CALABRIA | Francesco Misiano, il calabrese antifascista e pacifista che negli anni ’20 inventò la Hollywood russa

Il politico e produttore cinematografico calabrese Francesco Misiano

Il politico e produttore cinematografico calabrese Francesco Misiano

di Kasia Burney Gargiulo

“Sono nato nel 1884 in Calabria. Mio padre era un sarto, mia madre un’istitutrice. Fino a sei anni ho vissuto a Ardore, il mio paese. Quando ebbi nove anni mio padre diventò cieco…” . Queste parole sono un piccolo stralcio di un documento emerso di recente dagli archivi della Commissione di epurazione del partito comunista nell’Urss di Stalin e riguardano un uomo del quale oggi sono relativamente in pochi a conoscere la storia, quella di una vita breve ma avventurosa, legata ad alcuni momenti importanti della vita politica europea degli anni ’20-’30 e, insospettabilmente per noi contemporanei, anche alla storia del Cinema. Si tratta del calabrese Francesco Misiano, un uomo vissuto all’insegna della coerenza con le proprie idee, pagata a caro prezzo nell’Italia prossima al Fascismo e nella Russia stalinista dove morì all’età di appena 52 anni.

Perchè abbiamo deciso di ricordarlo? Perchè era giusto farlo data la straordinarietà della sua vicenda personale e perché da anni viene assegnato a talentuosi registi e produttori il Premio Internazionale Produzione Cinematografica “Francesco Misiano” organizzato dal Centro Studi Francesco Misiano di Ardore (Reggio Calabria) e dalla Cineteca della Calabria. Il motivo di questo premio cinematografico internazionale intitolato a Francesco Misiano è presto detto: la sua vita è profondamente legata alla storia del cinema e in particolare al periodo aureo del cinema russo al punto da essere considerato l’uomo che inventò la “Hollywood rossa”, il più grande produttore cinematografico dell’Unione Sovietica, paese nel quale riuscì a realizzare ben quattrocento tra film e documentari.

Manifesto del film La corazzata Potemkin, di Sergej Ėjzenštejn

Manifesto del film La corazzata Potemkin, di Sergej Ėjzenštejn (1925)

Fra i titoli più noti delle produzioni da lui curate basta ricordare film come La Madre, La fine di San Pietroburgo e Tempeste sull’Asia (Potomok Cinciz-Chana) di Vsevolod Pudovkin, Aelita di Jakov Aleksandrovič Protazanov, Il cammino verso la vita di Nikolaj Ekk. A lui si deve la distribuzione in Germania del celebre La corazzata Potemkin di Sergej Ejzenštejn, film che grazie al suo intuito riuscì a raggiungere un successo di livello epocale. Nel 1926 iuscì a portare a Mosca gli attori Douglas Fairbanks e Mary Pickford, noti come il “Robin Hood a stelle e strisce” e “la fidanzata d’America”, inseguiti per le strade della Mosca bolscevica da un gruppo di cineoperatori fra due ali di folla in delirio: un evento sorprendente che vide per alcuni giorni due divi simbolo dell’America surclassare in popolarità i leader della Rivoluzione d’Ottobre.

Se dal dopoguerra ad oggi il nome di Misiano è stato praticamente cancellato, al punto da risultare sconosciuto ai più, fu invece familiare – fra gli anni ’20 e ’30 – a personalità come Sergei Eisenstein, Thomas Mann, John Dos Passos, Maksim Gorkij, George Bernard Shaw, Bertold Brecht, Vsevolod Pudovkin, Charlie Chaplin, Albert Einstein.

Ma come arrivò Misiano ad occuparsi di cinema in Russia? La sua attività di produttore fu il punto d’arrivo di una travagliata vicenda personale di uomo inviso al potere costituito, di destra e di sinistra, a causa delle sue scelte di pacifista e antimilatarista prima e poi di oppositore del regime staliniano negli anni cosiddetti del Terrore.

