Inquietante morìa di pesci nel lago lucano del Pertusillo: sotto accusa le estrazioni petrolifere. Si temono rischi per la salute umana

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Ph. Rafał Dzed | Public domain

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di Kasia Burney Gargiulo

Quella che stiamo per raccontarvi è una storia che ha dell’incredibile perchè va avanti da anni senza trovare ancora alcuna risposta in sede istituzionale. Parliamo dell’inquinamento del Lago Pertusillo, in Basilicata, dove nei giorni scorsi si è verificata una inquietante morìa di pesci che, numerosi, sono stati visti galleggiare senza vita al centro di una macchia oleosa lungo lo sbarramento della diga che fin dagli anni ’50 blocca il fiume Agri dando vita ad un invaso di 75 chilometri quadrati con una capacità da 145 a 155 milioni di metri cubi d’acqua. Sono sempre più forti i sospetti che ciò sia legato alle attività petrolifere estrattive che da anni si eseguono nelle vicinanze del lago. In realtà, i pesci morti sono solo la punta di un iceberg, un fenomeno che parrebbe inquadrarsi in una più grave situazione di inquinamento da idrocarburi e metalli pesanti di un invaso che fornisce per il 60 per cento acqua potabile alla Puglia e per la restante parte a Basilicata e Campania. Una situazione che allarma per ciò che potrebbe derivarne in termini di danni per la salute umana.

Non è la prima volta che la morìa di pesci si verifica, tanto è vero che nel 2012 il fenomeno è stato oggetto di una eclatante denuncia da parte del tenente della polizia provinciale Giuseppe Di Bello, sottoposto a sospensione e a processo per aver denunciato pubblicamente l’inquinamento del lago. Di Bello, come risulta dalle cronache dell’epoca, oltre a segnalare la morìa di migliaia di pesci – “un qualcosa che arriva da lontano e precisamente dal 2010” –  riferì anche della comparsa di alga rossa e del “silenzio tombale da parte delle istituzioni locali”, sottolineando come l’esperta di alghe Patrizia Albertano, espressasi sulla vicenda, avesse respinto con forza l’idea che il fenomeno fosse attribuibile a fattori meteo-climatici, come a suo tempo sostenuto dall’Arpab (l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente), ritenendolo, al contrario, “inequivocabilmente frutto dell’inquinamento”, ed esprimendo grave preoccupazione per l’uso potabile di quell’acqua. Di Bello parlò anche delle analisi promosse sul campo insieme alla professoressa Albina Colella, analisi che definì verificabili e valutabili da qualunque esperto; i relativi risultati – concludeva il poliziotto – confrontati “con le tabelle che indicano le “caratteristiche di qualità per acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile” dicono una sola cosa: a causa dell’inquinamento chimico e batteriologico le acque del Pertusillo hanno subito un forte decadimento della loro qualità”.

Ma cosa sta accadendo nel Lago Pertusillo e cosa è stato trovato di preciso nelle sue acque? Il caso è oggetto di un dossier-denuncia che lo scorso marzo 2015 è stato illustrato alla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo dal senatore lucano del Movimento 5 Stelle Vito Petrocelli, il quale ha chiesto di valutare se ci siano o meno i presupposti per aprire una procedura di infrazione a carico dell’Italia. Come riporta il quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno (5 marzo 2015), nel documento si fa innanzitutto riferimento ad esperimenti simili al “fracking” – detto anche “fratturazione idraulica”, ossia lo sfruttamento della pressione di un fluido, in genere acqua, per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso nel sottosuolo – che sarebbero stati eseguiti in segreto nei dintorni della diga del Pertusillo, ubicata poca distanza dal Centro Oli di Viggiano (Potenza), luogo dove si effettua la desolforazione del greggio.

Il dossier, a quanto pare corredato da una ricca documentazione, farebbe infatti riferimento all’utilizzo – per la prima volta in Italia – da parte di una società di perforzione, di una tecnica simile al “fracking” per estrarre petrolio e gas, metodica che secondo uno studio americano allegato al dossier, sarebbe all’origine di un’analoga morìa di pesci avvenuta nel Kentuchy. Il suo uso nei pressi del Pertusillo troverebbe conferma in una pubblicazione sulla rivista “One petro” che farebbe appunto riferimento ad una sperimentazione eseguita con l’uso di acido cloridrico e acido idrofluorico in pozzi oggetto di concessione attorno al Lago del Pertusillo. Da qui la deduzione, formulata nel rapporto, che anche le varie morìe di pesci avvenute nel bacino lucano siano da attribuirsi all’acidificazione delle acque provocata da esperimenti di perforazione orizzontale con additivi chimici effettuati già dal 1999 ma mai resi noti ai cittadini. Ma la parte più allarmante del dossier è quella in cui si fa riferimento ai risultati di analisi svolte su un’acqua che finisce nei bicchieri di circa quattro milioni di persone. 

