Vitigni autoctoni: una grande realtà pugliese in crescita

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UN ILLUMINANTE CONVEGNO SUL MONDO DEI VINI TERRITORIALI

di Enzo Garofalo

Il vino, diceva Mario Soldati, è la poesia della terra. Impossibile dargli torto, se solo si riflette su quali immagini e sentimenti di dolcezza, tenerezza, cordialità, amicizia e allegria sia riuscita ad evocare nei secoli questa straordinaria bevanda che nasce dall’incontro fra la natura e l’opera dell’uomo. Certo, per gli effetti che produce se consumata in eccesso, non manca di richiamare anche valenze negative, come sfrenatezza, stoltezza, furore, perdita della padronanza di sé; ma a maggior ragione allora questa ambivalenza finisce col rispecchiare la natura complessa dell’uomo, da sempre al centro d’ogni sua ricerca poetica. E così non solo alimentazione ed economia, ma anche Arte e Mito hanno attinto per millenni da questo ‘sangue della terra’ che ha nell’Italia una delle sue ‘arterie’ principali da cui si dirama verso tutto il mondo. In un panorama nazionale ricchissimo di vitigni e di vini d’ogni genere, da qualche anno il Sud è in frenetica ascesa grazie ad una nuova consapevolezza acquisita intorno al patrimonio dei propri vitigni autoctoni, risultato di una selezione che supera abbondantemente i duemila anni di storia.

Restringendo il campo territoriale di osservazione all’interno dello scenario meridionale, spicca – insieme alla Sicilia – in special modo la Puglia, il cui catalogo di vitigni locali va ampliandosi ogni anno di più. A raccontarlo al pubblico, in un illuminante convegno, sono stati l’Associazione Italiana Sommelier Puglia (delegazione Murgia), il Centro di Ricerca, Sperimentazione e Formazione in Agricoltura “Basile Caramia” e la Fondazione ITS Agroalimentare, organizzatori della giornata di studio tenutasi lo scorso 11 maggio a Gioia del Colle (Bari), presso la ex distilleria ‘Paolo Cassano’, bell’esempio di archeologia industriale riconvertito ad usi culturali. L’incontro era rivolto non solo a produttori, sommelier e tecnici, ma ha voluto comunicare l’affascinante mondo dei vitigni autoctoni anche ai semplici enofili o ai comuni consumatori, allo scopo di accrescere la conoscenza e la valorizzazione degli antichi vitigni minori (per quantità e non certo per qualità) che vanno sempre più prospettandosi come un grande potenziale della vitivinicoltura regionale e un importante propulsore dell’economia turistica. L’appuntamento, che ha riportato un ottimo successo di pubblico, è stato patrocinato dall’Assessorato alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, dal Comune di Gioia del Colle, cuore di un’importante area enologica, e dalla Provincia di Bari.

Ed è stato proprio un funzionario della Provincia di Bari – Francesco Degiorgio, dirigente dell’Ufficio Agricoltura – a coordinare il primo blocco di interventi dai quali è emerso come a fronte di una progressiva riduzione della superficie di territorio coltivata a vitigni autoctoni avutasi nel corso di tutto il ‘900, sia necessario incoraggiare un’inversione di tendenza, per molti versi già in atto, in modo da trasformare queste tipicità pugliesi in un punto di forza della regione nella competizione enologica internazionale. “Va tracciato un nuovo percorso – ha spiegato Sergio Povia, sindaco di Gioia del Colle – che ci consenta di presentarci al meglio all’estero. Noi lo stiamo costruendo perché siamo convinti che la qualità del territorio e dei suoi prodotti possa svolgere un ruolo essenziale per l’economia e in particolare per il turismo.

A tal proposito un altro importante rilievo, che in qualche modo accomuna il discorso sul vino a quello in generale sul patrimonio culturale italiano, è inerente alla necessità di “comunicare il vino in modo accattivante” perché “non ci sono dubbi – ha sostenuto Vincenzo Carrasso, delegato Murgia dell’AIS Puglia – che il turismo possa trovare nel vino un’importante fonte di stimolo”. Vito Nicola Savino, presidente della Fondazione Agroalimentare Puglia, ha quindi parlato dell’IFTS, un nuovo canale formativo di istruzione tecnica superiore che attraverso corsi tematici svolti in varie località pugliesi, mira a consentire a giovani diplomati di acquisire particolari qualificazioni nei settori produttivi dell’agroalimentare ormai sempre più aperti all’innovazione e alla trasformazione tecnologica. Fra questi settori si colloca in primis proprio quello dello studio e della rimessa in produzione dei vitigni autoctoni, “campo nel quale – ha spiegato Savino – si è già perso troppo tempo. Bisogna recuperare terreno su tutti i vitigni così come si è fatto per il Primitivo. I nostri avi – ha aggiunto – tendevano a evitare la monocultura, perché sapevano bene che avere più vitigni nei propri terreni consentiva, in sede di vinificazione, di giocare con le percentuali. Occorre ripristinare questo ricco patrimonio di biodiversità”.

