Magna Grecia: quell’amore travolgente che riportò la democrazia a Metaponto

tirannicidio 2

Gli amanti Aristogitone e Armodio uccidono il tiranno Ipparco nella Atene del VI sec. a.C., vaso greco (stamnos) del V° sec. a.C.

Anche la Magna Grecia ha avuto i suoi tirannicidi ma il caso ha voluto che la loro storia, diversamente da quella dei celebri ateniesi Armodio e Aristogitone, rimanesse relegata fra le pagine di antichi codici da cui riemerge avvalorata dall’archeologia

“…diverse tirannie erano state rovesciate dai giovani nel fiore degli anni, uniti in ciò ai loro compagni in affettuosa e reciproca amicizia”
Ateneo di Naucrati, Deipnosofisti (II sec.)

di Redazione FdS

tirannicidi_opt

I tirannicidi Armodio e Aristogitone, II sec. d.C. – Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Nei rivolgimenti politico-sociali di cui ci parlano i libri di storia non sono mancati casi in cui una passione attinente alla sfera sentimentale-sessuale, quindi profondamente intima e privata, abbia avuto ripercussioni di carattere collettivo. E se il mito omerico ci dice che la guerra di Troia ebbe inizio a causa del rapimento della bellissima Elena, regina di Sparta, per mano di Paride, figlio di Priamo re di Troia, lo storico Tucidide ci racconta di come la congiura messa in atto ad Atene nel VI sec. a.C. dagli amanti Armodio e Aristogitone contro il tiranno Ipparco, sia scattata per motivi personali di tipo sentimentale. Cito non a caso la loro storia universalmente nota perchè quasi negli stessi anni, a Metaponto, sulle sponde del Mar Jonio lucano, in piena Magna Grecia, altre due figure maschili, quelle di Antileon e del giovane Ipparino, vivevano un’esperienza analoga ma l’eco della loro impresa è giunta fino a noi solo attraverso le pagine di antichi codici. Manca insomma all’appello quel duraturo tributo d’arte che invece ci resta su Armodio e Aristogitone (celebre il gruppo scultoreo dei Tirannicidi custodito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli), un genere di omaggio che pure i due Metapontini ricevettero dai loro contemporanei, come narrano le fonti, ma di cui oggi non resta traccia. Eppure l’archeologia ci dice finalmente che la loro vicenda non è un mito.

La storia di Antileon e Ipparino, così come quella dei più famosi Armodio e Aristogitone, è da ascriversi nell’ambito di quel rapporto fra persone di sesso maschile, un uomo adulto e un ragazzo, che oggi diremmo “omosessuale” ma che nella Grecia dei periodi arcaico e classico era socialmente codificato e ritualizzato, e quindi accettato, come una pratica che segnava il passaggio del giovane cittadino dall’adolescenza all’età adulta. Il rapporto si instaurava fra un uomo adulto virtuoso detto erastès (l’amante) ed un ragazzo chiamato eròmenos (l’amato) e, secondo le regole che lo disciplinavano, assumeva una funzione pedagogico-iniziatica di cui il sesso era solo uno degli strumenti, destinato a cessare appena il ragazzo raggiungeva l’età adulta. Fondamentali erano i ruoli (attivo quello dell’amante e passivo quello dell’amato), e non era un caso – come spiega la storica Eva Cantarella – che un rapporto del genere fosse considerato inappropriato fra due uomini adulti, sebbene non demonizzato come sarebbe avvenuto secoli dopo. Naturalmente anche in tale rapporto avevano il loro peso certi meccanismi seduttivi fatti di corteggiamento dell’adulto nei confronti del ragazzo, di avances e di dinieghi, di gelosie, di sforzi d’ogni genere per brillare agli occhi del più giovane il quale, spesso consapevole delle proprie attrattive, le utilizzava fino alla provocazione.

