Teatro Andromeda: il capolavoro visionario del pastore-scultore Lorenzo Reina

Scorcio del Teatro Andromeda, S. Stefano Quisquina (Agrigento) - Image by Teatro Andromeda

Scorcio del Teatro Andromeda, S. Stefano Quisquina (Agrigento) – Ph. Christian Reina

di Alessandro Novoli

La nudità dei blocchi di roccia che lo delimitano ha l’austerità delle mura di Micene e la semplicità di una mànnara, il recinto siciliano in pietra per il gregge, ma lo spazio scenico circolare, nella sua scarna, disadorna essenzialità, ha l’astrattezza di un luogo atemporale, dove la materia perde le sue scorie per diventare simbolo. Una patera umbilicata, uno spazio cosmogonico, un sottile e permeabile confine fra passato, presente e futuro: questo è il Teatro Andromeda, visionaria creazione del pastore-scultore siciliano Lorenzo Reina. Moderno interprete di quello straordinario legame fra rito e rappresentazione, fra etica ed estetica che fu il teatro delle origini, di cui la Sicilia conserva alcune delle più significative ‘incarnazioni’ architettoniche, Reina ne raccoglie la meravigliosa eco rilanciandola verso il futuro, i piedi ben ancorati a quelle radici che hanno nel legame fra natura e cultura la loro fibra più robusta. Postazione aperta sul paesaggio, questo teatro si fa paesaggio esso stesso attraverso la naturale mediazione dell’arte che per Reina è “poesia di vita”.
 

Teatro Andromeda al tramonto dopo la pioggia - Ph. Cheristian Reina

Teatro Andromeda al tramonto dopo la pioggia – Ph. Christian Reina

Siamo in Contrada Rocca, sui monti di Santo Stefano Quisquina, piccolo borgo d’origine medievale in provincia di Agrigento. A mille metri di altezza c’è una vista che dà le vertigini, quelle che solo uno sguardo al di là delle nuvole può dare. All’orizzonte il mare del Canale di Sicilia e, al centro, l’isola di Pantelleria, punto fermo di quelle che per qualcuno furono le vere Colonne d’Ercole di omerica memoria. Lorenzo il suo “estremo confine” è riuscito a superarlo trasformando il limite del suo mondo pastorale in un varco verso l’arte, un’arte che dialoga con la Natura, oltre ogni dicotomia, e interloquisce con il mondo, che quassù viene a rendere omaggio all’opera di un uomo che ha preso in pugno il suo destino capovolgendolo prima e dettandone le regole poi.
 
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Lorenzo Reina

Lorenzo Reina – Ph. © Christian Reina

Sì, perché il destino di Lorenzo era quello di fare il pastore, sebbene in petto gli ardesse la passione per la cultura. Unico figlio maschio, smessi gli studi in terza media per aiutare nei campi il padre infortunato, storia, filosofia, arte, astronomia, scienze naturali, sono state fonti a cui si è abbeverato da autodidatta, leggendo al pascolo i libri presi in prestito dalle sorelle. E fu errando fra i monti col suo gregge di pecore che avvenne l’incontro, nei terreni di famiglia, con questa terrazza sull’infinito dove ha immaginato e costruito con le sue mani un teatro dedicato alla Costellazione di Andromeda. Il teatro in pietra più alto del mondo. Centotto doppi cubi di pietra, che visti dall’alto hanno forma di stelle a otto punte, giacciono sparsi davanti al proscenio: sono l’esatta proiezione terrestre di quella costellazione, che prende vita appena ogni spettatore occupa il suo posto, illuminandosi d’immenso in questo luogo di comunione assoluta con la Natura e col Sacro che la fa vibrare. A ispirarlo la teoria scientifica, e l’immagine poetica, di una futura collisione fra la galassia di Andromeda e la Via Lattea “che si vanno incontro a 500mila km al secondo e finiranno col fondersi. Un evento lontano nel tempo ma che io immagino come la finalità ultima di tutto”.
 

Lorenzo Reina, 30 anni fa, nel luogo dove sarebbe sorto il Teatro Andromeda

Lorenzo Reina, 30 anni fa, nel luogo in cui sarebbe sorto il Teatro Andromeda – Image by Teatro Andromeda

Lorenzo Reina e il suo Teatro Andromeda, 2018 - Image by Teatro Andromeda

Lorenzo Reina e il suo teatro nel 2018 – Ph.  © Christian Reina

Pietra dopo pietra, Lorenzo ha così dato forma al suo teatro, ma il suo è un atto demiurgico che non conosce sosta, perchè questo luogo e la sua vita sono diventati un tutt’uno: “come non si smette mai di poter migliorare se stessi, così ci sarà tempo e spazio per migliorare questo teatro, di cui mi sento parte” – dice – la mente rivolta alla prossima meta, il quasi ultimato ‘Teatro di Terra’un teatro al chiuso per le rappresentazioni invernali, pieno di richiami al nostro pianeta. 
 
