Bovino: quattro tesori nel Vallo dei briganti

Puglia - L'ingresso di una delle grandi stalle dell'antica Stazione di Posta di Ponte di Bovino (Fg): I° sec. a.C. - XIX sec. d.C.– Ph. © Ferruccio Cornicello | Photogallery nella pagina

Puglia – L’ingresso di una delle grandi stalle dell’antica Stazione di Posta di Ponte di Bovino (Fg): I° sec. a.C. – XIX sec. d.C.– Ph. © Ferruccio Cornicello | Photogallery nella pagina

“…sedici teste di banditi chiuse in gabbie chiuse in gabbie di ferro coronano da una parte e dall’altra le sponde del ponte, e questa muta ma eloquente guardia parla potentemente all’immaginazione degli scellerati.”
Giuseppe Ceva Grimaldi, Itinerario da Napoli a Lecce…, 1821

di Enzo Garofalo

Come scriveva nel 1910 lo storico Romolo Caggese, nel Vallo di Bovino (Foggia) “la Selva Nera delle Puglie, la Sila della Capitanata” –  i poeti popolari hanno cantato “le più meravigliose istorie di inseguimento, di fughe, di morti atroci ed agonie orrende, di uomini superiori alle leggi dei codici ed alla legge morale, dormienti sotto gli alberi annosi con la pistola in pugno e il coltello fra i denti e la carabina fra le gambe e la cartucciera a fianco, di donne perdutamente innamorate, che se ne scendevano di notte dalle finestre della casa paterna raccomandate ad una fune, mentre sulla via, palpitanti frementi, due occhi di fuoco spiavano fra le tenebre”. Basterebbero queste parole per sintetizzare l’inquietante e suggestiva fama di un luogo che per quasi due secoli fu sinonimo di viaggio malsicuro. Qui carrozze e diligenze in transito fra Campania e Puglia furono infatti a lungo esposte agli attacchi dei briganti che in questa gola fra i monti, piena di boschi, grotte ed anfratti, trovarono il luogo ideale per le loro scorrerie dando un bel da fare alle autorità preposte alla vigilanza di questa contrada del Regno di Napoli. Fu dunque un luogo strategico in negativo così come lo era stato in positivo per le stesse ragioni geografiche: non dimentichiamo che Bovino sorgeva sull’unica via consolare fra Napoli e la Puglia. Ecco perché, più volte distrutta dai suoi nemici, la città è sempre stata ricostruita, spesso dai suoi stessi aguzzini, romani, barbari o saraceni che fossero. Contro di essa non mancò di congiurare anche la Natura con terribili terremoti ed epidemie di peste, ma eccola ancora lì, robusta e svettante sul suo nido d’aquila dal quale continua a scrutare la vallata del torrente Cervaro.

Oggi di epoche così drammatiche ed avventurose persiste il fascino della memoria diventata leggenda nei racconti degli abitanti più anziani. Ma il bello è che alcune cospicue tracce di quei tempi sono ancora lì, imperturbabili di fronte al trascorrere del tempo. Nel raggio di circa cento metri, alle falde del Monte Fedele, nella minuscola frazione di Ponte di Bovino, si conservano quattro splendidi tesori che, ciascuno a suo modo, rappresentano altrettanti spaccati di vita di un luogo che meriterebbe di essere riscoperto ed offerto ai visitatori secondo una visione d’insieme che attinga alla sua multiforme storia.

LA TAVERNA DEL PONTE: UNA STAZIONE DI POSTA CON DUEMILA ANNI DI STORIA

 

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Puglia - Veduta panoramica del famigerato Vallo di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Puglia - Veduta panoramica del famigerato Vallo di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Veduta panoramica del famigerato Vallo di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Veduta dall'alto della Taverna del Ponte, nel Vallo di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Partic. della Tabula Peutingeriana, copia medievale di un'antica carta romana che mostrava le vie militari dell'Impero. Indicato a sin. in rosso l'abitato di Furfane

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

La parte anteriore della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

La corte interna della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

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La corte interna della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

La grande stalla (oggi sala eventi) della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Una delle stalle della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

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Uno degli antichi corpi di fabbrica della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

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Carta geografica dell'Italia raffigurante la rete delle stazioni di posta nel '700, in mostra presso la Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Ricostruzione planimetrica della evoluzione architettonica della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, dal periodo romano a ll'Ottocento, in mostra a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Carta geografica dell'Italia del XVIII sec., in mostra presso la Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

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Partenza e arrivo dei Procacci nel Regno di Napoli, in un documento borbonico del '700, in mostra presso la Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

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Rete dei Procacci pugliesi, in un documento borbonico del '700, in mostra presso la Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