RICERCA E VINIFICAZIONE SUGLI AUTOCTONI: IL RUOLO DEL CRSFA ‘BASILE CARAMIA’

Cruciale si è rivelato al pubblico dei non addetti ai lavori il ruolo giocato in Puglia dal CRSFA (Centro di Ricerca, Sperimentazione e Formazione in Agricoltura “Basile-Caramia” con sede a Locorotondo, che si avvale della collaborazione attiva con istituzioni pubbliche, consorzi di tutela, associazioni di categoria, cantine, nonché con altre istituzioni scientifiche italiane ed estere) nella ‘rinascita’ del settore dei vitigni locali attraverso una strenua attività di studio, recupero, sperimentazione produttiva di cui hanno poi modo di avvantaggiarsi direttamente i produttori e indirettamente gli operatori commerciali che agiscono a stretto contatto con il mercato. Un interessantissimo segmento della filiera vinicola di cui non si parla mai nella comunicazione di massa ma senza il quale i consumatori finali oggi non godrebbero di molte delle delizie reperibili sugli scaffali delle enoteche.

Antonio Palmisano, presidente del Centro, ha spiegato come il CRSFA oltre alle analisi ufficiali chimico-fisiche su mosti e vini, si occupi della conservazione del germoplasma viticolo autoctono in quella che è la più grande collezione di vitigni del Centro-Sud Italia, con più di 2500 selezioni di oltre 530 vitigni. Altri compiti importanti del Centro sono la selezione clonale (i cloni sono gli esemplari con caratteristiche identiche alla pianta madre) e sanitaria, al fine di ottenere esemplari certificati di interesse regionale; il recupero, la caratterizzazione e la registrazione al Catalogo Nazionale di vitigni autoctoni minori: a tal proposito, è stato comunicato come di recente siano state registrate le varietà Baresana Rossa, Minutolo, Marchione, Somarello rosso e Maresco (o Maruggio) già entrate nella fase produttiva. Altro passaggio importante sono le cosiddette “microvinificazioni”, ossia piccoli processi produttivi sperimentali attuati per verificare se alle caratteristiche agronomiche corrispondono adeguate qualità enologiche; il Centro le attua con tecniche di vinificazione innovative adattate ai singoli vitigni o a nuove tipologie di vino (si provano quelle monovarietali da vitigni minori, ma anche nuovi uvaggi, vini speciali passiti e spumanti). Il contributo del Centro alla rinascita di un settore che può dare tanto all’economia regionale e all’immagine internazionale della Puglia passa anche attraverso la organizzazione di manifestazioni, mostre pomologiche e degustazioni guidate, così come attraverso studi finalizzati alla modifica, integrazione e redazione dei disciplinari che regolano la produzione e la qualità delle uve sul territorio.

Tutta questa attività preliminare risulta fondamentale in un settore come quello vinicolo che in Puglia – spiegano gli esperti – produce in termini di export un fatturato di 120 milioni di euro l’anno. “E’ importante – ha aggiunto Palmisano – che la produzione del vino punti sempre di più all’eccellenza e alla produttività, così come va valorizzata l’importanza del nesso esistente fra i vitigni e la storia che c’è dietro ciascuno di essi”. Una storia che, a nostro avviso, va raccontata perché alle straordinarie peculiarità di gusto e olfatto si aggiunga il fascino dell’affabulazione derivante dal percorso millenario che queste piante hanno fatto per giungere sino a noi. Basti pensare ai tanti vitigni che si davano erroneamente per perduti a causa del ‘buco nero’ creatosi dopo l’epidemia di fillossera degli inizi del XX secolo quando molti vigneti sono andati distrutti e gli agricoltori hanno puntato su colture monovarietali più resistenti e produttive perdendo però quella biodiversità che è alla base di un vino dotato di particolare ‘personalita’ in quanto ancor più strettamente legato alle caratteristiche di un certo territorio rispetto a vitigni internazionali del tutto decontestualizzati per quanto all’origine di vini eccellenti.

