Studi su Dante: il contributo del calabrese Domenico Mauro, studioso apprezzato da Victor Hugo

Andrea Cefaly, Dante, Virgilio e la nave di Caronte, olio su tela, 1876, Museo MARCA, Catanzaro

Andrea Cefaly, Dante, Virgilio e la nave di Caronte, olio su tela, 1876, Museo MARCA, Catanzaro. Nel riquadro, ritratto fotografico di Domenico Mauro

Per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, riscopriamo la figura di Domenico Mauro, giurista e letterato calabrese, autore di uno studio sulla Divina Commedia che lo ha fatto considerare «il più interessante dei dantisti calabresi dell’età romantica». Fu anche un grande patriota

di Redazione FdS

“Sono sensibilissimo, signore, all’invio del vostro insigne lavoro. Voi avete più che studiato questo gran soggetto. Voi l’avete approfondito. Felice l’Italia di avere Dante: felice Dante di avere un commentatore qual siete voi. Ricevete l’assicurazione dei miei sentimenti distinti. Victor Hugo”
Victor Hugo, lettera a Domenico Mauro, 15 giugno 1865

Con queste parole il celebre autore de I Miserabili e di Notre-Dame de Paris, espresse in una lettera il proprio apprezzamento per il letterato e giurista calabrese Domenico Mauro che aveva sottoposto alla sua attenzione lo studio critico Concetto e forma della Divina Commediaedito a Napoli 1862. L’opera seguiva di vent’anni, e inglobava il precedente Allegorie e bellezze della Divina Commedia, un commento dell’Inferno che diversi decenni dopo avrebbe spinto lo studioso Giuseppe Inzitari a definirne l’autore “il più interessante dei dantisti calabresi dell’età romantica”. Mauro fu infatti il principale protagonista di un rinato interesse in Calabria verso la figura di Dante che lo studioso Stanislao De Chiara colloca intorno al 1840, quando“fiorì un gruppo di scrittori calabresi che dall’Alighieri traeva l’ispirazione e allo studio di lui attendeva con amore”, alludendo subito dopo al fatto che Dante – già nei due secoli precedenti ispiratore del filosofo Tommaso Campanella e del letterato Gian Vincenzo Gravina -, fosse considerato un modello altissimo a cui guardare dal punto di vista politico, morale e civile oltre che letterario; quel “grande padre della civiltà moderna” del cui pensiero si nutriva una schiera di giovani eletta “per opere d’intelletto e d’ingegno, per grande sentimento di patria e per martirio”, schiera di cui facevano parte figure come i calabresi Domenico Mauro,  Giuseppe Lamanna, Michele Bello, Vincenzo Padula, Biagio Miraglia, Vincenzo Gallo Arcuri, o i campani Carlo Gallozzi e Carlo Pisacane, tutti uomini di cultura ma anche ferventi protagonisti della grande stagione risorgimentale. “I nostri padri – scrive il De Chiara – par che temprassero così nello studio di Dante l’animo loro e si preparassero agli avvenimenti che già maturavano”.

Sono gli anni in cui lo scrittore e patriota napoletano Luigi Settembrini, vincitore per concorso della cattedra di Eloquenza al Collegio di Catanzaro, insegna ai giovani e al tempo stesso cospira contro i Borboni – racconta De Chiara -, “accendendo con lo studio della Divina Commedia l’animo dei calabresi a egrege cose”. Con l’età del Romanticismo, “insieme con il destarsi dell’idea nazionale e di libertà” – scrive Inzitari – la Calabria vede risvegliarsi “l’interesse per la figura di Dante, come espressione della civiltà d’Italia, profeta dell’unità nazionale, cantore dell’umanità e dell’universa natura.” E aggiunge: “Molti dei romantici calabresi, con lo stesso entusiasmo con cui partecipano ai moti d’indipendenza e di libertà, diffondono in Calabria e altrove il culto di Dante, ne studiano le opere, ne esaltano la grandezza: saggi, commenti, discorsi, poesie, novelle in versi, tragedie d’ispirazione dantesca vengono stampate in tipografie regionali o napoletane, diffusi su fogli locali, regionali o esteri. Un respiro nazionale o europeo allarga concezioni e idee, anima di un particolare colorito argomenti dettati dalla tradizione regionale, promuove programmi; un entusiasmo rinnovatore a carattere patriottico o sociale muove la loro azione”.
 

