L’eleganza e il rigore. Trionfo per Maurizio Pollini in concerto al Petruzzelli di Bari

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Il pianista Maurizio Pollini

Il pianista Maurizio Pollini

di Enzo Garofalo

Austero ed elegante avanza verso il proscenio del Teatro Petruzzelli con passo leggermente incerto, ma poco importa. La sicurezza, dall’alto dei suoi 76 anni, Maurizio Pollini la riversa tutta su quella tastiera a cui affida il compito di gettare un ponte fra l’interprete e il compositore, nella ricerca spasmodica di di ciò che quest’ultimo realmente ”pensava’‘ o ”sentiva”.  Un risultato privo di certezze assolute, raggiungibile solo grazie a uno studio rigoroso della pagina musicale ed avendo massima fiducia nel proprio istinto, e pur tuttavia meritevole di essere perseguito in un’ottica di profondo rispetto per il compositore. E’ questa la regola prima per un pianista come lui,  convinto più che mai che “la grande musica del passato è vissuta attraverso gli interpreti che hanno saputo trasmetterla”. E l’interpretazione non può essere improvvisazione ma conseguenza dello svisceramento di un pezzo “in tutti i suoi elementi, attraverso esecuzioni e studio”, pur conservando la consapevolezza che “quando sei in sala a suonare ti trovi nella condizione di dovere fare tutto da capo” perché “il pezzo deve vivere in quel momento”. Di questo approccio rigoroso ma non assoggettato a schemi o ortodossie di sorta, pregno di sensibilità e raffinatezza, connotato da una estrema cura  nella resa del suono e del fraseggio e di un’intensità cantabile capace di ammaliare, Pollini – senza dubbio uno fra i più grandi pianisti della nostra epoca – ha dato l’ennesima prova lo scorso 5 febbraio sul palcoscenico del Teatro Petruzzelli di Bari, città che lo attendeva da qualche decennio.

Il recital, che ha aperto la stagione concertistica del politeama pugliese, ha dunque pienamente soddisfatto le aspettative del pubblico che al botteghino ha fatto registrare il tutto esaurito già da diverse settimane. La serata ha visto Pollini impegnato sul suo Steinway curato da Angelo Fabbrini, tecnico accordatore con cui collabora da quarant’anni, in un programma di piacevolissimo ascolto che si è aperto con Arabeske in do maggiore op. 18 una breve composizione scritta da Robert Schumann nel 1839, nella quale la ‘poetica del frammento’ tipica dell’autore tedesco raggiunge uno dei suoi più alti vertici combinando nell’antica forma del Rondò una successione di ”frammenti” leggeri e visionari che rimandano appunto all’idea dell’arabesco quale modello di ornamentazione leggera e bizzarra. Le note di Schumann hanno continuato a dominare la prima parte del recital con la Sonata n.3 “Concert sans orchestre” in fa minore op. 14 eseguita nella versione del 1836 (l’opera è infatti nota in tre versioni, l’ultima delle quali del 1853): un lavoro che Vladimir Horowitz, pianista stimatissimo  da Pollini, considerava “una delle più grandiose pagine della musica romantica”, in cui trovano espressione le pieghe più dolorose, tormentate e ribelli del compositore.

La seconda parte è stata riservata al genio di Fryderyk Chopin, il rapporto con la cui musica è sempre stato considerato da Pollini “un privilegio”. Al suo pensiero musicale, denso di spunti di sorprendente modernità, il pianista ha dedicato infatti una approfondita e mai esaurita ricerca esegetica. Un nome, quello del compositore polacco, legato a doppio filo alla sua carriera esplosa nel 1960 quando, appena diciottenne, vinse  il Concorso “F. Chopin” di Varsavia, scelto fra 80 candidati da una giuria composta da gente come A. Rubinstein, H. Neuhaus, M. Horszowski, G. Agosti. E’ rimasta celebre l’affermazione di Arthur Rubinstein, pronunciata nell’occasione: “Questo giovane suona meglio di tutti noi”. L’amore di Pollini per Chopin è un sentimento di lungo corso perché “arrivare all’essenza della sua musica è difficilissimo”. E’ un compositore – aggiunge – che “sembra difendere il segreto delle proprie note”, ma al tempo stesso Pollini sente come col trascorrere del tempo la sua comprensione della musica di Chopin sia andata accrescendosi, regalandogli sempre nuove sorprese. Ecco allora, per questo concerto, la scelta dello Scherzo n. 4 in mi maggiore op. 54, del 1842, una pagina chopiniana pacata e luminosa lontana dalle inquietudini visionarie dei precedenti tre Scherzi, seguita dalle Tre Mazurke op. 56 ispirate all’omonima danza popolare polacca che più volte, lungo la sua esperienza creativa, ha ispirato Chopin per motivi nostalgici e affettivi, influsso che in questo caso si apre a più maturi risultati stilistici tipici della sua tarda produzione. Pollini ha chiuso il programma con la Sonata n. 3 in si minore op. 58, scritta nel 1844, un gioiello di magica fusione tra atmosfere liriche, drammatiche e meditative, prima dell’energico finale Presto, non tanto così lontano dallo Chopin più malinconico e meditabondo.

L’impegnativo programma portato a compimento non ha impedito alle ovazioni entusiastiche del pubblico di strappare un bis prima del congedo: lo Scherzo n. 3 in do diesis min. op. 39 opera venata di una intensa inquietudine interiore e di grandi contrasti emotivi, che ne fanno una pagina di densa tensione espressiva.

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