Partito da Ardore,  piccolo paese sito lungo la costa jonica in provincia di Reggio Calabria, Misiano si trasferì nei primi anni del Novecento a Napoli, dove lavorò come impiegato delle Ferrovie dello Stato. Qui nel 1907 , appena ventenne, aderì al Partito Socialista Italiano, e tre anni più tardi fu iniziato alla massoneria nella loggia “Giovanni Bovio” presso la quale rimase fino al 1914 anno in cui, dopo aver partecipato al congresso di Ancona del PSI, decise di votarsi alla militanza politica. Da Napoli Misiano fu poi trasferito a Torino, dove divenne dirigente del sindacato dei ferrovieri. Nel 1915 si ritrovò a fuggire dall’Italia avendo deciso di non voler prendere parte alla guerra per cui venne condannato in contumacia per diserzione. Riparò a Zurigo dove entrò in contatto con numerosi disertori italiani, tra i quali il suo amico Bruno Misefari detto l'”Anarchico di Calabria”, e dove incontrò anche Lenin. In Svizzera divenne collaboratore del Partito Socialista e fu direttore del settimanale L’Avvenire del Lavoratore tra il 1916 e il 1918. Questa occupazione gli consentì di svolgere un’intensa attività propagandistica e organizzativa tra i lavoratori svizzeri e gli immigrati provenienti da varie parti d’Europa.

Nel 1918 lo vediamo partecipare ai Moti Spartachisti di Berlino a fianco di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Insieme ad altri compagni riuscì a resistere per ben sei giorni nell’edificio del giornale Vorwärts all’attacco dei “Freikorps”, dopodiché Misiano fu arrestato e rinchiuso per dieci mesi nelle carceri tedesche. Tornato in Italia, nel 1919 raggiunse Fiume dove cercò di sollevare la popolazione contro le posizioni guerrafondaie di Gabriele D’Annunzio, il quale reagì emettendo a suo carico un bando di proscrizione che equivaleva ad una sommaria condanna a morte da infliggersi “a ferro freddo” (cioè a vista).

Reduce da diverse occupazioni di fabbriche ed intervenuto nel 1921 al XVII Congresso del PSI, partecipò assieme a Gramsci alla successiva fondazione del Partito Comunista d’Italia del quale divenne deputato. Alla seduta inaugurale della XXVI Legislatura del Regno d’Italia, il 13 giugno dello stesso anno, fu aggredito all’interno di Montecitorio da circa trenta deputati fascisti, percosso e costretto ad uscire dal Parlamento. Una volta fuori dal palazzo Misiano fu raggiunto e prelevato a viva forza dagli squadristi romani, rasato, imbrattato di vernice e costretto a a sfilare per Via del Corso con un cartello al colllo e fra due ali di squadristi che lo ricoprirono di sputi. Un episodio che Antonio Gramsci definì “nauseante”, un atto “di pura e semplice delinquenza”. La persecuzione contro un uomo che – aggiunse Gramsci –  “da un anno dimostra di non temere le aggressioni e gli insulti e di avere sufficiente coraggio materiale e morale per proseguire impassibile nella sua via”. Ma per Misiano non era finita lì: riconosciuto da un gruppo di fascisti all’interno del Politeama Margherita, fu nuovamente accusato di essere un disertore e costretto ad allontanarsi.

Sulla scia di tanto odio, Misiano decise di trasferirsi prima a Piombino, in Toscana, e quindi a Berlino, sede centrale del “Soccorso Operaio Internazionale”. Fu questo organo, nel 1924, ad affidare a Misiano il compito di fondare a Mosca una casa di produzione cinematografica: questa prese il nome di Mezrabpom e con essa Misiano avviò la propria carriera di produttore cinematografico destinata a grandi successi. Una stagione esaltante durante la quae l’Urss si mostrò a Misiano molto aperta e tollerante, perfino verso le avanguardie artistiche più ardite; fu la nuova politica economica di Lenin, aperta all’iniziativa privata in campo culturale, a suggerire a Misiano di lanciarsi nella creazione e direzione della sezione cinematografica del S.O.I. In quegli anni Misiano viaggiò in tutta Europa promuovendo uno scambio continuo di opere cinematografiche fra Occidente e Russia, dove si occupò di nuove produzioni e favorì l’incontro tra la nuova cinematografia sovietica e registi come Hans Richter, Erwin Piscator, Joris Ivens, intellettuali come Béla Bàlazs, attori, scrittori, musicisti. Molti di loro, in fuga dal nazismo dopo la salita di Hitler al potere, sarebbero stati accolti da Misiano nella Mezrapbom.

