“Il luogo dove pensare a questa amatissima macchina vivente [l’essere umano – NdR] era questa zona quasi assolutamente morta che si estendeva per uno o due chilometri attorno ai primi crateri (…) Ho dormito sulla cenere che era calda e si muoveva come la pelle di un grande animale”.
Jean Epstein, Le Cinématograph vue de l’Etna, 1926
di Redazione FdS
Sebbene la Sicilia – come tutte le aree d’Italia a sud di Napoli – sia rimasta a lungo chiusa in un isolamento geografico da “hic sunt leones” che ne faceva una terra pressoché sconosciuta, essa riuscì tuttavia a irretire gli stranieri fin dai primi secoli dal Grand Tour. Dal tempo di pionieri come il geografo tedesco Filippo Cluverio (1659), il cartografo francese Albert Jouvin de Rochefort (1672) o lo scienziato scozzese Patrick Brydone (1770), è stato un susseguirsi di eruditi e avventurieri attirati soprattutto dalle prestigiose testimonianze del suo passato – evocate in confuse immagini di templi grandiosi, anfiteatri deserti, briganti e predoni – non meno che dal fascino della solare natura mediterranea sulla quale peraltro incombeva l’aura sinistra dell’Etna, della cui furia ignea riecheggiavano in Europa notizie, spesso leggendarie, di spaventose catastrofi. Facendo un salto di secoli, fu proprio una violenta eruzione dell’Etna a richiamare in Sicilia nel 1923 il 26enne documentarista francese di origine polacca Jean Epstein (1897-1954) che aveva esordito con un documentario didattico su Louis Pasteur ma ora andava alla ricerca di un incontro ravvicinato con il vulcano più alto e attivo d’Europa.
A spingerlo nell’estremo sud dell’Italia, il 24 giugno 1923, insieme ai suoi operatori Paul Guichard e Léon Donnot, era stata la notizia dell’eruzione che la notte del 16 giugno aveva visto aprirsi due crateri sul versante rivolto verso il paesino di Linguaglossa (Catania) presto minacciato dai torrenti di lava che avanzavano. Alla notizia era seguito l’incarico affidatogli da Pathé-Consortium-Cinema che commissionò e produsse il documentario. Epstein e i due operatori arrivarono in Sicilia muniti di 5000 metri di pellicola e di una macchina da presa Caméréclair a quattro obiettivi e subito chiesero alla Prefettura di Catania il permesso di poter salire sul vulcano. Strutturando il racconto visivo come la cronaca di un viaggio, i tre iniziarono a girare puntando ad evidenziare il contrasto tra la serenità del paesaggio rurale siciliano, fertile e idilliaco, e la furia distruttrice del vulcano la cui lava avanzava a tratti con un fronte di 150 metri.
Nacque così il documentario muto e in bianco e nero “La montagne infidèle” (La montagna infida) della durata di 24 minuti, presentato lo scorso 3 ottobre nell’ambito della 41a edizione delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, il più grande festival italiano dedicato alla produzione cinematografica dell’era pre-sonoro, diretto da Jay Weissberg. Le riprese, alquanto ravvicinate, furono realizzate da Epstein mentre il fiume di lava – sgorgante da una frattura apertasi sul versante nord-est dell’Etna tra i 2500 e i 2000 metri -, avanzava devastando terreni coltivati, distruggendo la stazione di Castiglione di Sicilia, abbattendo alcune case nel territorio di Linguaglossa e seminando il panico tra gli abitanti della zona ai quali non rimase che invocare l’intervento divino, cosa che fecero esponendo nella frazione di Catena il bastone del patrono Sant’Egidio invocato affinché fermasse la lava (come puntualmente accadde pochi giorni dopo). Intanto l’eco dei danni provocati dall’eruzione aveva favorito l’arrivo sul posto anche di re Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini salito al potere appena l’anno prima. Se l’Etna fu il protagonista principale del documentario non mancano immagini di altri luoghi siciliani, come l’Orecchio di Dioniso, la celebre grotta posta sotto il teatro greco di Siracusa nella Latomia del Paradiso. Il viaggio della piccola troupe, durato 15 giorni, previde fermate anche a Taormina, Catania e Messina.
Dato a lungo per perduto, il film di Epstein è stato recuperato e restaurato dalla Filmoteca de Catalunya che ha scelto di presentarlo in anteprima durante il festival friulano, il quale ci ha gentilmente concesso una clip di 56 secondi (v. video in alto). Si tratta dell’importante testimonianza di un drammatico evento italiano colto dall’occhio di un cineasta e teorico straniero pronto a raccogliere un significativo spaccato di Sicilia tra natura selvaggia e superstizione popolare, non senza dettagli che evocano il particolare periodo politico del momento, come le guardie fasciste che dal balcone di una casa abbandonata osservano il lento e inesorabile avanzamento della lava. Poco dopo il rientro di Epstein in Francia, il film fu montato tra luglio e inizio agosto per poi essere presentato alla stampa il 22 agosto, mentre a ottobre la Pathé lo distribuì sul mercato internazionale. Epstein pubblicò un primo resoconto di quella esperienza in due pagine del magazine Ciné-Miroir (n. 23, 15 agosto 1923) ma tre anni dopo, nel 1926, avrebbe raccontato più ampiamente quell’avventura nel libro Le Cinématograph vue de l’Etna, considerato uno dei testi fondamentali della prima teoria cinematografica.
L’operazione di recupero di questo pezzo mancante nella filmografia di Epstein, in linea con la crescente importanza da egli attribuita alle riprese in veri esterni, ha permesso di integrare l’opera nel contesto del cinema francese degli anni ’20 e nella storia del cinema documentario. Del film sembrava essere sopravvissuto, conservato presso la Cinémathèque Française, solo un Pathéorama, ossia un visore d’immagini fisse disposte su una striscia di pellicola 35mm; ma ecco che nel 2021 una copia integrale del film in formato ridotto Pathé Kok 28mm (quello utilizzato per il mercato domestico e scolastico), è stata ritrovata nella collezione Pere Tresserra, depositata presso il Centro di Conservazione e Restauro, ed ha consentito la digitalizzazione e il restauro della pellicola 99 anni dopo la sua uscita. Nuove e approfondite ricerche seguite al ritrovamento hanno permesso di localizzare, nelle collezioni dell’Eye Filmmuseum di Amsterdam, di una copia incompleta in 35mm con didascalie in olandese. Nel 1923 il documentario non mancò di suscitare apprezzamenti positivi come quello del giornalista che lo definì “il resoconto estremamente intelligente di un dramma formidabile, la cui grandezza è evidente in ciascuna delle immagini del film”.
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Fonti:Daniel Pitarch, Rosa Cardona, La Montagne Infidèle, in Giornatedelcinemamuto.it, 2022
Daniel Pitarch, Rosa Cardona, La Montagne Infidèle – La montaña traidora, in Filmoteca.cat, 2022