Un delitto avvenuto nella provincia calabrese ispirò “Pagliacci”, capolavoro di Ruggero Leoncavallo

pagliacci-leoncavallo

Copertina della 1a edizione di Pagliacci edita da Sonzogno, Milano, 1892. A destra, un ritratto del compositore Ruggero Leoncavallo

“Un nido di memorie in fondo a l’anima
cantava un giorno, ed ei con vere lacrime
scrisse, e i singhiozzi il tempo gli battevano!”
(Pagliacci, Prologo)

di Redazione FdS

Sta per debuttare al Teatro Petruzzelli di Bari, per la regia di Marco Bellocchio e la direzione musicale di Paolo Carignani, l’opera lirica “Pagliacci”, capolavoro musicale del compositore Ruggero Leoncavallo, e non potevamo esimerci dal risalire alla sua fonte ispirativa che ci riporta proprio al Sud, e precisamente in Calabria. Sì, perchè l’opera che tanta fortuna ha portato ad interpreti del calibro di Enrico Caruso, Giuseppe Di Stefano, Mario Del Monaco, Franco Corelli, Placido Domingo, José Carreras e Luciano Pavarotti, nasce da un fatto di cronaca avvenuto a Montalto Uffugo, una cittadina in provincia di Cosenza. La vicenda si intreccia con un segmento della stessa biografia dell’Autore, allora bambino, e fu di tale impatto da stimolare, diversi anni dopo, il suo immaginario di artista.

Nativo di Napoli, Leoncavallo si era trasferito con la famiglia a Montalto Uffugo, dove suo padre fu chiamato a ricoprire l’ufficio di Pretore. Le fonti riportano che a quel tempo avvenne nel borgo calabrese un fatto di sangue di matrice passionale a cui è riconducibile il primo germe di una creazione musicale destinata ad essere eseguita e apprezzata ovunque. A distanza di più di un secolo dal suo debutto al Teatro Dal Verme di Milano, il 21 maggio 1892, Pagliacci continua infatti a mietere successi nei principali teatri del mondo e alcune delle sue arie più famose sono state riprese da artisti della musica che solitamente trattano altri generi ed hanno influenzato anche il cinema. Premesso che l’omicidio passionale quale nucleo centrale di una storia non è argomento nuovo per il teatro lirico, la peculiarità di Pagliacci è nella verità, almeno iniziale, dei fatti ripresi nella trasposizione scenica.

La vicenda avvenne il 5 marzo 1965 come risulta dalle carte giudiziarie che parlano di “atti a carico del detenuto Luigi D’Alessandro fu Domenico di anni 25 (…) e del detenuto Giovanni D’Alessandro fu Domenico di anni 31”, entrambi “calzolai in Montalto. Imputati di assassinio premeditato con agguato commesso con armi insidiose la sera del 5 marzo 1865 in Montalto, in persona di Gaetano Scavello.” Partendo da qui, e facendo riferimento all’interessante saggio “I Pagliacci di Leoncavallo” di Luisa Longobucco (ed. Rubbettino), seguiamo l’interazione fra cronaca e creazione artistica, al fine di cogliere le suggestioni, ma anche le differenze che fanno di quest’opera una libera trasposizione dei fatti.

Il fatto. Nell’opera troviamo un omicidio, quello compiuto dall’attore girovago Canio ai danni della moglie Nedda e del suo amante Silvio, un contadino del luogo che interverrà cercando di difendere la donna. L’omicidio avviene sulla scena di uno spettacolo che il caso volle trattasse proprio di una vicenda di tradimento. Finzione e realtà si confondono in modo drammatico: gli altri attori della compagnia attoniti per l’orrore non intervengono a fermare la furia omicida di Canio e anche il pubblico comprende troppo tardi che ciò che sta vedendo non è più finzione e cerca invano di fermare Canio, il quale, a delitto compiuto, esclama beffardo: “la commedia è finita!” La versione reale della vicenda, diversa nei fatti eppur analoga nel far perno intorno al sentimento di una incontrollabile gelosia, riguardò abbastanza da vicino la famiglia Leoncavallo: la vittima, Gaetano Scavello, era stato infatti assunto da Vincenzo Leoncavallo (padre del musicista) come domestico, affinchè stesse alle calcagna di Ruggero che all’epoca aveva appena otto anni.