Andrea Cefaly, Paolo e Francesca

Andrea Cefaly, Paolo e Francesca, olio su tela, 1876, Museo MARCA, Catanzaro

Ma chi era Domenico Mauro, autore di quella esegesi di Dante che – come scrisse il filosofo e letterato calabrese Ferdinando Balsano – quando vide la luce “i giovani calabresi ne furono scossi profondamente, e crebbe in essi il culto del Massimo Poeta, unendosi indivisibilmente a quell’amore di libertà e di gloria, onde furono sempre ardenti i generosi lor cuori”? Mauro era nato nel 1812 da una famiglia facoltosa e di origini illustri, a S. Demetrio Corone, piccolo borgo arbëreshe della provincia di Cosenza dove studiò presso il rinomato collegio italo-albanese di S. Adriano; l’istituto, nato nel 1732 per volere di Papa Clemente XII allo scopo di preparare il clero italo-albanese alla conservazione del rito bizantino-greco, sarebbe presto diventato un faro della cultura classico-umanistica per l’intera Calabria e una fucina del liberalismo, formando figure di letterati come Girolamo De Rada, iniziatore della letteratura albanese moderna e paladino dell’indipendenza dell’Albania, e figure di spicco del risorgimento italiano come Agesilao Milano e, appunto, Domenico Mauro. Le opere dell’Alfieri, del Foscolo, del Vico e del Genovesi furono i primi preziosi alimenti della sua vocazione letterario-filosofica, finché la lettura di Byron non lo convertì al Romanticismo, nel quale ritrovò un più spiccato spirito di libertà, perseguito con più forza dopo il suo trasferimento a Napoli, dove studiò giurisprudenza e approfondì privatamente gli studi letterari. Nella città partenopea avviò – non senza destare i sospetti della polizia borbonica – una scuola privata gratuita in cui utilizzava come unico libro di testo la Divina Commedia, considerata uno scrigno di valori morali e civili degni di essere trasmessi ai più giovani come base della loro formazione.

IL SUCCESSO DELL’OPERA SU DANTE

L’attento studio dell’opera di Dante avrebbe inoltre costituito, come già accennato, la principale ispirazione del suo impegno politico oltre a tradursi in un lavoro di esegesi che in Italia fu molto apprezzato dal celebre critico letterario Francesco De Sanctis e all’estero dal gigante francese Victor Hugo. Nel suo studio su Dante, Mauro insiste sul carattere profondamente allegorico-simbolico della Divina Commedia, e lo chiarisce bene fin dalla prefazione: sebbene nella rivalutazione dell’allegoria, ai fini della investigazione del concetto generale e dell’unità artistica dell’opera, fosse stato preceduto da autori come Gabriele Rossetti e Nicola Nicolini, Mauro precisa come il primo avesse sbagliato nel voler individuare l’unità artistica del poema in un concetto filosofico, e il secondo nell’averla ravvisata in un concetto storico e cioè nell’allegoria della satira politica rivolta alle contingenti vicende del tempo di Dante. Mauro la ritrova invece in un concetto religioso, morale e politico insieme, di validità universale, e soprattutto in un concetto poetico. Le allegorie, che sono il tipico linguaggio espressivo di Dante e che egli definì “pure bellezze poetiche”offrono dunque il segreto per intendere il significato sostanziale e l’unità artistica del poema.

Come rileva Inzitari, più che i giudizi entusiastici di De Sanctis e di Hugo, a cogliere però con maggiore profondità l’essenza del lavoro su Dante di Domenico Mauro è la“recensione magistrale” che ne fece il poeta e patriota calabrese Vincenzo Padula, “collaboratore tra i più notevoli di quel giornale d’avanguardia letteraria e politica quale fu Il Calabrese”: “Il Padula – scrive Inzitari –  mise in evidenza l’interpretazione unitaria, che emergeva dallo studio del Mauro, per effetto dell’accordo tra materia e forma, del concorso di molteplici elementi artistici, per il valore poetico attribuito opportunamente al paesaggio, creazione autonoma ricca di vitalità originale del genio dantesco. L’opera del Mauro nasceva da un fervore letterario regionale in cui si veniva abbandonando l’opinione vichiana di un Dante rozzo e primitivo, espressione della barbarie d’Italia, a vantaggio di un’idea rivolta a rivalutare la civiltà del Medioevo e l’apporto dottrinario alla poesia di Dante”; corrente di pensiero che vide coinvolte altre acute menti regionali come Pietro Giannone da Acri, il cosentino Luigi Maria Greco e il vibonese Onofrio Simonetti, oltre a numerosi altri autori a cui si devono studi critici e numerose manifestazioni d’amore e di omaggio a Dante fiorite sotto forma di poesie, saggi, recensioni, novelle in versi, e traduzioni della Commedia in dialetto.
 

