Otranto: ritrovata una nave corinzia del VII secolo a.C. Recuperata parte del carico

Una delle anfore recuperate ad Otranto (Lecce)

Una delle anfore recuperate ad Otranto (Lecce)

di Redazione FdS

Dopo le navi arcaiche riemerse qualche anno fa dal mare siciliano di Gela, tocca ora alla splendida Otranto (Lecce), in Puglia, riportarci all’epoca della presenza greca nel Sud Italia, notoriamente iniziata nell’VIII sec. a.C. con la nascita delle prime colonie magno-greche. Nel mare del Canale di Otranto, alla profondità di 780 metri, è stato infatti ritrovato il carico di una nave corinzia del VII sec a.C. Recuperato in parte, è stato sottoposto a uno studio i cui esiti sono stati comunicati di recente dai laboratori della Soprintendenza nazionale per il patrimonio subacqueo, gettando nuova luce sugli albori del commercio tra Corinto e la Magna Grecia, retrodatato ai primi anni del VII sec. a. C. Sono state riportate alla luce anfore e brocche ma anche un gran quantità di coppe da vino in ceramica fine destinate alla tavola delle élites del tempo, ancora impilate all’interno di grandi vasi usati per proteggerle dal rischio di incidenti durante il lungo viaggio in mare. Tra i vari materiali identificati anche resti di alimenti, come alcune olive.
 

 
Riconosciuta l’importanza storico-scientifica del ritrovamento – avvenuto nel 2018 durante i lavori per il metanodotto TAP che porta in Italia il gas dell’Azerbaijan -, il Ministero della Cultura ha espresso l’intenzione di avviare un progetto per riportare in superficie anche tutti altri reperti rimasti in fondo al mare. Come ha spiegato Barbara Davidde, soprintendente all’archeologia subacquea, il ritrovamento è avvenuto grazie alla legge sull’archeologia preventiva, tanto che lo stesso recupero dei reperti oggetto dello studio, in tutto 22, è stato finanziato dai lavori per il gasdotto. Inoltre le tecnologie solitamente messe in campo nell’ambito della pratica subacquea industriale legata a gas e petrolio, utilizzate sotto il controllo attento degli archeologi della Soprintendenza, hanno permesso di portare in superficie parte del carico del relitto  – il primo così antico – ritrovato nel mar Adriatico.
 

Resti del grande pithos da trasporto riempito di

Resti del grande pithos da trasporto riempito di skiphoi impilati in ordine

La pulitura e lo studio di vasi e coppe ha permesso agli esperti della soprintendenza di constatare che si trattava di materiale molto antico. Perché fino ad oggi, spiega Davidde, “non si pensava che tra la Magna Grecia e la madre patria ci potesse essere un commercio organizzato già in questa epoca”. Anche la fase del recupero è stata straordinaria. Gli archeologi sono tornati a bordo di una nave oceanografica nel punto del Canale di Otranto in cui era stato individuato il relitto, a 22 miglia dalla costa, e lì hanno documentato il tesoro sommerso con video subacquei e fotografie. Impiegando poi una sorta di sottomarino guidato via cavo (Remotely Operated Vehicle) e una speciale pompa aspirante sono riusciti a riportare in superficie 22 degli oltre 220 oggetti. Si tratta in particolare di tre anfore della tipologia corinzia A, dieci skyphoi e quattro hydriai di produzione corinzia, tre oinochoai trilobate in ceramica comune e una brocca di impasto grossolano, di forma molto comune a Corinto. Molto interessante il pithos, recuperato frammentario – spiega Davidde – contenente innumerevoli skyphoi impilati in modo ordinato. Se ne contano almeno 25 integri, oltre a diversi frammenti pertinenti ad altre coppe. Il numero totale degli skyphoi ed eventuali altri elementi contenuti originariamente nel pithos saranno definiti in laboratorio grazie alla rimozione del sedimento marino.
 

L'asportazione meccanica di uno dei vasi dal fondale marino

L’asportazione meccanica di uno dei vasi dal fondale marino

Gli altri oggetti che componevano il carico sono ancora sparsi sul fondale, di cui peraltro è stata già realizzata una mappatura georiferita. Dal loro futuro recupero così come dal restauro dei reperti già riportati in superficie, dalla realizzazione di analisi archeometriche sui materiali e archeobotaniche su residui organici e vegetali che potrebbero essere ancora presenti nel sedimento che riempie molte delle ceramiche recuperate, come per esempio l’anfora corinzia che ha restituito i resti di noccioli di olive, sarà possibile ricavare ulteriori preziose informazioni.

“La scoperta – ha spiegato il Direttore dei Musei dello Stato, Massimo Osanna, che ha visitato il laboratorio di restauro della Soprintendenza nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo, in occasione del 60° Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia – ci restituisce un dato storico che racconta le fasi più antiche del commercio mediterraneo agli albori della Magna Grecia, meno documentate da rinvenimenti subacquei, e dei flussi di mobilità nel bacino del mediterraneo. L’intatto carico getta luce sulla prima fasi della colonizzazione greca in Italia meridionale, grazie anche allo stato di conservazione significativo che ci permette di capire quello che trasportavano: non solo cibi come olive, ma anche coppe da vino considerate beni di prestigio e molto apprezzate anche dalle genti italiche”. 

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