Il suono vivo della Memoria: restaurato a Bari il pianoforte di Nino Rota

Il pianoforte Schiedmayer  (1892) appartenuto a Nino Rota, Auditorium 'Nino Rota', Bari

Il pianoforte Schiedmayer (1892) appartenuto a Nino Rota, Auditorium ‘Nino Rota’, Bari  © Famedisud

“Se gli oggetti non vengono sradicati dai loro contesti e delle loro strade, ma vengono sistemati con cura e ingegno nei loro luoghi naturali, potranno raccontare le proprie storie” 
Orhan Pamuck

di Enzo Garofalo

Se c’è qualcosa nell’esperienza umana che riesce più di altre ad esprimere un senso di evanescenza e di inafferrabilità, è senz’altro la musica. Le combinazioni di note tracciate su fogli di carta restano infatti muti simboli se una voce o uno strumento non intervengono a conferire loro un ‘corpo’ nel mondo fisico dei suoni, e tali tornano ad essere appena ogni suono si spegne. Eppure, quando ascoltiamo la musica, essa ha la capacità di penetrare in luoghi profondi del nostro essere, lasciando che questi riecheggino nella nostra coscienza, talora con la forza di una vera e propria rivelazione. E’ il grande mistero di un’arte profondamente umana ma al tempo stesso – come sosteneva il grande architetto rinascimentale Leon Battista Alberti – strettamente connessa con i rapporti armonici immanenti alla natura che, a suo dire, nella musica si rivelano. Questi e altri pensieri stimolava pochi giorni fa l’ascolto, presso l’Auditorium di Bari, della musica prodotta da un pianoforte rimasto silente per decenni, quello del celebre compositore milanese Nino Rota, artista che con la musica ebbe un rapporto primigenio e totalizzante e scelse il capoluogo pugliese come sua ‘patria d’elezione’ dirigendone per un trentennio, e fino alla morte, il Conservatorio.

A rendere lo strumento nuovamente operativo – circostanza che lo sottrae a qualsivoglia forma di feticismo museale – è stato lo straordinario intervento di restauro promosso da un Comitato presieduto dall’ing. Domenico Di Paola e costituito da un gruppo di mecenati che hanno elargito i circa 25 mila euro necessari a portare a compimento un’operazione partita su impulso di Francesco Lombardi, procugino del compositore nonché conservatore del suo archivio presso la Fondazione Cini di Venezia. Il tecnico Luigi Lamacchia – che insieme a Roberto Valli ne ha curato l’esecuzione – ha illustrato le complesse fasi del recupero prima che un gruppo di giovanissimi interpreti (Gaia Damiana Minervini, Letizia Palmieri, Luca Cianciotta, Modesto Picci e Lidia Valerio), tornasse a far rivivere alcuni meravigliosi frutti della rigogliosa genialità creativa che ha visto protagonista questo strumento.
 

Particolare del pianoforte Schiedmayer appartenuto a Nino Rota, Conservatorio Piccinni, Bari © Famedisud

Particolare del pianoforte Schiedmayer appartenuto a Nino Rota, Conservatorio “Piccinni”, Bari © Famedisud

Il pianoforte di Nino Rota – uno Schiedmayer mezza coda costruito in Germania nel 1892, donato al Conservatorio “Piccinni” di Bari dagli eredi del compositore dopo la sua morte ma rimasto dimenticato per 30 anni nei depositi dell’istituto – ha infatti la peculiarità di essere stato utilizzato per la scrittura di gran parte delle sue opere: custodito nella casa romana di Piazza delle Coppelle, sulla sua tastiera hanno preso forma indimenticate colonne sonore per il cinema come  “8½” di Fellini o “Il Padrino” di Coppola, così come tanti lavori di una vasta produzione che ha praticamente abbracciato ogni genere, dalla musica sacra al balletto, passando per l’opera lirica, la musica da camera e quella sinfonica. Come Rota raccontò nel 1977 nel corso della trasmissione radiofonica RAI “Voi ed io: punto e a capo”,  nel pianoforte egli vide non un fine ma “un mezzo” indispensabile per il suo lavoro di compositore, preferendo, con grande umiltà, riservare il suo talento di interprete alla sola esecuzione di proprie opere o, al più, prestandosi come accompagnatore per i lavori di altri colleghi.
 