Domenico Mauro in una incisione di fine '800

Domenico Mauro in una incisione di fine ‘800

INSEGUENDO IL RISCATTO DEL SUD

Dagli ideali ispirati a Dante all’attivismo politico il passo fu dunque breve per Domenico Mauro. Nel 1840 fondò il giornale Il Viaggiatore “col fine di riunire attorno a sé quanti calabresi potesse, forniti di mente, di buon volere e di patriottismo per tentare un’insurrezione nella provincia”. Non a caso le sue prime esperienze cospirative contro i Borboni iniziarono nel 1842 con l’adesione a un gruppo settario di calabresi trapiantati a Napoli. Il giornale, arrivato al decimo numero, fu però soppresso dal governo monarchico e lui condannato e rinchiuso nel 1843 nel carcere di S. Maria Apparente.  In quegli stessi anni pubblicò poesie, racconti e un paio di saggi teorici (Su l’impossibilità d’una letteratura nazionale ai nostri tempi e Sul bello e sul sublime) oltre a un poemetto in endecasillabi sciolti, l’Errico, novella calabrese, una storia tragica ambientata nel mondo dei briganti a fine Settecento nella quale aleggia il sentimento di rivalsa contro l’oppressione straniera, lavoro nel quale il De Sanctis scorse reminiscenze di Ossian e Byron e un forte amore del poeta per la sua terra e per il mondo contadino. Sul campo, insieme ad altri giovani greco-albanesi del Cosentino, lo troviamo partecipe ai moti di Cosenza del 1843-44 che precedono lo sbarco dei fratelli Bandiera in Calabria e la successiva repressione della loro iniziativa. Nel ’43 venne arrestato e detenuto prima a Cosenza e poi a Napoli. Posto in libertà sorvegliata nel 1844, partecipò a una seconda sommossa sempre dall’esito infelice, Nel 1847 lo troviamo coinvolto nei moti di Reggio Calabria e Messina preceduti da un suo rovente proclama (Le guerrillas calabresi al popolo delle Due Sicilie) che diffuse l’immagine di un popolo in lotta per la libertà ripresa da vari giornali italiani ed europei, tra cui la testata radicale inglese The Northern Star. Uscito dal carcere, riprese la sua attività antiborbonica presso il Circolo nazionale di Cosenza dove si distinse per le avanzate posizioni politiche (chiedeva una Costituente e auspicava una propaganda orientata verso la repubblica) e sociali (promozione dell’uguaglianza e della redistribuzione delle terre).

UN INFATICABILE RIVOLUZIONARIO

Partecipò ai moti rivoluzionari del 1948 e dopo la concessione della costituzione da parte di Ferdinando II, Domenico Mauro fu eletto deputato al parlamento del Regno delle Due Sicilie, sciolto poco dopo dal re col pretesto di gravi dissidi istituzionali. Mauro rientrò quindi in Calabria dove creò con altri una sorta di governo provvisorio che cercò di ottenere il consenso delle popolazioni di città e campagna, per esercitare una più efficace resistenza. Ma il 30 giugno 1848, ci fu uno scontro durissimo con le truppe borboniche in Calabria presso il valico di Campotenese, dove Mauro guidò 3000 volontari albanesi, purtroppo con esito sfortunato (tra gli altri cadde anche suo fratello Vincenzo). Per sfuggire alla cattura riparò a Corfù, in Grecia, dove ebbe notizia di una condanna a morte in contumacia a suo carico. Nel 1849 lo ritroviamo a Roma a sostegno della neonata Repubblica Romana presto spazzata via dalla restaurazione papale. Nuovamente in fuga, fece tappa prima a Genova dove, nel 1851 uscì un suo volume dal titolo Vittorio Emanuele e Mazzini, contenente uno sguardo più ampio sulla situazione nazionale e un giudizio positivo sulla monarchia piemontese fedele alla costituzione oltre che sul pragmatismo cavouriano. La soluzione unitaria per l’Italia cominciò a farsi strada in lui, anche se mantenne sempre vivo il senso della peculiarità del Sud e degli interventi che esso avrebbe richiesto per uscire dall’arretratezza in cui l’aveva gettato il regime borbonico.

GARIBALDINO IN SICILIA E DEPUTATO DEL NUOVO REGNO

Dopo Genova si trasferisce a Torino, dove già si erano rifugiati altri illustri dissidenti meridionali. Qui visse dal 1853 al 1860 in condizioni di dignitosa indigenza e collaborò con alcuni periodici democratici. Scettico verso le posizioni mazziniane, seguì Garibaldi in Sicilia nell’impresa dei Mille insieme al fratello Raffaele e al cugino Demetrio Baffa coi quali ebbe un ruolo di facilitatore nell’attraversamento della Calabria e nella risalita verso Napoli. A dispetto tuttavia dell’entusiasmo iniziale, ebbe a un certo punto la sensazione che quella rivoluzione per l’unificazione si fosse esaurita in un evento più che altro di carattere geopolitico. Nel decennio successivo lo ritroviamo infatti a Napoli a collaborare col Popolo d’Italia, un foglio di aspra critica alle istituzioni a cui si chiedeva di completare l’unità nazionale con la conquista di Roma. Non avendo abbandonato mai il suo radicalismo fortemente venato di meridionalismo, alla fine si accostò alle istanze mazziniane entrando nell’Alleanza repubblicana universale, ma questo non gli impedì di partecipare alle elezioni politiche del Regno d’Italia, venendo eletto in due legislature, pochi anni prima della sua morte avvenuta a Firenze nel 1873 (è sepolto nel cimitero monumentale di San Miniato al Monte).