I maggiori esponenti della cultura progressista europea furono visti aggirarsi in quegli anni per le vie di Mosca sulla sua Lincoln decappottabile mentre il suo piccolo appartamento nella capitale russa divenne luogo di frequentazione dei più noti cineasti sovietici e sede di accesissimi dibattiti di estetica.Tutto questo impegno manageriale e artisticò non allontanò peraltro Misiano  dalla politica attiva e dal suo sogno di creare un fronte antifascista mondiale.

Odiava i settarismi che, a suo avviso, andavano incrinando sempre più anche l’unità all’interno del partico comunista: “Che diavolo è diventato il nostro partito –  scrisse nel 1923 in una lettera a Umberto Terracini – che suppone dappertutto compagni in atto di far piani che danneggiano gli altri compagni e il partito? E cosa diventerà, se si trasforma in una serie di persone che si sentono perpetuamente minacciate dal proprio compagno?”. Passa appena un anno da quella lettera ed ecco che Misiano subisce un processo politico da parte della “Centrale italiana” che lo accusa di aver gestito in modo sbagliato nel 1922 la distribuzione di aiuti nelle regioni del Volga colpite dalla carestia. In quella occasione però le accuse vengono smontate in poco tempo dalla Commissione di controllo del Comintern che annulla le decisioni adottate dalla Commissione del Partito Comunista d’Italia.

Questa conclusione non migliorò affatto i rapporti con i compagni di partito in Italia, come emerge da documenti ritrovati negli archivi riservati sovietici, rivelatori di durissimi attacchi politici e personali provenienti soprattutto dal nucleo di comunisti più vicini a Togliatti. Nel 1934, ad esempio, Paolo Robotti, cognato di Togliatti e responsabile del Club degli Internazionali, lo accusò di aver propagandato in Tenebre, un dramma teatrale del 1918 d’impronta pacifista, “una tesi antileninista” e di aver esaltato “la diserzione dall’esercito borghese” secondo una tesi “massimalista quindi antirivoluzionaria”. A nulla servirono le difese che Misiano fece delle proprie idee e della propria azione – definite dai suoi detrattori “non operaie, non comuniste…una prova in più della sua mentalità individualistica piccolo-borghese” – e persino la moglie Maria fu accusata di fare “opera di disgregazione”, motivo per cui fu sospesa per un anno dal Club degli internazionali.

L’accanimento contro di lui non cessa e nel 1936 viene chiesta al partito bolscevico dell’Urss la sua espulsione. Ciò accade mentre all’orizzonte si affacciano i prodromi del terrore staliniano, ed è così che Misiano cade in disgrazia anche presso il partito russo che lo accusa di “deviazioni politiche trotskiste”. Misiano si ammala e muore in un sanatorio il 16 agosto 1936, a soli 52 anni, prima che la polizia segreta sovietica abbia il tempo di arrestarlo. Circolarono anche voci che fosse stato assassinato. I principali rappresentanti del comunismo italiano snobbarono il suo funerale, svoltosi in forma estremamente semplice.

Lo scrittore calabrese Mario La Cava, nel suo romanzo I fatti di Casignana (del 1974), ambientato negli anni 1919-1923, ricorda Misiano con queste parole: “In quei giorni si parlava molto di Francesco Misiano, che per i suoi ideali aveva disertato dal fronte di guerra. Aveva fatto bene; era stato coerente con se stesso. Aveva rischiato e aveva vinto. Non si era fatto uccidere, come avrebbero voluto i suoi superiori per sbarazzarsi di lui. Aveva ripreso la battaglia internazionalista, aveva rifiutato quella degli imperialismi. Ora il suo nome onorato era trascinato nel fango dai suoi nemici: dai vigliacchi veri, dai malvagi, dagli sfruttatori”.

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