E’ quanto accadde fra Antileon e Ipparino di Metaponto di cui andiamo a ricostruire la storia secondo quanto narrano il filosofo Aristotele nell’Etica Eudemia (IV sec. a.C.), il grammatico Partenio di Nicea (I sec. a.C.) nell’opera Erotikà Pathémata (Le pene d’amore, opera il cui autore cita come fonte il filosofo e scienziato del IV sec. a.C. Fania di Ereso ma erroneamente ambienta la vicenda ad Eraclea, odierna Policoro), lo storico Plutarco (I sec.) nel suo Erotikos e il filosofo Claudio Eliano in Varia Historia (II sec.). E’ Plutarco che nell’evocare le figure di tirannicidi-amanti del mondo greco sottolinea come essi “non si ribellarono ai tiranni quando li videro sconvolgere lo stato e governare come persone in stato di ubriachezza, ma quando questi stessi tiranni tentarono di sedurre quelli che essi amavano; allora, come se si trattasse di difendere santuari inviolabili e sacri, essi non risparmiarono la propria vita”.

ANTILEON E IPPARINO

vaso_greco 1

Erastès (a destra) e eròmenos raffigurati all’interno di una coppa greca del V° sec. a.C.

Nel sud dell’Italia del VI secolo a.C. Antileon si innamorò di un ragazzo di eccezionale bellezza, Ipparino, appartenente a una famiglia illustre. Vari e vani furono i suoi tentativi di sedurlo finchè una mattina, appostatosi davanti alla palestra frequentata dal giovane, gli disse che il desiderio di legarlo a sè era forte a tal punto da essere disposto ad affrontare qualsiasi sofferenza e a realizzare qualunque cosa gli avesse chiesto. Il ragazzo pensò allora di farlo desistere proponendogli un’impresa che chiunque avrebbe rifiutato, cioè rubare la campana d’allarme affidata alla guardia di una delle fortificazioni volute a Metaponto dall’odiato tiranno Archelao. Ma nulla riuscì a fermare Antileon: penetrato nel forte, uccise la sentinella, rubò la campana e la portò a Ipparino che, impressionato da tanta temerarietà e dal sentimento che la alimentava, lo accolse con favore. Fu l’inizio di un amore intenso che presto si scontrò con le attenzioni erotiche rivolte dal tiranno Archelao al giovane Ipparino, esposto a possibili ritorsioni nel caso si fosse negato. Tutto ciò risultava insopportabile per Antileon il quale consigliò al ragazzo di fingersi consenziente finchè una mattina, avvicinatosi al tiranno con l’inganno davanti alla sua residenza, lo uccise. I due amici-complici-amanti iniziarono così la loro fuga verso la salvezza ma un gregge di pecore legate fra loro arrestò la loro corsa facendoli inciampare e precipitare al suolo. Inseguiti e arrestati dalle guardie del tiranno vennero giustiziati. L’improvvisa morte di Archelao favorì però il ritorno della città di Metaponto all’antico ordinamento affidato a uomini liberi, mentre ai due coraggiosi amanti fu tributato un gruppo statuario in bronzo. Fu inoltre approvata una legge che per il futuro vietò di condurre le pecore al pascolo legate tra loro.

Con Antileon e Ipparino si ripeteva così quel gesto che, sebbene mosso dalla gelosia, fu vissuto dai concittadini come un desiderio di riscatto dall’oppressione che ha permesso il recupero dell’antica politeia (governo dei cittadini). Non a caso – a Metaponto, come nella Atene di Armodio e Aristogitone – la realtà politica mutò profondamente, cosicché ai tirannicidi furono tributati onori. Ma il ricordo di identiche azioni umane difficilmente gode nel tempo della stessa fortuna: mentre la gloriosa storia di Atene dei secoli successivi favorì il perpetuarsi del ricordo di Armodio e Aristogitone nella memoria dell’Occidente, nella periferica Metaponto, pur con gli stessi esiti politici, la vicenda di amore, morte e libertà che coinvolse Antileon e Ipparino non sopravvisse che nelle citazioni di alcuni autori antichi.