Il Teatro Andromeda durante uno spettacolo - Ph. © Christian Reina

Il Teatro Andromeda durante uno spettacolo – Ph. © Christian Reina

Intanto Lorenzo si gode il riconoscimento che difficilmente un ”architetto spontaneo” avrebbe potuto aspettarsi di ricevere: l’invito a partecipare  primo progettista non laureato in architettura nella storia della rassegna – alla XVIa edizione della Biennale Internazionale di Architettura di Venezia, dove dal 26 maggio scorso il suo teatro, considerato un unicum, è in esposizione fino al 25 novembre tra i sessanta progetti di “Arcipelago Italia” presso il Padiglione Italia curato dall’archistar Mario Cucinella. Già in un’altra occasione stava per approdare in Laguna, alla Biennale d’Arte, chiamato da Vittorio Sgarbi, ma dovette rinunciare perché le sue asine dovevano partorire e inoltre c’era il teatro da finire. Il vaporetto però ha deciso di ripassare.
 
Il Teatro Andromeda al tramonto - Image by Teatro Andromeda

Il Teatro Andromeda al tramonto – Ph. © Christian Reina

Prima del Reina ”architetto” nasce però  il Lorenzo scultore: “Ho iniziato molto presto a scolpire – racconta. Quando si sta dietro a un gregge di pecore, a contatto con la natura, è facile ritrovarsi a manipolare la creta o a intagliare una radice d’ulivo per ricavarne qualche figura antropomorfa. Non avevo però riferimenti culturali o tecnici che mi potessero orientare. Dopo anni è arrivata la presa di coscienza che la scultura ha i suoi codici e le sue cifre stilistiche, e ciò è avvenuto duranti i corsi che seguii col M° Gabriele Zambardino durante la mia leva a Napoli nel ’79. Avevo 19 anni e pensai che la scultura potesse diventare il mio mestiere, ma la mia prima mostra nacque fra le liti con mio padre, che continuava a volermi pastore, e la necessità di portare il gregge al pascolo. Furono giorni di duro lavoro, ma la mostra si fece – qui in paese – grazie alla volontà del poeta Cesare Sermenghi che si era innamorato delle mie opere. Riuscii a vendere tutto e così ad affermare la mia indipendenza nei confronti di mio padre che considerava la mia arte solo un’illusione. Col tempo sono riuscito a trovare una cifra espressiva che mi rappresentasse appieno, ma non amo parlare dei miei lavori perché penso che l’opera d’arte non possa essere spiegata; sono convinto infatti che la parola non possa minimamente restituire l’emozione che l’artista può comunicare con il suo linguaggio che è innanzitutto conoscenza e poiesis”.
 
Lorenzo Reina, Maschera della Parola e Genius loci - image by Teatro Andromeda

Lorenzo Reina, Maschera della Parola e Genius loci – Image by Teatro Andromeda

 
Ed emozionano con la loro potenza archetipica le monumentali sculture che, fra classicismo post-moderno e arte concettuale, dominano l’area del teatro, come l’enorme ed enigmatico mascherone tragico (Maschera della Parola) la cui bocca, ogni 21 giugno alle 19.45, fa da foro gnomonico al sole del Solstizio d’estate, o l’altrettanto ciclopica testa che gli giace accanto (Genius loci), e numerosi altri lavori raccolti nel Museo ottagonale, edificio dall’aura ‘metafisica’ ispirato alla geometria del federiciano Castel del Monte, tra riferimenti astronomici e valenze misteriosofiche. Per non parlare delle opere di artisti amici che qui trovano suggestiva collocazione, come lo splendido Icaro morente di Giuseppe Agnello, scultore di Racalmuto.
 
La Maschera della Parola al solstizio d'estate - Ph. © Christian Reina

La Maschera della Parola al solstizio d’estate – Ph. © Christian Reina

La scultura coincide dunque per Lorenzo con la realizzazione piena del proprio daimon. Da tempo è uno scultore molto richiesto e ben quotato, ma il legame con la terra e gli animali non è cessato: una promessa fatta al padre sul letto di morte, quella di non disperdere i frutti del lavoro di una vita, lo legano per sempre, e con solida convinzione, al mondo delle sue origini, ma l’arte non è più un corpo estraneo, bensì l’elemento vitale di questo straordinario microcosmo aperto a tutti coloro che vorranno raggiungerlo.
 
