Nella Fondazione Prada sotto il segno di Settis anche una suggestione dalla Calabria

Busto votivo di divinità femminile dalla polis magno-greca di Μέδμα, terracotta, VI sec. a.C., Museo Archeologico, Rosarno (Reggio Calabria)

di Roberta Schenal Pileggi*

Ufficialmente verrà inaugurata il 9 maggio la nuova sede della Fondazione Prada a Milano, ma la conferenza stampa di presentazione della mostra Serial Classic organizzata per l’occasione da Salvatore Settis ha già avuto ampia eco sul web, con diffusione di molte immagini in anteprima. Se “le mostre servono a pensare e a far pensare”, come ha affermato l’illustre archeologo, questa ci riporta ancora una volta a riflettere sulla modernità dell’arte classica: strumento di propaganda; ‘pop’ al limite del kitsch nella policromia di una statuaria ben lungi da fondare la propria valenza estetica sull’algido color bianco del marmo (ma anche con il bronzo non si scherzava, come risulta dal clone di uno dei due Bronzi di Riace del Liebieghaus Museum di Francoforte); seriale. E proprio la serialità, che nel mondo culturale contemporaneo è di continuo dibattuta in termini di dicotomia fra originalità e mercificazione dell’opera d’arte, è il fil rouge che anima gran parte dell’allestimento, dove innumerevoli statue di età romana stanno a testimoniare il fenomeno delle copie degli originali greci.

In attesa di leggere le certo illuminanti parole di Settis nel catalogo della mostra, mi soffermo sul contributo dell’archeologia calabrese che, da orgoglioso rosarnese, egli non ha fatto mancare. Si tratta di un gruppo di busti in terracotta evocativi del gran numero di esemplari rinvenuti proprio a Rosarno, l’antica Medma, i quali attestano con grande efficacia il significato della riproduzione seriale nell’arte greca. Provenienti dalla stipe votiva del santuario di Calderazzo, sono ex-voto portati in dono alla divinità come segno tangibile di devozione da parte di offerenti che non si presentavano mai ‘a mani vuote’: se talvolta il dono era prezioso, molto spesso era, come in questo caso, piuttosto modesto, e, appunto, opera di artigiani capaci di immettere sul mercato statuette economicamente alla portata di tutti grazie all’uso di una materia prima poco costosa come l’argilla e a un meccanismo di produzione seriale attraverso l’utilizzo di matrici.

Identificati come immagini della divinità – forse Persefone che “emerge” dalla sua sede infera nel suo ciclico ritorno sulla terra-, questi busti sono frutto di un alto artigianato capace di modellare le teste seguendo le tendenze artistiche nel loro evolversi col tempo nonché di diversificarle attraverso acconciature di vario genere, con aggiunta di particolari decorativi posticci e con la policromia. Era così garantita una certa riconoscibilità dell’offerta di ciascun devoto, che peraltro trovava risposta anche all’altra sua esigenza di perpetuare il proprio atto di culto, al fine di rendere il più duraturo possibile il favore ottenuto in cambio dalla divinità: spesso infatti il busto reca l’indicazione di un fiore, una corona, un volatile, come se la dea fosse stata riprodotta dopo aver ricevuto un’offerta, che risulta così ‘certificata’.

Ed è questa la forza comunicativa di questi straordinari reperti, a dispetto di una serialità che, contrariamente a quanto affermava Benjamin, non li slega né dalla sfera del sacro, secolarizzandoli, né dalla atemporalità, rendendoli contingenti, ma ne conserva immutato il profondo senso religioso che avevano per quanti vi affidavano le proprie speranze.

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*Roberta Schenal Pileggi, torinese, laureata in Archeologia della Magna Grecia a Torino, ha avviato la sua attività professionale di archeologa collaborando con la Soprintendenza della Calabria a Locri Epizefiri. Alle ricerche sul campo ha preferito in seguito l’attività di catalogazione – coordinando tra l’altro progetti su base regionale – e di divulgazione, per conto del Ministero dei Beni Culturali e dell’Università della Calabria. Ha partecipato all’allestimento di Musei nella sua regione ed attualmente rientra nel gruppo di progettazione del percorso allestitivo del nuovo Museo Nazionale di Reggio Calabria. Ha lavorato in mostre a carattere tematico sui vari aspetti della civiltà della Magna Grecia ed in altri allestimenti temporanei, come quello dei reperti al momento esposti, insieme ai Bronzi, presso la sede del Consiglio regionale della Calabria Palazzo Campanella. E’ fra gli autori del Corpus dei pinakes locresi ed ha firmato numerose schede di reperti archeologici dalla Calabria esposti in mostre nazionali ed internazionali. Il suo interesse alla divulgazione dei beni culturali calabresi si è anche esplicitato nel campo storico-artistico, grazie alla redazione di guide turistiche, all’attività di art tutor per conto di FMRArte ed ora alla collaborazione con Grand Tour-Incontri con l’arte. E’ membro del Comitato d’Onore di Fame di Sud.

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