GLI INDIZI DELL’ARCHEOLOGIA

Se l’eminenza di alcuni degli autori che raccontarono questa storia già le conferisce attendibilità, scoperte archeologiche avvenute in tempi recenti nella necropoli di Metaponto, oggetto di scavi fin dalla fine dell’800, sembrano ulteriormente avvalorarla. Il luogo di maggior interesse a tal proposito, oggi aperto e visitabile liberamente, è quel tratto della necropoli che si trova sulla strada n. 175 per Matera a est dell’incrocio con la statale Jonica 106: disposto a cintura intorno alla città, si chiama Necropoli di Crucinia e il suo nucleo principale è costituito da tombe databili tra la fine del VII e il II secolo a.C. Di norma le aree sepolcrali erano disposte lungo le strade che collegavano la città col territorio circostante e tenuto conto del gran numero di tombe rinvenute e del carattere monumentale di alcune di esse, quella di Crucinia – affermano gli archeologi – doveva essere attraversata da qualche importante asse di collegamento fra cui quello che raggiungeva il santuario di Hera (oggi noto come Tavole Palatine). Le caratteristiche al momento uniche di questa necropoli lascerebbero pensare che la sua area, suddivisa in lotti assegnati alle singole famiglie, fosse destinata a ospitare le figure più rappresentative della città.

Ma veniamo ai protagonisti della nostra storia e al loro possibile legame con alcune tombe qui rinvenute: nei primi anni Novanta, nei pressi dell’attuale area archeologica di Metaponto, sono state ritrovate oltre 600 tombe risalenti al VII e il II sec. a.C. Nel corso di una conferenza tenuta all’Ateneo di Torino nell’a. a. 1992-1993, l’archeologo Antonio De Siena ha proposto di identificare nelle sepolture 598 a-b le tombe di Antileon ed Ipparino che nel corso della seconda metà del VI a.C., con l’uccisione del tiranno Archelao, avrebbero favorito il capovolgimento delle istituzioni politiche consentendo il passaggio della città a un sistema più democratico. Si tratta di un complesso formato da quattro distinte camere sepolcrali destinate a un unico monumento, di cui due occupate da una coppia di adulti disposti su letti funebri con doghe di ferro (klines) e corredati di spada corta e piccoli vasi (askoi) per gli unguenti della cerimonia funebre, e due risultate completamente vuote sebbene mai manomesse, quindi con evidente funzione di cenotafio.  La ripetuta presenza sui blocchi lapidei dell’iscrizione “ANT” (verosimilmente riferibile al tirannicida Antileon), renderebbe il complesso identificabile appunto con le tombe di Antileon e Ipparino

tomba_antileone_ipparino

Le tombe 598 a) e b), complesso a 4 camere sepolcrali probabilmente appartenuto ad Antileon e Ipparino, VI sec. a.C. – Necropli di Crucinia, Metaponto (Mt)

A poca distanza è poi emersa una serie di tombe con ricchi corredi funerari che, oltre alla presenza del letto funebre (kline), comprendono prestigiose armature, gioielli e oggetti pregiati come vasi in bronzo (oinochoai), vasi in argento per riti di purificazione (phialae) e coltelli per il taglio delle carni e operazioni sacrificali, evidente richiamo a importanti funzioni istituzionali e sacerdotali che i titolari dovettero svolgere in vita. Fra queste tombe spicca una di notevoli dimensioni, scoperta nel 1942 durante lavori di cava che hanno compromesso l’integrità del sito rendendo il complesso funerario lacunoso nella sua parte settentrionale. In essa fu rinvenuta, trafugata e trasferita all’estero una panoplia (armatura) bronzea quasi completa il cui pezzo più straordinario, un elmo con cimiero a testa d’ariete e paragnatidi con lo stesso motivo ornamentale, si trova oggi negli USA al Saint Louis Art Museum di Saint Louis (Missouri). Di questo corredo sopravvivono a Metaponto solo alcuni frammenti di lamina in bronzo e argento pertinenti a uno schiniere e a uno scudo e raffiguranti un cavaliere in posizione frontale oltre a una testa d’ariete di profilo. Pare fuor di dubbio che la tomba sia appartenuta a una personalità di rilievo nell’organizzazione politica della città. Nella stessa area si trova poi la tomba 238, realizzata in blocchi di calcare e destinata ad una donna di alto rango di 30-35 anni, il cui corpo era rivestito di un ricco apparato ornamentale composto da un polos in lamina di argento dorato sul capo, una collana in argento e spilloni sulla veste, su cui ricorre il motivo decorativo della testa di ariete simile a quello della panoplia, una sorta di simbolo araldico volto a segnalare l’appartenenza ad un preciso gruppo familiare di notabili locali.

elmo_metaponto

Elmo a protome di ariete da Metaponto, bronzo, VI sec. a.C. | Saint Louis Art Museum, USA

E’ dunque probabile, sostengono gli archeologi, che ci si trovi di fronte alla tomba del tiranno Archelao e che l’armatura, ritrovata e trafugata nel ’42, fosse un omaggio alle sue imprese militari forse ricollegabili alla conquista della Siritide. Mentre le altre tombe, fra cui quella della donna, è probabile siano appartenute a illustri membri del suo genos, ascrivibili alle élite aristocratiche cittadine di cui dovettero far parte anche i due tirannicidi.

