Sud d’Autore: Mia Madre, un’immagine-capolavoro di Francesco Cariati

Mia madre - Ph. © Fracesco Cariati, all rights reserved

Mia madre – Ph. © Fracesco Cariati, all rights reserved

A tre anni dalla sua prematura scomparsa vogliamo ricordare con affetto Francesco Cariati, fotografo calabrese di straordinario talento del quale abbiamo avuto il piacere di pubblicare diverse immagini in alcuni nostri servizi. Per farlo abbiamo scelto uno scatto profondamente intimo e personale che dice molto del suo ”sguardo” sulla realtà, sempre orientato a cogliere e a restituire con sincero afflato poetico, l’essenza del soggetto rappresentato, sia esso un volto umano, un rito popolare collettivo, un’opera d’arte, un paesaggio. Una cifra stilistica ricorrente nei suoi scatti è data dalla scelta di rappresentare la realtà come ‘rivelazione’ nascente dall’incontro/scontro tra l’ombra e la luce evocato attraverso un sapiente uso del chiaroscuro. Nello scatto che abbiamo selezionato Francesco ritrae la sua anziana madre intenta, con gesto quasi rituale, nel lento processo manuale di molitura dei peperoni secchi nel mortaio di legno. Un’immagine di arcaica bellezza accentuata dal dettaglio del fuoco che arde nel camino sullo sfondo e che, unitamente all’amore filiale profusovi a piene mani, dona calore a uno scatto che ha la potenza di un’epifania. Ci piace accompagnare quest’immagine con alcuni versi estratti dalla poesia Consolazione di Gabriele D’Annunzio.

CONSOLAZIONE

Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa…
Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.

Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancora per noi qualche sentiero.
Ti dirò come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.

Ancóra qualche rosa è ne’ rosai,
ancóra qualche timida erba odora.
Nell’abbandono il caro luogo ancóra
sorriderà, se tu sorriderai.

Ti dirò come sia dolce il sorriso
di certe cose che l’oblìo afflisse.
Che proveresti tu se fiorisse
la terra sotto i piedi, all’improvviso?

Tanto accadrà, ben che non sia d’aprile.
Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento
sol di settembre (…)

Perché ti neghi con lo sguardo stanco?
La madre fa quel che il buon figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po’ di sole,
un po’ di sole su quel viso bianco.

Bisogna che tu sia forte; bisogna
che tu non pensi a le cattive cose…
Se noi andiamo verso quelle rose,
io parlo piano, l’anima tua sogna.

Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,
tutto sarà come al tempo lontano.
Io metterò ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.
In una vita semplice e profonda
io rivivrò. La lieve ostia che monda
io la riceverò da le tue dita.

Sogna, ché il tempo di sognare è giunto.
Io parlo. Di’: l’anima tua m’intende? (…)

Settembre (di’: l’anima tua m’ascolta?)
ha ne l’odore suo, nel suo pallore,
non so, quasi l’odore ed il pallore
di qualche primavera dissepolta.

Sogniamo, poi ch’è tempo di sognare.
Sorridiamo. È la nostra primavera,
questa (…).

Tutto sarà come al tempo lontano.
L’anima sarà semplice com’era;
e a te verrà, quando vorrai, leggera
come vien l’acqua al cavo de la mano.

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