Scavello si era innamorato di una ragazza del paese, di cui era a sua volta innamorato anche il calzolaio Luigi D’Alessandro. Un giorno di marzo il domestico di casa Leoncavallo, passeggiando per un sentiero della campagna di Montalto, vicino alla fontana detta “del somaro” incontrò la ragazza insieme al garzone della famiglia D’Alessandro, Pasquale Esposito, e tentò di portarla via con lui; la ragazza rifiutò di seguirlo e proseguì col garzone finchè Gaetano non vide entrarli in un casolare. Scavello attese che uscissero e fermò Esposito chiedendogli spiegazioni, ma il suo rifiuto di parlare fece infuriare il ragazzo al punto da spingerlo a frustare l’altro alle gambe con un ramo di gelso. L’accaduto venne riferito allo stesso Luigi D’Alessandro e a suo fratello Giovanni, i due che la sera successiva minacciarono più volte Scavello prima di accoltellarlo a morte in un violento scontro all’uscita da uno spettacolo teatrale. L’istruttoria fu avviata proprio da Vincenzo Leoncavallo, ma il resto del processo venne seguito dall’avvocato Francesco Marigliano, terminando con la condanna a venti anni di reclusione per Luigi D’Alessandro e ai lavori forzati a vita per suo fratello Giovanni.

La data. Leoncavallo sposta l’azione al 15 agosto, in piena estate. Secondo la Longobucco questa scelta potrebbe essere ricondotta alla Festa della Madonna della Serra che si festeggia proprio nel giorno dell’Assunzione. E’ una festa di antichissima tradizione come testimonia l’esistenza di un santuario costruito sul rudere di un mausoleo e consacrato nel 1227. La chiesa, che conserva opere d’arte di pregevole fattura, è sede di una festa importantissima per Montalto e Leoncavallo potrebbe aver voluto ambientare la storia di Pagliacci in questo scenario per conferirle “un colore locale più autentico”.

Il luogo. Nella prima scena del Primo Atto (l’opera ne ha due) non ci sono riferimenti particolari a Montalto. L’ambientazione è quella di un qualunque paesino di campagna. Tuttavia non mancano i richiami di matrice calabrese come ad es. nell’arrivo degli zampognari, un tempo presenza costante delle feste paesane in Calabria. Una didascalia, di mano dello stesso Leoncavallo, ne descrive il vestito, in un modo che evoca chiaramente i caratteri dei costumi tradizionali calabresi: “Gli zampognari arrivano dalla sinistra in abito da festa con nastri dai colori vivaci e fiori ai cappelli acuminati”. Il coro di campane della prima scena può essere riferito al Santuario della Madonna della Serra oppure alla chiesa di San Domenico nei cui pressi avvenne la vicenda reale e il cui annesso convento, a quel tempo, aveva uno spazio adibito a teatro dove si svolgevano spettacoli.

I Personaggi. Le figure reali che vi abbiamo sopra descritto subiscono nell’opera lirica una trasfigurazione poetica fino a trasformarsi in figure diverse, per evidenti esigenze di espressione artistica. Attraverso un ingranaggio di “teatro nel teatro” Leoncavallo affida il culmine dell’opera ai personaggi della Commedia dell’Arte. C’è Colombina (l’attrice Nedda) figura di servetta apparentemente ingenua ma in realtà astuta e arguta; e c’è Arlecchino (l’attore Beppe) zotico buffone e arrogante, ma non privo di una certa grazia; il ruolo dell’omicida però viene dato ad un personaggio estraneo alla Commedia dell’Arte: è Pagliaccio (l’attore Canio, marito di Nedda), personaggio del teatro comico legato al mondo del circo. Si tratta di un clown “Bianco” che si differenzia dall’altra categoria di pagliaccio definito Augusteo: quest’ultimo è una figura buffa e impertinente, mentre il primo, col suo costume di seta bianca, cappello a cono e volto imbiancato di biacca, ha un carattere “gelido e compassato” e spesso porta uno strumento musicale.