Oltre alla presenza di questo nutrito nucleo di tombe aristocratiche, ad avvalorare l’esistenza di un tiranno a Metaponto intorno alla metà del VI sec. a.C. c’è anche una iscrizione dedicatoria incisa su un blocco di architrave del Tempio di Hera autoi kai ghenei – un chiaro e diretto riferimento “a sé stesso e al proprio gruppo familiare”, una sorta di autoriconoscimento pubblico. Si aggiunga inoltre che la metà del VI secolo a.C. – come scrive l’archeologa Deborah Rocchietti – segnò una svolta importante nello sviluppo urbanistico di Metaponto perchè si definirono le aree adibite alle pratiche religiose e politiche distinte da quelle destinate ad abitazione, si tracciarono i principali assi stradali e si ebbe la prima intensa fase costruttiva che portò alla monumentalizzazione dell’area sacra con l’erezione dei templi dedicati ad Hera e ad Apollo Lykaios. E a tal proposito De Siena, sia pure con la cautela dettata dall’assenza di ulteriori prove, sostiene l’ipotesi del tiranno e spiega che solo un personaggio capace di controllare enormi risorse finanziarie, di gestire un forte potere politico, poteva avere l’ambizione per una simile autopromozione e l’autorevolezza per realizzare opere così estese e impegnative.
 

Il tempio di Hera a Metaponto, VI sec. a.c. - Ph. © Laura Noviello

Il tempio di Hera a Metaponto, VI sec. a.c. – Ph. © Laura Noviello

Quanto all’avvento di un regime più democratico, favorito dal tirannicidio e dal declino dell’aristocrazia, esso sembrerebbe confermato – dice Rocchietti – dalle scelte dei Metapontini in merito all’organizzazione del territorio col passaggio da estesi appezzamenti di terreno controllati da pochi ricchi aristocratici alla spartizione regolare fra tutti i cittadini, dalla costruzione di nuovi edifici, da mutamenti nei culti e nell’architettura sacra, nonché dall’evidente livellamento nelle scelte tipologiche e nei corredi deposti all’interno delle sepolture. Il tutto sembra del resto conforme a uno schema non estraneo ad altre esperienze dell’Italia meridionale di quei secoli, con ascesa, apogeo – personale e urbano – e crollo violento di tiranni, neutralizzati dalle congiure di molti o dall’ardente coraggio di pochi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Visite: l’area archeologica è aperta dalle 9.00 a un’ora prima del tramonto. Chiuso lunedì mattina. Vi si arriva percorrendo la Strada Statale 106 Taranto-Reggio Calabria: uscire a Metaponto e seguire i cartelli che segnalano la Necropoli.

Bibliografia:

Eva Cantarella, Secondo natura, la bisessualità nel mondo antico, Feltrinelli, Milano 2016, 312 pp.
Joseph Coleman Carter, La scoperta del territorio rurale greco di Metaponto, Osanna Edizioni, Venosa 2008, 400 pp.
Antonio De Siena, Osservazioni su alcune tombe monumentali arcaiche della necropoli occidentale, in Bollettino d’Arte n. 143, gennaio-marzo 2008, pp. 4, 8 – 11 – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
Antonio De Siena, Il Metapontino: insediamenti antichi e bonifiche, in AA.VV., Archeologia dell’acqua in Basilicata, Consiglio Regionale della Basilicata, Potenza 1999, pp. 53-72
Liliana Giardino – Antonio De Siena, Metaponto, in Emanuele Greco (a cura di), “La città greca antica. Istituzioni, società e forme urbane”, Donzelli, Roma 1999, 464 pp.
Deborah Rocchietti, Aree sepolcrali a Metaponto. Corredi ed ideologia funeraria fra VI e III sec.a.C., Consiglio Regionale della Basilicata, 2002, 247 pp.

Rispondi

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati *

*

Torna su