POLITICHE DI SVILUPPO RURALE APPLICATE AI VITIGNI AUTOCTONI

La seconda sessione del convegno, dedicata alle “ragioni dell’evoluzione della base ampelografia pugliese”, è stata introdotta da Domenico Campanile, dirigente del Servizio Agricoltura della Regione Puglia per quanto attiene alle politiche per lo sviluppo rurale, il quale ha sottolineato l’attenzione massima rivolta dall’ente regionale al settore dei vitigni autoctoni ed ha ricordato la recente attivazione produttiva di 4 nuovi di essi. Ha inoltre menzionato l’appuntamento del prossimo 18 maggio ad Otranto con il 2° Concorso Enologico Nazionale dei vini rosati d’Italia, alle cui selezioni finali numerosi vini pugliesi hanno guadagnato il punteggio di 80 centesimi equivalenti al giudizio di “ottimo”; un settore questo dei rosati di Puglia che al recente Vinitaly ha registrato un notevole incremento di contrattazioni con i compratori stranieri. “Grazie all’impegno della Regione con il finanziamento 2012 – ha spiegato Campanile – è stato possibile passare dalla ristrutturazione iniziale di 500 ettari di vigneti ai 2000 ettari, e a tal proposito non si può non registrare la tendenza, soprattutto fra i produttori più giovani, alla riconversione dei vigneti verso l’autoctono.”

Nel ricordare come la crescita di attenzione stia riguardando sempre più anche il mondo dell’olio e degli agrumi, è tornato quindi ad intervenire Vito Nicola Savino, questa volta in veste di docente del Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell’Università di Bari. Savino ha illustrato come il percorso in negativo degli autoctoni sia stato condizionato oltre che dall’avvento distruttivo della fillossera nei vigneti del nord Europa che agli inizi del XX sec. stimolò nel sud Italia le coltivazioni di vitigni internazionali più produttivi e redditizi, anche dai mutamenti nella moda dei consumi (ad es. con la scomparsa dei bianchi), dai limitati finanziamenti per i reimpianti, dalla diffusione dell’agricoltura estensiva, dalla scomparsa delle colture promiscue (ossia con più vitigni diversi), dallo spopolamento delle campagne, dal ‘consumo’ del territorio a causa dei processi di crescente urbanizzazione, dalla presenza di aziende troppo piccole e senza ricambio generazionale.

“Oggi per fortuna – ha spiegato Savino – si sta tornando all’autoctono, anche perché il vino ormai più che essere bevuto si degusta per cui si va alla ricerca di un prodotto diverso, particolare e, rispetto al passato, c’è una redditività in aumento dovuta al netto miglioramento della qualità. E’ chiaro però che proprio perché gli autoctoni non sono concepibili separatamente dal territorio con cui si identificano, la loro coltura non si presta alla internazionalizzazione. Questo crea un legame ancora più forte con la Puglia ed attribuisce loro un carattere fortemente identitario. Occorre cogliere questo momento di grande interesse per incentivare il consumo dei nostri prodotti e per far questo non bastano solo i contributi pubblici, ma occorrono politiche aziendali ben mirate.” Ha quindi ricordato l’enorme ricchezza di varietà che alla fine dell’800 era stata registrata: “ben 87 vitigni diversi nell’agro di Barletta e numerosissimi anche in Valle d’Itria. Non dimentichiamo però che nel 1929 c’erano ben 18.879 ettari a vitigni autoctoni mentre nel 2005 ne risultavano appena 2564.

