La banalità del Male in “Finchè morte non ci separi”, pièce di Francesco Olivieri portata in scena a Bari da una superlativa Anna Garofalo

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Anna Garofalo (al centro) e il gruppo vocale delle Faraualla, protagoniste di “Finchè morte non ci separi” – Ph. Letizia Lamartire – FdS: courtesy dell’Autrice

di Enzo Garofalo

Due donne, due tipologie di persone come se ne incontrano tutti i giorni. La normalità di una vita fatta di disagi, di conflittualità familiari, di traumi celati, con qualche piccola soddisfazione di quelle che aiutano a tirare avanti, se non altro per amore verso i propri figli, nel caso della prima, Federica Mellori. Una vita agiata, da donna in carriera, con un marito bello e brillante e dei figli sani e felici, la seconda, Ipazia Fiorentini. Due figure femminili profondamente diverse: la prima rispecchiante tutti i luoghi comuni della donna maltrattata e spesso uccisa, la seconda invece del tutto fuori da quegli schemi. Eppure entrambe accomunate dallo stesso amaro destino: appunto l’essere state assassinate dal loro marito o compagno.

Finche morte non ci separi loc.“Mi chiamo…e sono appena stata ammazzata”: con questa frase perentoria ripresa in più punti del testo  è iniziata – in una Sala Consiliare della Provincia di Bari per l’occasione fattasi teatro – la messa in scena di “Finchè morte non ci separi”. La pièce di Francesco Oliviero è stata interpretata ieri sera alle 21.00 in numerose città italiane e anche all’estero in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Da Torino a Genova, Milano, Verona, Vicenza, Trieste, Venezia, Bologna, Roma, Bari, Agrigento, Ragusa, Cagliari – per citare solo le più importanti – fino a Londra e Bangkok, il pubblico ha potuto confrontarsi con un progetto realizzato dall’Associazione Culturale Liberi Pensatori Paul Valery di Torino insieme allo stesso autore. Un’idea teatrale ispirata dall’incontro di Olivieri con una delle interpreti che, sensibile alla spinosa tematica del femminicidio, ha accolto l’invito a creare una rete di artisti che si sarebbero esibiti in contemporanea nella stessa giornata, ottenendo un effetto di denuncia a livello nazionale.  Una denuncia forte contro il fenomeno dilagante del femminicidio, forma di violenza senza confini di ambiente sociale, religione, cultura e nazionalità, come testimoniano le centinaia di donne che ogni anno vengono uccise o sottoposte a violenza fisica o sessuale (una su tre) nel corso della propria vita.

Il testo di Olivieri – semplice e privo di retorica, a tratti colloquiale – più che alla cura letteraria, sembra aver badato soprattutto a far arrivare un messaggio forte di denuncia all’opinione pubblica. E in tal senso può dirsi che abbia colto nel segno. Notevole, nel perseguimento di questo risultato, il passaggio da un registro ironico, quasi di divertita incredulità delle protagoniste rispetto all’evento della propria morte, a quello drammatico sul finale quando la coscienza che queste due “anime parlanti” acquistano della loro condizione diventa lacerazione e urlo. Un urlo che non lascia spazio alla catarsi, almeno non sulla scena, ma che arriva come un pugno nello stomaco, uno scuotimento della coscienza e ti lascia un carico di interrogativi. Ed è  forse proprio in tale scuotimento che troviamo appena l’inizio di una catarsi che ciascuno deve poi completare dentro di sè attraverso il recupero di un più giusto equilibrio nel proprio modo di relazionarsi agli altri.

Su iniziativa dell’Associazione Culturale Terrae, il pubblico barese ha avuto la fortuna che a portare in scena questo arduo progetto nella nostra città fossero cinque artiste di riconosciuto valore che in questa occasione – grazie anche ad una partecipazione emotiva accresciuta dalla gravità del tema trattato – hanno dato il meglio di sè. A cominciare dalla protagonista, l’attrice Anna Garofalo, superlativa nella resa delle due figure femminili così diverse delle quali ha delineato con sottigliezza i connotati psicologici, giocando abilmente con l’uso della voce ed offrendo alla platea toni, tempi ed accenti  assolutamente impeccabili. Senza trascurare i richiami sporadici, ma significativi, a personaggi di contorno talvolta evocati ‘in viva voce’, di cui l’attrice è riuscita a far emergere la fisionomia in poche battute. Se in alcune delle edizioni andate in scena altrove si è fatto ricorso a strumenti musicali che facessero da sottofondo al monologo, nel caso dell’edizione barese la musica ha avuto l’ammaliante suono vocale delle Faraualla (Gabriella Schiavone, Maristella Schiavone, Teresa Vallarella e Serena Fortebraccio), un ensemble tutto al femminile, noto ormai a livello internazionale, i cui suggestivi melismi hanno contrappuntato con precisione e densità emozionale gli interventi della voce recitante, creando un ingranaggio perfetto.

Insomma una serata assolutamente da ricordare, tranne che per uno spiacevole episodio accaduto a fine spettacolo che testimonia ancora una volta l’inesorabile involgarimento dei tempi in cui viviamo. L’usciere addetto alla Sala Consiliare ha letteralmente e gratuitamente aggredito il pubblico con modi bruschi e volgari accusandolo di non defluire al ritmo che lui avrebbe preferito. E pensare che l’uso della sala era stato concesso fino alle 22.00 mentre costui ha cominciato a dare in escandescenze ad appena le 21.38, minacciando di chiamare la forza pubblica se i presenti non avessero abbandonato il luogo all’istante. Alcune ragazze, uscendo dalla Sala hanno segnalato di essere state letteralmente “mandate a quel paese” (uso volutamente l’espressione più eufemistica) dall’individuo in questione. Tutti eravamo increduli di fronte a quanto stava accadendo, soprattutto quando con fare arrogante l’usciere ha spento le luci lasciando nel buio totale la sala ancora piena di gente e con i membri della compagnia intenti a smontare i microfoni. Un episodio tanto più incredibile in una serata di condanna contro la violenza fisica e psicologica. Nessun funzionario della Provincia – ente non organizzatore ma tuttavia patrocinante l’evento insieme a Comune e Regione – era in quel momento presente, per cui molte persone si sono ripromesse di segnalare oggi l’episodio con email e fax ai vertici dell’Amministrazione. Una circostanza che mi ha richiamato alla memoria quanto accaduto al Pantheon nel 2010 quando i custodi interruppero un concerto con 500 persone presenti perchè era scattata l’ora di chiusura del mononumento. Un brutto sintomo di come stia declinando il mondo della cultura in Italia ed un’offesa a quanti (attori, musicisti, scrittori, etc.) lottano quotidianamente per salvaguardare la crescita morale e spirituale dei cittadini e per proteggerli da quel vero “pericolo sociale” che – diceva Victor Hugo – “è l’ignoranza”.

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