La transumanza è Patrimonio UNESCO. La soddisfazione di Carmelina Colantuono, fra i principali promotori

Transumanza condotta dalla famiglia molisana dei Colantuono (a sin. Carmelina Colantuono) - Ph. Nicola Lanese

Transumanza condotta dalla famiglia molisana dei Colantuono (a sin. Carmelina Colantuono) – Ph. Nicola Lanese (via ANSA)

di Redazione FdS

Oggi si è realizzato un sogno di tanti, ma soprattutto della molisana Carmelina Colantuono, icona indiscussa per il Mezzogiorno d’Italia, e non solo, dell’antichissima tradizione della transumanza, la migrazione stagionale del bestiame dai pascoli di pianura a quelli delle regioni montuose e viceversa, lungo tratturi che da millenni sono teatro di un momento importante della vita pastorale di diversi luoghi d’Europa, Italia compresa. Nel nostro Paese proprio il Molise è uno dei territori più rappresentativi di questa antichissima pratica, che nel Sud coinvolge anche Abruzzo, Puglia, Basilicata e Campania. L’11 dicembre 2019, dopo anni di impegno e di sollecitazioni a vari livelli, la transumanza è stata finalmente iscritta nella Lista Rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, su decisione unanime dei 24 Paesi raggruppati nel Comitato intergovernativo riunitosi a Bogotà in Colombia. Noi abbiamo scelto di menzionare innanzitutto Carmelina perchè è stata fra le prime persone attive in questo campo a battersi strenuamente affinché la tradizione dei suoi avi – di cui insieme ai fratelli ha raccolto il testimone – ottenesse questo importante riconoscimento. Originaria di Acquevive di Frosolone (Isernia), la sua famiglia vanta una custodia secolare della transumanza – che dall’800 si svolge 2 volte l’anno su 180 km fra Molise e Puglia – e per Carmelina è stato quasi un imperativo categorico seguire l’iter della candidatura UNESCO fin dal primo giorno, fin dall’inizio cioè di una procedura il cui esito l’ha finalmente riempita di soddisfazione: “Siamo tutti emozionati – ha dichiarato – perché vediamo parte dei nostri sacrifici ripagati e, in questa giornata, non possiamo non pensare a nonno Felice, capostipite della nostra transumanza, e a zio Antonio”.
 

Transumanza - Image courtesy Aurelio Candido ©

Transumanza – Image courtesy of Aurelio Candido

Un successo che naturalmente Carmelina condivide con altre persone che in questi anni, in Italia e all’estero, hanno perseguito il suo stesso obiettivo: “Dieci anni fa a Campobasso  – racconta – cominciammo a parlarne e poi, un po’ alla volta, con il supporto di tanti territori italiani, Paesi europei e un pool di esperti coordinato dal professor Pier Luigi Petrillo, si è finalmente arrivati a Parigi a formalizzare la richiesta di candidatura ufficiale. Con Nicola Di Niro, direttore di Asvir Moligal, l’Agenzia che ha curato parte del lavoro di raccordo, abbiamo fatto tutto il possibile per regalare questo risultato alla transumanza e al Molise. Fondamentale è stato il partenariato che ha visto coinvolti tanti territori italiani, dalle Alpi al Meridione, che condividono con noi questa straordinaria tradizione. Senza un’azione di squadra, e senza il supporto delle istituzioni nazionali, mai avremmo ottenuto questo risultato”.  Le comunità italiane indicate nel dossier come luoghi simbolici della transumanza sono state infatti diverse, da nord a sud:  oltre a Frosolone (Isernia), troviamo Pescocostanzo e Anversa degli Abruzzi in provincia dell’Aquila, Lacedonia (Avellino) in Alta Irpinia in Campania, San Marco in Lamis e Volturara Appula in provincia di Foggia, la Basilicata, insieme ad Amatrice (Rieti), a territori della Lombardia, la Val Senales in Trentino Alto-Adige; ma la transumanza si pratica anche in Valle d’Aosta, Veneto e Sardegna.

Il dossier di candidatura, presentato dall’Italia all’UNESCO insieme a Grecia e Austria, ha messo in evidenza come i pastori transumanti –  grazie ad uno dei metodi di allevamento più sostenibili ed efficienti – abbiano una conoscenza approfondita dell’ambiente, dell’equilibrio ecologico tra uomo e natura e dei cambiamenti climatici.

Per l’Italia, questo della transumanza rappresenta il decimo riconoscimento nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale  e – come ha sottolineato da Bogotà il curatore del dossier di candidatura, Pier Luigi Petrillo – “ci assicura il primato mondiale dei riconoscimenti in ambito agro-alimentare, dopo l’iscrizione nel Patrimonio Culturale Immateriale della Dieta Mediterranea, la Pratica della coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, l’Arte del Pizzaiuolo napoletano, la tecnica dei muretti a secco e i paesaggi vitivinicoli delle Langhe e del Prosecco”.

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