UNA SENTITA COMMEMORAZIONE

Con queste parole, pochi giorni dopo la scomparsa, Francesco De Sanctis lo ricordò ai suoi studenti del corso di Storia della Letteratura all’Università di Napoli: “Domenico Mauro era un uomo semplice, che non parlava mai di sé, stimava naturali tutte le azioni che il mondo chiama eroiche, quasi egli non sapesse o non potesse fare altrimenti. Non aveva mai creduto che compiere il proprio dovere fosse scala a ricompense (…) Lo rividi a Torino; un caffè che tutt’ora esiste, il Caffè della Perla, era il convegno degli emigranti napoletani e siciliani. Mancando la vita reale, si viveva in fantasia: gli uomini tanto più sono accesi nelle discussioni sull’avvenire, quanto più il presente è triste. E non potrò mai dimenticare quell’uomo che si infuocava nella disputa e, tenacemente convinto delle sue opinioni, credeva impossibile che la verità non fosse quella. I suoi occhi scintillavano, batteva il pugno sul tavolo, parea rivivesse in quelle dispute e scordasse la miseria: perchè era il più povero degli emigrati meridionali, e tale era la sua dignità, che riusciva impossibile, anche ai più famigliari, fargli accettare qualche cosa co’ mezzi più ingegnosi. Dopo egli sparve, erasi dato al lavoro, perchè fu di quegli uomini che, mentre la mediocrità mena rumore, non si fanno sentire e si trovano sempre innanzi nei momenti più decisivi.”

MEMORIE STORICHE

A S. Demetrio Corone ancor oggi si conserva il palazzo della famiglia Mauro che dal 1993 ospita il Centro Studi Risorgimentali Domenico Mauro, sede della Biblioteca privata e dell’Archivio dell’illustre famiglia, con documenti che vanno dal 1780 al 1924, catalogati e ordinati nel 2000 su iniziativa dell’Ufficio Centrale per i Beni archivistici, d’intesa con l’Archivio di Stato di Cosenza. Nonostante tali testimonianze, oggi in pochi conoscono l’opera e la coraggiosa vita di Domenico Mauro, il Padre del Romanticismo calabrese, come qualcuno lo ha definito; “ma quando l’Italia – come disse De Sanctis – avrà ricuperato il pieno possesso del suo senso morale, e si avvezzerà a guardare dietro lo scrittore l’uomo, a guardare gli uomini non da quello che scrivono ma da quello che fanno; allora, se vi sarà un libro d’oro dei grandi caratteri e dei grandi patrioti, non mancherà una pagina alle virtù di Domenico Mauro”.

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Bibliografia:
Antonio Albanese, Giuseppe Lamanna, in Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, raccolte a cura di Luigi Accattatis, Vol. IV, pp. 487-89, Tipografia Migliaccio, Cosenza, 1877, 502 pp.
Ferdinando Balsano, La Divina Commedia giudicata da Giovan Vincenzo Gravina, S. Lapi Tipografo-Editore, Città di Castello, 1897, 107 pp.
Antonio Buttiglione, La rivoluzione in ”periferia”. Movimenti popolari e borghesia nelle Due Sicilie (1830-1848), tesi di dottorato, A.A. 2016-17, Università degli Studi della Tuscia
Gaetano CingariRomanticismo e democrazia nel Mezzogiorno: Domenico Mauro (1812-1873), Edizioni scientifiche italiane, 1965, 205 pp.
Stanislao De Chiara, Dante e la Calabria, Tipo-Lit. L. Aprea Libraio Editore, Cosenza, 1894, pp. 216
Giuseppe Jacopo Ferrazzi, Enciclopedia Dantesca, Vol. IV, Tipografia Sante Pozzato, Bassano, 1871, pp. 274-275
Giuseppe Inzitari, Calabria, in Enciclopedia Dantesca, Treccani editore, vol. I, Roma, 1970, 1006 pp.
Domenico Mauro, Allegorie e bellezze della Divina Commedia – Inferno, Tipografia Boeziana, Napoli, 1840, 64 pp.
Domenico MauroConcetto e forma della Divina Commedia, Stabilimento Tipog. degli Scienz., Letter. ed Art., Napoli, 1862, 334 pp.
Vincenzo Padula, Prose giornalistiche precedute da una farsetta e da un dramma, Stabilimento Tip. di P. Androsio, Napoli, 1878, 422 pp.

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