Il successivo passaggio del convegno ha riguardato “Strategie e progetti per il recupero e la valorizzazione di antichi vitigni pugliesi” e a parlarne è stato Pierfederico La Notte, operante presso il CNR Istituto di Virologia Vegetale e il CRSFA di Locorotondo. “Ogni strategia di recupero – ha spiegato lo studioso – non può prescindere dall’analisi delle cause degli insuccessi. Occorre poi recuperare il germoplasma, condurre degli studi storici, analizzare le caratteristiche produttive ed enologiche, registrare la varietà al Catalogo Nazionale, predisporre il materiale di propagazione per la ripresa produttiva, occuparsi del riconoscimento e della tutela dei marchi, curare attentamente la comunicazione e la promozione, con modalità di offerta e presentazione conformi ad un piano di marketing territoriale. In tutto questo processo un ruolo centrale hanno, fra le altre cose, la selezione clonale, la predisposizione di campi collezione, le ricerche storico-documentali, le analisi del DNA, operazioni nelle quali è attivissimo il CRSFA di Locorotondo. Purtroppo le norme vigenti rendono particolarmente lungo l’iter che va dal ritrovamento del vitigno alla sua rimessa in produzione, per il quale occorrono in media 10-12 anni. Fra i soggetti istituzionali che nell’ultimo periodo hanno molto sostenuto questa attività di recupero dei vitigni locali vi è stata la Provincia di Bari che ha collaborato con il CRSFA e con l’Università. E’ recente (2009-2011) la registrazione ufficiale di 5 vitigni autoctoni citati prima, fra cui l’ormai celebre Minutolo, che vanta già 25 etichette ed è richiestissimo all’estero, dando così una svolta al mercato dei bianchi di Puglia.”

Lo studioso ha poi spiegato come la Regione stia sostenendo le varietà a rischio di estinzione, aiutando gli “agricoltori custodi” affinché mantengano i vigneti di autoctoni e finanziando progetti per banche dati, attività di divulgazione della biodiversità, ricerche bibliografiche approfondite, ricerche di germoplasma, redazione di schede ampelografiche. “Guardando al periodo pre-fillossera – ha aggiunto – risultano oggi mancanti all’appello ben 140 nomi di vitigni: tantissimi, anche calcolando i sinonimi usati per una stessa varietà. Dal punto di vista della vite ad es. il Gargano e la sua biodiversità sono ancora tutti da esplorare. E’ una ricerca affascinante che a volte ci sta permettendo di recuperare ceppi pre-fillossera. A Gioia del Colle, è ad es. in corso un intervento pilota per creare appositi campi collezione. Vi chiederete perché facciamo tutto questo: perchè questi vitigni rappresentano un pezzo della nostra storia e perché sono un’opportunità economica da non trascurare. Pensate che il 22% della produzione mondiale di rosati è pugliese, così come il 40% di quella nazionale. La gamma dei rosati, oggi per lo più ottenuti da uve Negramaro e Bombino, può essere ulteriormente allargata proprio grazie ad altri autoctoni. Ed ormai vanno forte anche gli spumanti di produzione nostrana. Insomma creare nuovi vini dagli autoctoni è una vera sfida per cantine ed enologi ma, lo ribadisco, comunicazione e promozione vanno curate meglio e sempre di più. Un’altra opportunità sarebbe data dal riprendere la legge regionale del 2008 per la creazione di una enoteca regionale”.

VINI DA UVE AUTOCTONE: DAL LABORATORIO ALLA TAVOLA

La dott.ssa Pamela Giannini, del CRSFA di Locorotondo, ha infine illustrato le “Caratteristiche dei vitigni e la sperimentazione di nuovi vini”, mostrando – con una lunga e suggestiva sequenza di immagini fotografiche – come, accanto al Negramaro (per i rossi) e a Verdeca e Malvasia (per i bianchi), il territorio pugliese offra tantissime altre varietà di vitigni, classificabili in base alle loro qualità aromatiche, alla acidità più o meno spiccata, al colore della bacca. Ha inoltre spiegato come, grazie alle loro speciali caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche, gli autoctoni potrebbero – se necessario anche modificando i disciplinari vigenti – essere usati per caratterizzare meglio un vino già esistente e importante. Giuseppe Baldassarre (responsabile nazionale dell’AIS area Vino e Salute) ha infine introdotto Gianni De Girolamo dell’AIS Puglia (Delegazione Murgia) che ha illustrato una tesi dal significativo titolo “Il vitigno autoctono da testimone della storia a protagonista del futuro enogastronomico e turistico pugliese”: “Il vino – ha esordito il giovane studioso – si proietta nelle due dimensioni del Tempo e dello Spazio: una storia millenaria ci riporta infatti ai Greci, ai Fenici, ai Romani, agli uomini del Medioevo, ma questa storia acquista il suo senso nel momento in cui la collochiamo in un territorio ben preciso. Nel nostro caso questo territorio è la Puglia che ha visto una crescita progressiva della qualità passando dalla produzione di vini da taglio alle eccellenze in bottiglia. Stiamo assistendo ad investimenti di grandi aziende extraregionali che intervengono a colmare gli spazi lasciati vuoti dai pugliesi. Eppure la Puglia è ancora poco conosciuta.