Nino Rota all'età di 9 anni  © Archivio Rota, Fondazione Cini, Venezia

Nino Rota all’età di 9 anni © Archivio Rota, Fondazione Cini, Venezia

Quello di Rota col pianoforte fu un rapporto di lungo corso. Prima ancora che ne iniziasse lo studio sotto la guida della madre Ernesta Rinaldi, poi proseguito con altri valenti maestri, aveva dato segni di un precocissimo talento. In “Storia di Nino”, testo scritto dalla madre ed edito postumo, si riporta questo episodio: “All’età di otto anni vidi Nino improvvisare al pianoforte, producendo armonie così naturali che ebbi quasi l’impressione che i tasti stessero muovendosi da soli sotto le sue dita. Quando si accorse che lo stavo ascoltando a bocca aperta, suo padre mi chiese con malcelato scetticismo: “Pensi che abbia davvero talento, oppure ci stiamo solo illudendo come fanno molti genitori?”. Nessuna illusione: il bambino andava rivelando al mondo il suo prodigioso talento. Eppure, bizzarramente, a questo strumento così amato, Rota avrebbe dedicato da compositore appena 14 opere, fra cui peraltro figurano capolavori come le “Variazioni e Fuga nei dodici toni sul nome di Bach” e i “Quindici Preludi”, quattro dei quali sono stati eseguiti a Bari insieme ai Sette pezzi difficili per bambini, ai Due valzer sul nome di Bach e alla Sonata per clarinetto e pianoforte.
 

Il pianoforte Schiedmayer appartenuto a Nino Rota, Conservatorio "Piccinni", Bari © Famedisud

Il pianoforte Schiedmayer appartenuto a Nino Rota, Conservatorio “Piccinni”, Bari © Famedisud

Innegabile l’emozione nel sentir risuonare uno strumento che, pur riportato a nuovo splendore, reca ancora impressi i segni dell’uso, volutamente preservati da un restauro che ha puntato a salvare il più possibile i componenti originali. Del resto si tratta di tracce di una quotidianità che, nelle mani di Rota, si è fatta arte, e che nel rinnovato utilizzo del pianoforte per scopi artistici – come previsto dalla convenzione stipulata fra il Comitato e il Conservatorio di Bari – diventano simbolo di una memoria ancora viva e pulsante in grado di ‘fecondare’ futuri talenti.

Ed è proprio la sedimentazione della memoria a rendere alcuni oggetti particolarmente degni di conservazione, sottraendoli alla dimensione consumistica che ne inflaziona il valore. Essi hanno infatti un potere evocativo che sopravanza la materia inerte di cui sono fatti rendendoli ‘testimonianza’, veicolo cioè di valori meritevoli di essere tramandati. Del resto gli oggetti, anche quelli più semplici e quotidiani, sono in grado di dar corpo al racconto più intimo delle nostre esistenze, e ciò grazie alla memoria di cui sono carichi. E quanto più sono legati a un’esistenza straordinaria, come fu appunto quella di Nino Rota, tanto più straordinario sarà il racconto.

La presentazione del pianoforte restaurato è stata accompagnata dalla mostra documentaria “Nino Rota e il pianoforte” realizzata in collaborazione con la fondazione Cini di Venezia e curata da Angela Annese e Francisco Rocca. Una ricca rassegna di pannelli, riproduzioni e documenti originali usciti dagli archivi per la prima volta, che hanno offerto uno sguardo approfondito sul multiforme rapporto che ha legato indissolubilmente Nino Rota al “suo” strumento per tutta la vita.

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