Lorenzo Reina, Il Museo ottagonale - Frame dal documentario 'Pietra pesante' di Davide Gambino

Lorenzo Reina, il Museo ottagonale – Frame dal doc. ‘Pietra pesante’ di Davide Gambino

Questo microcosmo è la Fattoria dell’Arte ‘Rocca Reina’, luogo che è laboratorio d’arte, museo, teatro, ma anche ovile, orto biologico, allevamento di asine da latte e da onoterapia, masseria didattica. Quest’ultima propone alle scolaresche 4 percorsi – Vieni in Somaria, Vivi la Natura, Il Ciclo del Pane, Vivi l’Arte e Vivi il Teatro – le cui ultime due sono direttamente collegate con l’impegno artistico di Lorenzo che qui vive e lavora con la moglie Angela e i figli Christian e Libero. Rocca Reina si raggiunge arrivando nei pressi di S. Stefano Quisquina e imboccando il bivio per Castronovo di Sicilia. Accoglie il visitatore, su un basamento in pietra, il busto bronzeo del padre di Lorenzo, figura-chiave della sua esistenza. Il rilievo con una pecora e il profilo del museo ottagonale, sovrastati dall’acronimo ЯR, evoca invece la mirabile sintesi fra arte e lavoro agropastorale realizzata da Lorenzo fra i monti Sicani.
 
La Porta del Giorno e della Notte, Teatro Andromeda - Ph. © Christian Reina

La Porta del Giorno e della Notte, Teatro Andromeda – Ph. © Christian Reina

Al Teatro di Andromeda*, elemento fortemente scenografico del complesso, si accede attraverso una porta in metallo che ruota intorno al proprio asse ed è ispirata al moto di rotazione della terra e all’alternarsi del giorno e della notte; infatti quando è chiusa su un lato batte il sole, mentre sull’altro c’è l’ombra. Varcare quella soglia è entrare in un’altra dimensione, quella in cui il mondo interiore di Lorenzo, che nel teatro ha preso forma, incontra l’immaginario degli spettatori, continuamente plasmato dal seme fecondo dell’arte scenica e dalla visione di un paesaggio naturale mai uguale a se stesso.
 
Giuseppe Agnello, Icaro morente, sulla scena del Teatro Andromeda - Image by Teatro Andromeda

Giuseppe Agnello, Icaro morente, sulla scena del Teatro Andromeda – Image by Teatro Andromeda

IL FILM “PIETRA PESANTE”

“Già dai primi anni ’80 ho avuto contezza del destino ‘sisifico’ che mi attendeva: alzare “pietre pesanti” per guidare lo sguardo oltre questo cielo. Era un’urgenza che avvertivo pressante fin da ragazzo, e quando capii che stavo davanti all’infinito leopardiano, ho alzato la mia “siepe” di pietra. Del resto mi ha sempre affascinato il tema della porta “iniziatica”, l’entrare e l’uscire da una dimensione all’altra: dal liquido amniotico all’aria, dal sensibile al sovrasensibile, fino al transito ultimo della vita in una dimensione sconosciuta ma che, immagino, sia di unità con l’universo…”
Lorenzo Reina

Alla straordinaria storia di Lorenzo Reina, il regista Davide Gambino ha dedicato nel 2012 “Pietra pesante”, l’affascinante film prodotto dalla sede siciliana del Centro Sperimentale di Cinematografia; un lavoro che, come ha scritto Luigi Capitano, “ricompone abilmente tutti i frammenti del mondo poetico di Lorenzo Reina: un universo capace di trasformare il paesaggio dell’anima in arte e l’arte nuovamente in paesaggio…”. Di seguito un breve trailer [si consiglia di regolarne la visione a 720p].
 

 
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Per info sulle rassegne che periodicamente si tengono al Teatro Andromeda e per ogni altra news, consultare il sito www.teatroandromeda.it e la pagina Facebook 

*Il Teatro Andromeda è anche lo scenario in cui si svolge ogni estate l’assegnazione del Premio “Andromeda” ai Talenti Umbratili, ideato dal giornalista e autore Rai Giovanni Taglialavoro, giunto ormai alla sua Va edizione. Il Premio, che consiste in una scultura di Lorenzo Reina, “vuole riconoscere quei talenti che rifuggono dalla ribalta, preferiscono il margine, l’auto-esclusione piuttosto che l’irretimento subalterno e compromissorio. Quei talenti che spiccano per profondità, originalità del loro sguardo sulla condizione umana del nostro tempo e del nostro territorio.”.

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