d’Italia, a. 5 (settembre 1902), n. 9., Roma, pp. 474-503
Gennaro Matrone, Précis historique sur les fouilles exécuté par M.r l’ingenieur J. Matrone pres de l’ancienne bourgade de la marine de Pompei: le squelette de Pline, le peristyle grec, la statue en bronze de l’Hercule de Lysippe (Epitrapezios), Tipogr. Gennaro Avallone, Napoli, 1909, pp. 34 (edizione rivista di quella del 1903 pubblicata presso la Tipogr. Di Martino, Castellammare di Stabia)
Flavio Russo, Ferruccio Russo, 79 d.C. Rotta su Pompei. La prima operazione di protezione civile, Stato Maggiore della Difesa / E.S.A. Edizioni Scientifiche e Artistiche, Torre del Greco, 2013, pp. 207

Aggiornamenti 23 gennaio 2020
Sono stati presentati a Roma, nell’ambito del convegno sui 100 anni dell’Accademia di Arte Sanitaria, gli esiti di due anni di ricerche sul presunto cranio di Plinio il Vecchio coordinate dal giornalista e storico dell’arte Andrea Cionci, in collaborazione con esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e delle università Sapienza di Roma, di Firenze e di Macerata. “Le probabilità che si tratti del cranio di Plinio il Vecchio – ha dichiarato Conci – sono molto molto alte, anche se in archeologia non ci sono mai certezze assolute. Abbiamo la certezza – ha aggiunto – che dagli studi condotti finora non è emerso nulla che possa contraddire l’attribuzione a Plinio”. Si è partiti da una serie di dati, a volte contraddittori, emersi dai primi studi, ma alla fine si è pervenuti a dei punti fermi: se le analisi condotte da Mauro Brilli, dell’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Cnr (Cnr-Igag), avevano indicato che il cranio appartiene a un individuo vissuto in alcune zone dell’Appennino centrale e della Pianura Padana, compresa la città natale di Plinio il Vecchio, Como, i risultati ottenuti da Roberto Cameriere, dell’Università di Macerata, indicavano invece che il cranio apparteneva a un individuo di 37 anni: quasi venti in meno rispetto all’età nota di Plinio il Vecchio al momento della sua morte. Ma a chiarire le cose sono finalmente arrivati i risultati genetici ottenuti da David Caramelli, dell’Università di Firenze, e da Teresa Rinaldi, dell’Università La Sapienza: il reperto riconduce in realtà a due individui, nel senso che la mandibola apparteneva a un individuo di origine africana, mentre il cranio a un uomo all’incirca dell’età di Plinio il Vecchio (una combinazione di elementi eterogenei dovuta evidentemente ad una erronea ricomposizione del cranio da parte di Matrone). L’esame delle suture craniche ha permesso di stimare l’età al momento della morte, che per la volta (ossia la porzione ossea superiore del cranio) è risultata di circa 45,2 anni, ± 12,6 anni (resta quindi plausibile fino ai 57,8) mentre per il sistema latero-anteriore di circa 56,2, ± 8,5 anni: come si può notare, in questo caso il valore centrale corrisponde proprio all’età di morte di Plinio. Ulteriori dettagli, come la posizione in cui era stato trovato lo scheletro e gli ornamenti che aveva indosso stringono ulteriormente il cerchio intorno all’identità pliniana del cranio. Gli esiti delle ricerche saranno pubblicati prossimamente dall’Accademia grazie al finanziamento di cittadini privati: infatti lo stato di povertà assoluta dell’istituto, che pur conserva straordinali reperti, non avrebbe consentito alcuna pubblicazione.

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