La Longobucco ritiene che la scelta del compositore di affidare il ruolo dell’omicida ad un personaggio del genere sia stata dettata dalla volontà di dar vita ad un forte contrasto fra il bianco del costume e il “nero” del suo ruolo di giustiziere, fra i suoi buffi dialoghi di pagliaccio e le crudeli parole di assassino, fra lo spirito giocoso del clown  e l’anima iniqua dell’omicida. Ma perchè ambientare il tutto in un teatro? Lo abbiamo già detto: perchè nella realtà il fatto di sangue accadde all’uscita di un teatro, al termine dello spettacolo. Infatti è agli atti come i fratelli D’Alessandro, insieme al loro garzone Pasquale Esposito, attendessero all’uscita del teatro il povero Gaetano Scavello per aggredirlo. Come riferì al giudice un testimone, tale Pasquale Lucchetta, che usciva dalla scala interna del teatro con una lanterna in mano, una scena raccapricciante gli si impose alla vista: Luigi D’Alessandro che scagliava un colpo di coltello inglese da calzolaio sulla testa di Gaetano Scavello, mentre il fratello Giovanni lo colpiva all’addome.

I documenti. L’origine dell’opera Pagliacci è testimoniata in una autobiografia di Leoncavallo rimasta incompleta e affidata ad un dattiloscritto oggi conservato nel Fondo Leoncavallo della Biblioteca Cantonale di Locarno, in Svizzera. Un passaggio cruciale è quello in cui si legge “Ripensai alla tragedia che aveva solcato di sangue i ricordi della mia infanzia lontana e al povero servitore [Gaetano Scavello – NdR] assassinato sotto i miei occhi e in nemmeno venti giorni di lavoro febbrile avevo buttato giù il libretto dei ‘Pagliacci’ “La pubblicazione dell’opera non fu affatto facile: una volta ultimato il libretto, il compositore si recò dall’editore Ricordi, ma quest’ultimo rimase sconcertato in particolare dal prologo, oggi considerato un manifesto dell’opera verista. Ricordi obiettò che si creava troppa confusione tra comicità e tragicità, privando – a suo dire – il lavoro di ogni effetto. Leoncavallo però non si perse d’animo e si rivolse all’editore Sonzogno, che lungimirante accettò il lavoro. Fu un successo strepitoso che insidiò, quanto ad incassi, i successi di Giuseppe Verdi e di Giacomo Puccini. Un cast stellare e Arturo Toscanini a dirigere l’orchestra “battezzarono” un’opera destinata a diventare immortale. Celebre è rimasta anche la registrazione discografica con Enrico Caruso in veste da protagonista: il disco è infatti ricordato come una pietra miliare dell’allora nascente industria discografica, essendo stato il primo ad aver superato il milione di copie vendute.

logo150A Ruggero Leoncavallo, la città di Montalto Uffugo ha dedicato nell’ex convento domenicano l’omonimo Museo, un Festival Leoncavallo e un Concorso Lirico Internazionale, mentre nel 2007, in occasione del 150° anniversario della nascita del compositore, ha bandito un concorso internazionale per la realizzazione del logo uffuciale dell’evento (v. immagine precedente).

rocco_ferrari2

Bozzetto per la scenografia di Pagliacci con evidente ambientazione a Montalto uffugo, del pittore Rocco Ferrari, acquerello, XIX sec. – Museo Leoncavallo, Montalto Uffugo

 

Rispondi

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati *

*

Torna su