Avviati i preparativi per la Fòcara di Novoli, il più grande falò del Mediterraneo. Kounellis l’artista dell’edizione 2015

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Puglia – La Fòcara di Novoli (Lecce) nell’edizione 2014, curata dall’artista giapponese Hidetoshi Nagasawa -– Ph. © Ferruccio Cornicello – All rights reserved Feart ®

di Redazione FdS

Jannis Kounellis Giacomo Zaza e Oscar Marzo Vetrugno Foto di Annamaria La Mastra Sarà Jannis Kounellis (con Giacomo Zaza e Oscar Marzo Vetrugno , nella foto di Annamaria La Mastra) l’artista che lavorerà all’installazione sulla Fòcara 2015, il monumentale falò che si accenda la sera del 16 gennaio a Novoli (Lecce) in onore di Sant’ Antonio Abate, patrono della città del Salento.

La festa, detta anche “festa del fuoco”, da alcuni anni, su idea del Presidente della Fondazione Fòcara, nonché sindaco di Novoli, Oscar Marzo Vetrugno, è caratterizzata da una particolare “interazione” con le pratiche artistiche contemporanee, e rilanciata come ‘FòcarArte’ in un ampio e articolato progetto coordinato da Toti Carpentieri.

Per la Fòcara 2015 Jannis Kounellis, sotto la direzione artistica e la cura di Giacomo Zaza, realizzerà non soltanto il progetto dell’installazione sul falò e il manifesto della festa, ma anche una serigrafia e un multiplo d’autore (opera oggettuale in tiratura limitata) pensati in riferimento esclusivo all’evento. Inoltre, sempre nell’ambito del “rito” del fuoco, presso il Palazzo Baronale di Novoli sarà presentata una sua installazione site-specific e sarà edito anche un libro che documenterà l’intero progetto.

I tratti distintivi dell’enorme pira, di circa venti metri di diametro per venticinque di altezza (nata dal lavoro constante di decine di operatori), saranno progettati da Jannis Kounellis, che penserà il suo intervento in relazione alla forma del ‘pignone conico’: un cumulo di circa 80.000 fascine di tralci di vite a più strati concentrici che anticamente venivano accatastate e bruciate come fuoco propiziatorio e probabilmente per ricavarne carbone.

Per Kounellis il fuoco della Fòcara, emblema dell’energia che la comunità rivolge in venerazione verso Sant’Antonio Abate, contiene in sé una forza drammatica e una propagazione epica encomiabile. Brucia e distrugge, domina e centralizza l’energia collettiva. Da un fuoco generato dal gas – la bombola a cannello che sprigiona una fiammella azzurra e rumorosa – Kounellis passa e si confronta qui, con la Fòcara, con un fuoco caldo e silenzioso, misterioso e lento, di ascendenza mitica.

Le fiamme di questo fuoco monumentale sprigionano una pulsione di rinascita e di trionfo degli uomini. “È la vittoria – sottolinea Kounellis – di una comunità che costruisce con il proprio sangue (tagliando al suolo e poi bruciando i tralci delle vigne dalle quali viene fatto il vino) un grandissimo falò, a cuidà fuoco per proclamare la vittoria. La vigna simbolicamente è la vita, il vino è la linfa vitale, il sangue. È un rituale quasi teatrale. Questo taglio fino al fondo della terra, e questo fuoco non riguarda la morte ma riguarda la rinascita. È una vittoria perché tutto rinasce, compresa la linfa vitale che si rigenera!”

La Fòcara di Novoli ostenta un forte valore spirituale unito ad una connaturata componente artistico-culturale. Kounellis ne sottolinea i caratteri: “Il fuoco è diventato un elemento fortemente artistico a Novoli dato che non viene più fatto per creare il carbone. Il fuoco è verticale e va dritto al cielo, quasi un elemento spirituale. Tuttavia è opera dell’uomo, fa sentire l’uomo forte e sano. E questo fuoco ha ancora più significato perché è rivolto a Sant’Antonio. Fare il fuoco nel nome di un Santo rende tutto più straordinario e potente. A nome di Sant’Antonio la gente di Novoli esprime un ‘atto di potere’ mediante un rito propiziatorio, un rito che possiede una forza e una spettacolarità unica. L’uomo ‘nel nome di’ onora e glorifica tanto un “credo” quanto la grandezza di un popolo”.

