Una spericolata inglese e sua madre a spasso per la Sicilia e la Calabria nel 1857

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La cittadina di Paola (erroneamente definita Paolo nell’illustrazione) sulla costa tirrenica della Calabria, illust. originale tratta dal volume inglese “Unprotected Females in Sicily, Calabria, and on the top of Mount Ætna, etc.” di Emily Lowe, 1859 – Photo by The British LibraryPublic Domain | Photogallery a centro pagina

di Redazione FdS

E’ il 1859 quando Emily Lowe, una spigliata lady vittoriana, pubblica “Unprotected females in Sicily, Calabria and on the top of Mount Aetna” (Donne indifese in Sicilia, Calabria e sulla cima del Monte Etna), resoconto di un viaggio in Sicilia e in Calabria intrapreso in compagnia della madre e testimoniato oltre che dal racconto scritto, anche da alcune bellissime tavole come quelle rese disponibili dalla British Library che qui vi mostriamo. Le due donne viaggiano senza scorta e con un leggero bagaglio per non subire la presenza di scomodi gentlemen. Emily è un vero portento: prima donna in Inghilterra a ottenere la patente di capitano navale e ad attraversare il Mediterraneo al comando di uno yacht da 350 tonnellate,  rompe gli stereotipi delle viaggiatrici viste per lo più come intrepide zitelle con parasole, pellegrini in gonnella e pioniere del picnic. Pienamente consapevole dell’unicità del viaggio intrapreso, la scrittrice fa spesso intendere al lettore di essere un’autentica traveller e non una semplice turista. Di questo suo simpatico racconto di viaggio la casa editrice calabrese Rubbettino ha pubblicato nel 2012 lo stralcio relativo alla Calabria ed eccola allora, appena sbarcata sulla spiaggia di Reggio, proveniente dalla Sicilia, mentre esclama: “Evviva la Calabria! Terra che pericoli romanzeschi proteggono dall’invasione dei viaggiatori”. Certo da questa parziale traduzione ricaviamo come anche lei ricada in certa misura nei tranelli degli stereotipi e dei pregiudizi che spesso caratterizzano i diari di viaggio, ma Emily Lowe regala al lettore un delizioso ritratto al femminile della Calabria e dei calabresi dell’epoca non mancando di volgere lo sguardo verso la società ospitante per sottolinearne anche i tratti positivi. Della Calabria visita Reggio, Cosenza, Paola, soffermandosi, strada facendo, nella miriade di borghi minori dell’entroterra e registrando impressioni sugli effetti del terremoto,  sugli aspetti botanici,  sui costumi sociali relativi ad es. alle ragazze, al brigantaggio, all’ospitalità,  alla produzione della seta, etc.

Prima di arrivare in Calabria, come si accennava, Emily approda in Sicilia inseguendo, da perfetta romantica,  il mito dell’isola “beloved of all the gods” (amata da tutti gli dei). La scrittrice e sua madre partono nel 1857, lo stesso anno in cui in Inghilterra viene adottato il Divorce Act, la legge a favore del divorzio, che contiene anche disposizioni innovative in materia di proprietà delle donne, un campo che però avrebbe richiesto ancora tante battaglie prima di farle pervenire ad una libera amministrazione dei propri beni. Il viaggio delle due ladies vittoriane inizia e Livorno; dopo una breve fermata a Napoli (tappa, insieme a Portici, anche del viaggio di ritorno), fanno scalo a Palermo, città da cui le due viaggiatrici restano affascinate tanto da percorrerla in lungo e in largo, ma sempre in totale autonomia e rilevando come “non sia agevole aggirarsi per quelle vie, assillate come siamo dai vetturini che ci implorano di montare sui loro calessi per compiere un giro turistico”. Fra i diversi luoghi della città in cui si recano, particolarmente colorito è il resoconto della visita alla macabra Cripta dei Cappuccini, dove assistono al rinnovo annuale della vestizione dei cadaveri rinsecchiti ivi custoditi invitando i lettori, non senza ironia, a non essere “troppo severi con i Siciliani”, visto che in fondo “tutti i popoli hanno i loro costumi barbarici”.
 

Una spericolata inglese e sua madre a spasso per la Sicilia e la Calabria nel 1857

Monte Etna visto dallo Stretto di Messina - Photo by The British Library - Public Domain

Una spericolata inglese e sua madre a spasso per la Sicilia e la Calabria nel 1857

Tomba di Archimede a Siracusa - Photo by The British Library - Public Domain

Una spericolata inglese e sua madre a spasso per la Sicilia e la Calabria nel 1857

Tempio di Giunone ad Agrigento - Photo by The British Library - Public Domain

Una spericolata inglese e sua madre a spasso per la Sicilia e la Calabria nel 1857

Ritratto di Emily Lowe - Photo by The British Library - Public Domain

 
Emily, con vivacità e spregiudicatezza, racconta quindi della partenza, sua e di sua madre, per le zone interne della Sicilia, riportando lo stupore e l’incredulità con cui la gente apprendeva della loro impresa, convinta che mai e poi mai le due donne vi avrebbero dato seguito, salvo poi ricredersi vedendole montare in carrozza con estrema nonchalance: “solo il volto di un abitante del luogo potrebbe esprimere lo sgomento verso donne che girano senza essere accompagnate!!!”. “Impossibile” fu la risposta che le attendeva alla loro richiesta di voler fare l’ascensione al Monte Etna, sicché – scrive Emily – “quella incoraggiante espressione ci accompagnò fino ai piedi della montagna”. Strade dissestate e le “miserevoli locande” se non “topaie” dove capita loro di soggiornare, non scoraggiano le due donne che decisero di raggiungere Agrigento non attraverso il percorso più consueto che passava per Castellammare, Alcamo, Marsala, Castelvetrano e Selinunte,  bensì attraverso il cuore della Sicilia, valicando la catena delle Madonie fino a Caltanissetta e raggiungendo più a sud Canicattì. Attraversano così, su una carrozza postale, e senza  rimpianti, “il più bello, selvaggio e romantico paese che si possa immaginare”. Ad Agrigento sono rapite dalla bellezza della Valle dei Templi e passando fugacemente da Enna raggiungono infine Catania. Qui è affascinante il modo in cui l’autrice rende l’atmosfera della siesta pomeridiana quando tutto tace in un silenzio irreale: ”