Da prelievi effettuati nel 2012 e nel 2014 emergerebbe infatti che nelle acque del Pertusillo sono presenti consistenti tracce di ben 21 metalli pesanti, cinque dei quali (zinco, Ipa, idrocarburi C10, C 40, berillio e bario) sfuggirebbero all’impianto di potabilizzazione di Missanello, in provincia di Potenza. Inoltre non mancherebbero idrocarburi e alifatici clorurati cancerogeni in concentrazioni superiori ai limiti di legge, oltre a batteri fecali molto probabilmente provenienti da depuratori malfunzionanti o sversamenti fognari abusivi (3200 tubature riversano nel lago materiale inquinante). In particolare per quanto concerne gli idrocarburi e la loro concentrazione nel sedimento del lago, è stata presa come termine di confronto la soglia dei 60 milligrammi/chilogrammo, ossia il valore totale ammesso dalla legge per le concentrazioni di idrocarburi nei suoli, e dal confronto sarebbe emerso appunto che nel 70% dei campioni analizzati compaiono concentrazioni di idrocarburi superiori ai limiti legali (in uno dei campioni sarebbero stati addirittura riscontrati 559 milligrammi/chilogrammo di idrocarburi, praticamente il valore legale decuplicato).

Da un convegno del 2012 sull’inquinamento ambientale a Potenza, organizzato dalla prof. Albina Colella dell’Università della Basilicata, è emerso come l’intera Val d’Agri sarebbe ormai compromessa dalle trivellazioni petrolifere, con un’agricoltura in forte decadimento, un inquinamento ormai penetrato nella catena alimentare e un aumento di patologie lamentato dagli abitanti della zona: tracce di idrocarburi si troverebbero persino nel miele, mentre fanghi e scarti di perforazione petrolifera sarebbero sepolti nei campi dove vanno a pascolare le pecore, con benzene e toluene rilevati nelle falde idriche intorno al Centro Oli di Viggiano.

A seguito dell’ultima morìa di pesci, tecnici dell’Agenzia regionale di protezione dell’ambiente (Arpab) e dell’Acquedotto Lucano sono tornati ad effettuare prelievi di campioni d’acqua da analizzare e di pesci morti da inviare all’Istituto zooprofilattico di Foggia. Saranno dunque gli esiti di tali nuovi esami a mettere, forse, la parola fine a questa oscura vicenda. E mentre su questa storia molti preferiscono ancora non sbilanciarsi, nonostante la crescente preoccupazione dei cittadini, il tenente Giuseppe Di Bello, oggi presidente del movimento «Liberiamo la Basilicata», non ha dubbi che la presenza di Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), acidi alogenati e clorurati cancerogeni sia la reale causa della moria dei pesci.

E’davvero triste che tutto ciò stia succedendo in un luogo un tempo noto esclusivamente per la qualità delle sue acque e per la presenza di uccelli tipici delle aree umide come folaghe, germani reali, moriglioni, aironi cinerini, oltre ad una grande varietà di rapaci. E’ forse questo il pesantissimo prezzo da pagare per un presunto sviluppo economico basato sulle estrazioni petrolifere del quale peraltro non si vedono ancora le tracce? Non dimentichiamo che la Basilicata, a dispetto delle tanto decantate prospettive di ricchezza legate all’oro nero, continua a figurare nell’annuale rapporto Istat fra le regioni più povere d’Italia. E’ inoltre proprio di questi ultimi giorni la notizia dell’apertura di un’inchiesta presso la Procura di Potenza per capire che fine abbiano fatto le royalties del petrolio destinate alla creazione di infrastrutture di interesse pubblico nell’area della Val d’Agri che, sebbene designata come parco nazionale, è ormai da tempo sede di estrazioni petrolifere con ben 25 pozzi attivi che ne fanno il più grande giacimento di idrocarburi in terraferma d’Europa.

 
latuapubblicita2
 

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