*Jannis Kounellis

Jannis Kounellis (Pireo 1936) è sempre stato al centro di un dibattito aperto al superamento della tela” e all’espansione della pratica artistica verso le forme dell’installazione e della performance. Già nella sua scrittura monocroma alfanumerica degli anni sessanta, fatta di frammenti linguistici, emerge l’impegno sul reale. Kounellis sceglie di stare “dentro” il linguaggio, a contatto con l’esistere, nella sua peculiare arena sociale tra pubblico e privato, allontanandosi dalle regole rigide dell’impersonalità di matrice minimal e conceptual..Tutta l’opera di Kounellis possiede un indelebile potere evocativo ed epico, contrassegnato dalla “presentazione” di materiali naturali, in netta rottura con gli standard neoavanguardistici. Si assiste all’esplosione della struttura vitale, al passaggio dal segno linguistico al gesto concreto. Non la forma riprodotta sul supporto, ma l’azione e l’esperienza che fanno dell’opera un percorso vissuto e corale. La sensorialità e la tattilità diventano il segno di una coscienza critica dell’esserci come mittenti e destinatari dell’arte. Nel 1967 i canarini o il pappagallo sono l’espressione di una

convivenza naturale, memoria socio-antropologica dell’uomo. L’artista presenta il vero così com’è, non elabora l’oggetto, ma lo rende fenomeno. È la vita che si fa opera d’arte con tutte le sue possibili implicazioni, poetiche, visionarie, spirituali, ideologiche. La materia ferrosa, i comportamenti, gli odori, il peso, il nero profondo, non prevedibili ma meraviglianti, sono l’essenza del lavoro di Kounellis.

L’arte è poietica, è rappresentazione del fare e del vivere. L’azione del 1969 di portare dodici cavalli all’interno della galleria “l’Attico” di Roma sorprende. Lo spettatore assiste alla permeazione di uno spazio pubblico e sociale attraverso la presenza di animali vivi, quotidiani. La galleria si fa teatro di una scena visionaria ricavata dalla vita.

Di questi anni è anche l’uso del fuoco, simbolo della processualità, della trasformazione, della rigenerazione. Il fumo, la fuliggine, poi, rappresenterà una sorta di versante ubitativo e pessimistico. Scritte, segnali, oggetti di uso comune – come sacchi, corde, letti o indumenti, lanterne a petrolio, elementi naturali come caffè, carbone o cotone – sono fisicamente presentati nello spazio espositivo: sono i segni di una condizione, di una visione mobile fra culture differenti, immersa in spazi carichi di ricordi di altri tempi e luoghi. Una treccia di capelli, un uovo o un pappagallo adagiato su un trespolo, invece di alludere al soggetto rappresentato, portano in primo piano la loro stessa presenza reale. L’energia delle fiammelle a gas e degli animali, del carbone e delle lamiere in ferro, sembra toccare una condizione antica e leggendaria, il pathos dell’esistenza.

La “voracità poetica” di Kounellis traspare in una carica simpatetica che unisce “peso” fisico e organico, mito e vita, musicalità e ritmo, tragedia e processualità. Risulta radicale, mira alla coscienza sensoriale, trasporta inquietudine.

Col trascorrere degli anni il vocabolario dell’artista si arricchisce di altri concetti, come quello della chiusura o dell’occupazione di vani solitamente apribili – porte e finestre – mediante diversi materiali, dal legno alle pietre. Per Kounellis l’occlusione significa il tentativo di ritornare verso una vibrazione reale di impasse, di sbarramento eidetico. Ma anche l’agognata misura dell’uomo, per il quale porte e finestre sono fatte.

Successivamente si avvertono altri temi come il frammento, con tutto ciò che esso comporta per i suoi rimandi alla cultura classica, e anche quello del viaggio, quasi sempre simboleggiato da pezzi di barche. Inoltre, dagli anni settanta e ottanta l’artista mette in scena il vivente e compone installazioni monumentali visionarie (ad esempio i quarti di bue fissati mediante ganci a lastre metalliche e illuminati da lanterne a Barcellona nel 1989) che dialogano con i luoghi espositivi, spazio teatrale e intimistico che le ospitano.

Kounellis traccia dei confini dove recuperare la memoria del retaggio iconografico europeo (Caravaggio, Rembrandt, Picasso), il dramma e la cultura arcaica.

 

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