Un ulivo ‘dantesco’ sul Gargano, negli scatti del pugliese Antonio Caputo

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Inferno_Canto_13_verse_11

La selva dei suicidi, incisione di Gustave Doré, XIX sec.

“…Cred’ïo ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
da gente che per noi si nascondesse.
 
Però disse ‘l maestro: “Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
li pensier c’hai si faran tutti monchi”.
 
Allor porsi la mano un poco avante,
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ‘l tronco suo gridò: “Perché mi schiante?”.
 
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: “Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
 
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb’esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi”…”

Dante Alighieri, Inferno, Canto XIII, v.v.  25-39

Dante è appena entrato con Virgilio nel II girone del VII Cerchio, nella selva dei suicidi. Sente levarsi dei lamenti da ogni parte e non vede chi li emette, perciò si ferma e rimane confuso. Egli crede che degli spiriti si nascondano tra le piante, ma Virgilio (che ha intuito l’errore del discepolo) lo invita a spezzare un ramoscello da uno degli alberi. Dante obbedisce e appena ha spezzato il ramo di un albero, dal tronco esce la voce di uno spirito che lo accusa di essere impietoso, mentre dal fusto fuoriesce del sangue nero. Dal tronco spezzato escono le parole, simili ad un soffio, e insieme il sangue, cosa che induce Dante a lasciar cadere a terra il ramo e a restare in attesa, pieno di timore. Virgilio prende la parola e dice all’anima imprigionata nell’albero di essere stato costretto a indurre Dante a compiere quel gesto, perché solo così egli avrebbe compreso ciò che lui stesso aveva cantato nei versi dell’Eneide (quelli che trattano l’episodio di Polidoro, ultimogenito di Priamo). Quindi invita il dannato a manifestarsi e a raccontare la sua storia, affinché Dante, tornato sulla Terra, possa risarcirlo del danno subìto restaurando la sua fama. A questo punto il dannato dichiara che l’offerta è troppo allettante per rifiutarla, quindi inizia a raccontare la sua storia. Egli si presenta come Pier della Vigna, giurista campano di Capua, accolto nel 1221 come notaio alla corte di Federico II di Svevia del quale fu intimo collaboratore, tanto fedele da diventarne il solo depositario di tutti i segreti. Aveva svolto il suo incarico con lealtà e dedizione, al punto da perderne la serenità e la vita: infatti il suo zelo aveva acceso contro di lui l’invidia dei cortigiani, i quali sobillarono il sovrano e lo indussero ad accusarlo di tradimento. In seguito Pier della Vigna si era tolto la vita, credendo in tal modo di sfuggire allo sdegno del sovrano e finendo per passare dalla ragione al torto. L’anima conclude il racconto giurando sulle radici della pianta in cui è rinchiuso di essere innocente dell’accusa rivoltagli a suo tempo, pregando Dante di confortare la sua memoria se mai ritornerà nel mondo.

ulivo, Puglia, Sud Italia

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