“Dall’una alle quattro – racconta Emily – è l’ora della siesta (…). Gli abitanti riposano, i tendoni vengono tirati giù per coprire i tanti bazar e le porte serrate dei negozi. Tutt’intorno un silenzio pompeiano rotto solamente dal rombo di un veicolo simile al fragore di un terremoto. Un facchino assonnato porta le nostre sacche all’Aetna Hotel dove, dopo aver percorso tre rampe di scale fatiscenti, ogni dubbio circa l’esistenza delle Furie viene del tutto fugato dalla comparsa delle tre padrone di casa che, svegliatesi dal loro sonno, ci accolgono con le loro svolazzanti, arruffate e spaventose capigliature. Ci hanno accompagnato in un alloggio, il peggiore che ci fosse mai capitato fino a quel momento, per il quale hanno chiesto il doppio del prezzo iniziale e rapidamente hanno allestito un letto con le loro orribili unghie lunghe, abbandonandoci ai nostri tormenti”. Il tempo inclemente ostacola la loro risalita dell’Etna, per cui le due donne si accontentano di girovagare per la città, di cui visitano la Cattedrale, il museo Biscari e il Convento dei Benedettini: “agli uomini è consentito ammirare l’interno del monastero che si dice sia un luogo molto confortevole, mentre le donne non possono, ahimè, entrare e devono accontentarsi di dare uno sguardo fugace in giardino dove i monaci mostrano orgogliosi un tratto scuro di lava sopra una roccia, che durante la violenta eruzione del vulcano fu sul punto di travolgere l’aranceto e la vigna del giardino. Ma, quando la lava giunse con tutto il suo considerevole e straordinario materiale incandescente, si astenne dall’infastidire questi signori, si divise e formò una sorta di muro circolare intorno all’aranceto e alla vigna”.

Come per tutti i viaggiatori stranieri, il momento clou coincise con la salita sull’Etna, lungo quei tremila metri di paesaggio continuamente mutevole fino a raggiungere l’aspetto di luogo non rapportabile ad altro termine di paragone se non a qualcosa di alieno ed estraniante, fonte di emozionante inquietudine. La neve non facilita l’ascesa e ad un certo punto le due donne sono costrette ad abbandonare i muli e a proseguire a piedi. Anzi, è la sola Emily a proseguire perchè sua madre, stanca, devide di fermarsi ad aspettarla alla casa degli Inglesi. Scrive Emily, travolta dalla suggestione del luogo:  “Mi resi conto che era giunto il momento in cui due delle meraviglie della terra, un vulcano innevato e la curiosità di una donna, si sfidano, l’uno contro l’altra”. (…) “L’Etna è una piramide che domina tutta la natura e tutto l’orizzonte circostante, i miseri esseri sulla sua cima sono come sospesi in aria e si limitano a tenersi in equilibrio con la loro povera coppia di piedi sulla cenere mobile, mentre tutta la Sicilia aspetta di ricevere le loro ossa quando, storditi per la caduta, rotolano a valle (…). Il terreno anche se instabile è piacevolmente caldo sotto i nostri piedi, se non ci soffermiamo troppo a lungo. Qua e là il fumo che promana dalle fessure della gialla terra sulfurea, chiamata «Papone del Cratere» dà una terribile sensazione di precarietà (…). Ascolta, un suono! Dev’essere l’incudine di Vulcano”.

Siracusa è la loro nuova tappa, dove visitano i luoghi della classicità e la cattedrale per poi fare ritorno a Catania e proseguire fino a Messina. È la vigilia di Natale. L’aspetto lindo della città colpisce Emily che si lascia andare ad alcune osservazioni di costume dedicate alla passeggiata degli abitanti, rito sociale a cui partecipano tutti i ceti, sebbene a Messina la nobiltà sia povera “fatta eccezione per una o due famiglie”.  Le due viaggiatrici anticonformiste attraversano quindi lo Stretto fino a Reggio lasciando definitivamente l’isola che le ha accolte al loro arrivo nel profondo Sud.  Prima di inneggiare alla perigliosa Calabria, che eccita il suo spirito di avventura,  Emily saluta l’isola con un “addio Sicilia! Isola che possiedi tutto, non godi di nulla (…). Sei un gioiello d’oro sul grugno di un maiale”, sarcastica riflessione che, pur alludendo al governo arretrato e illiberale dei Borboni, ha il suono sinistro di una profezia che sembra coinvolgere anche l’oggi. Insomma quello di Emily Lowe è il racconto ancora fresco e vibrante di una donna che seppe vivere il viaggio al Sud senza erudite pedanterie o preoccupazioni di filologica precisione nel riportare fatti e situazioni, ma piuttosto con l’emozione di chi concepisce il viaggio come un esperienza nella quale ciò che conta è l’incontro con la gente, con i suoi costumi, con quelle peculiarità che la rendono unica e diversa in ogni luogo che si abbia occasione di attraversare.

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Un commento

  1. Eugenia D'Africa

    Tra i siciliani c’è gente come il Gattopardo: Il giudizio sull’isola è inquietante ma non è condivisibile in toto.

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