Ecco perché occorre urgentemente accelerare il processo di riqualificazione e valorizzazione della viticoltura, perché in un mercato dominato da un gusto internazionale e omologato, le potenzialità distintive in positivo degli autoctoni sono straordinarie. E’ necessario che si parli sempre più non solo dei “fratelli maggiori” come il Negramaro, il Primitivo, il Nero di Troia, ecc., ma soprattutto dei “fratelli minori” come il Tuccanese, l’Ottavianello, il Susumaniello, il Minutolo, il Moresco, il Marchione, il Moscatello, solo per citarne alcuni. La parola d’ordine – affinché la produzione del vino abbia una ricaduta più ampia sull’economia regionale – deve diventare “vendere il vino attraverso il territorio e il territorio attraverso il vino”; la cantina deve essere la vetrina e lo specchio della filosofia produttiva di un’azienda; più in generale vanno valorizzati e promossi i giacimenti enogastronomici territoriali, legando al vino la cucina tipica. Solo così si potrà trasformare le nostre eccellenze in vere e proprie vocazioni turistiche. Occorre creare in senso lato un ‘gusto del luogo’ che, nel caso della Puglia, ha la possibilità di raggruppare arte, turismo religioso, trulli e grotte, mare incontaminato, paesaggi, colori e clima mite per un’offerta turistica destagionalizzata. Senza trascurare gli effetti benefici del vino sulla salute che, nel caso degli autoctoni, sono addirittura superiori alla media. Più in generale possiamo dire che la Puglia gode appieno della celebre triade ‘vino, olio, grano’, vale a dire i cardini della Dieta Mediterranea ormai ufficialmente accolta nel patrimonio immateriale dell’umanità tutelato dall’UNESCO.”

Il convegno ha dunque mostrato quanto impegno preceda la produzione e l’acquisto di una bottiglia di vino, ma non ha voluto dimenticare l’aspetto più suggestivo ed intrigante del rapporto con questo nettare, ossia l’esperienza sensoriale. A trattarla, con una dimostrazione appunto delle caratteristiche olfattive e gustative di una serie di vini da vitigni autoctoni, è stato il medico e sommelier Giuseppe Baldassarre dell’AIS Nazionale che con ritmo incalzante ha profuso aggettivi e definizioni in una magnificazione delle qualità di alcuni vini che il pubblico presente ha avuto modo di assaporare subito dopo l’intervento dei produttori Polvanera di Gioia del colle e Angiuli di Adelfia, testimoni diretti dei successi e delle difficoltà di un settore in decisa crescita. E’ partita così, calici alla mano, la grande kermesse degli assaggi di vini che – ha concluso Baldassarre – “hanno la grande caratteristica di essere tutti gradevoli, immediati, e adatti ad un consumo che può tornare ad essere abituale, direi quotidiano”. Valutazione assolutamente confermata dalla degustazione di alcune vere eccellenze enologiche presente sui tavoli curati dai sommelier dell’AIS Puglia, che ha permesso alla parte più sensibile ed attenta del foltissimo pubblico, di capire ancora una volta come fra tutti i prodotti naturali con cui si relaziona l’uomo il vino sia il più simile a un essere vivente, una materia in continua evoluzione, incredibilmente reattiva all’ambiente in cui si trova e ancestralmente legata al proprio territorio di origine, ma soprattutto di sperimentare come – vero microcosmo del gusto e dell’olfatto – esso racchiuda un mondo di aromi e di sollecitazioni gustative nella cui scoperta risiede uno dei massimi piaceri che è in grado di offrire.

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PER APPROFONDIRE: – Guida ai vitigni d’Italia – di Fabio Giavedoni, Maurizio Gily – 670 pp. – ed. Slow Food
– I paesaggi italiani. Fra nostalgia e trasformazione – Rapporto annuale 2009 della Società Geografica Italiana
– Paesaggi rurali storici – di Mauro Agnoletti – 576 pp. – ed. Laterza
– Storia del paesaggio agrario italiano – Emilio Sereni – 500 pp. – ed. Laterza

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