La grande Fontana Borbonica (1734), nei pressi della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Mascherone della grande Fontana Borbonica (1734), nei pressi della Taverna del Ponte o Stazione di Posta, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Lo Moleno d'Acqua del Ponte, appartenente alla famiglia Grasso, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Macina di quarzite francese presso Lo Moleno d'Acqua del Ponte, appartenente alla famiglia Grasso, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Luigi Grasso illustra il funzionamento della macina del Moleno d'Acqua del Ponte, appartenente alla sua famiglia, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Pale ipogee del Moleno d'Acqua del Ponte, appartenente alla famiglia Grasso, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Un tratto del Torrente Cervaro nei pressi del Moleno d'Acqua del Ponte, appartenente alla famiglia Grasso, a Ponte di Bovino (Fg). Sullo sfondo a destra, l'antico ponte sul torrente – Ph. © Ferruccio Cornicello

Quattro tesori nel Vallo dei briganti

Foto di gruppo al Moleno d'Acqua del Ponte, appartenente alla famiglia Grasso, a Ponte di Bovino (Fg) – Ph. © Ferruccio Cornicello

 
Se a Bovino c’è un luogo che più di tutti riesce ad esprimere il legame fra un passato remotissimo e un presente desideroso di ripercorrere il filo che lo collega a radici antiche di millenni, questo luogo è la Taverna del Ponte nota anche come La Stazione di Posta. Intenzionati a visitarla solo dall’esterno, data l’ora tarda e la natura privata del luogo, percorriamo i circa sei km che lo separano dal borgo di Bovino; giunti al crepuscolo, cogliamo però al volo l’incontro casuale con la proprietaria di questo patrimonio davvero unico, la prof. Maria Grazia Marseglia. La morbida luce del pomeriggio che gradatamente trascolora nelle tenebre della sera avvolge tutto in un’aura speciale. Come un sottile richiamo ancestrale ci spinge ad entrare e a percorrere l’ampia corte centrale di questa sorta di grande caravanserraglio, quand’ecco la gentile padrona di casa invitarci a visitare anche qualcuno degli interni mentre ci racconta la storia del luogo con quel sottile gusto del particolare che si fa avvincente narrazione.

Apprendiamo così che secondo gli studiosi è molto probabile che qui ci fosse in origine un villaggio fortificato dei Sanniti, baluardo del loro territorio durante le guerre contro Roma intorno al IV sec. a.C. Qualcuno ipotizza che vi sorgesse l’abitato di Furfane il cui nome compare sulla Tabula Peutingeriana, da altri ricollegato invece al territorio dell’odierna Cerignola. Ad ogni modo alla fine Roma ebbe la meglio ed è certo che in età augustea l’odierna Taverna del Ponte fu una mansio (dal lat. manere, cioè fermarsi), ossia una stazione di posta dotata di di alloggi, magazzini e scuderie, situata lungo una strada romana e gestita dal governo centrale che la metteva a disposizione di dignitari, ufficiali o di chi viaggiasse per ragioni di stato e presentasse un apposito documento di identificazione. In questo punto passava infatti la via consolare Minucia che univa la città abruzzese di Corfinium con Brindisi, in Puglia; praticamente quella stessa strada che proprio in età augustea il grande poeta Orazio, muovendo da Roma, percorse insieme a Mecenate e ad altri amici, come vividamente testimoniato nella sua Satira V; una strada il cui tracciato sarebbe stato in parte ripercorso, tempo dopo, dalla via Appia Traiana. Come normalmente accadeva per le mansiones, anche in questo caso dovettero esserci degli accampamenti militari situati nelle vicinanze.

Con la caduta dell’Impero Romano e la perdita d’importanza della sua rete viaria, insieme a un progressivo decadimento delle strutture di servizio, questo luogo si trasformò da villa-albergo in una mutatio, ossia una semplice stazione per il cambio dei cavalli, luogo dove si potevano anche comprare i servizi di carrettieri, maniscalchi e di medici equarii, cioè veterinari specializzati nella cura dei cavalli. Con l’arrivo dei Longobardi in quest’area ed a seguito del flusso di pellegrini diretti al Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo e in Terra Santa, è probabile che la stazione di posta bovinese sia servita anche da presidio per la loro difesa. Certo è che nel 1205 il vescovo di Bovino, Roberto, volle dotarla anche di un ospizio e di una chiesa intitolata appunto all’Arcangelo Michele.

A seguito dell’istituzione del servizio postale gestito dallo Stato, la Taverna del Ponte divenne una delle stazioni di posta più importanti del Regno di Napoli grazie ad ampliamenti che ne precedettero l’acquisto, nel 1564, da parte del duca Giovanni I Guevara per 38000 ducati. Assunta una grandiosa configurazione a pianta quadrata con ampio cortile interno, dell’antico impianto romano rimase però traccia eloquente nell’ala oggi chiamata ”la taverna”.  Nel ‘700 divenne sede dei Procacci di Foggia e Lecce (corrieri di merci varie), mentre nel 1806, sotto Giuseppe Bonaparte, diventò sede della Gendarmeria per difendere il servizio postale dai briganti che imperversavano nella zona. Con l’avvento dell’Unità d’Italia e l’entrata in funzione della linea ferroviaria Caserta-Foggia, la Taverna del Ponte cessò il suo servizio di sosta e smistamento postale per ospitare oltre alla Gendarmeria, anche un deposito per il carbone delle locomotive a vapore. Agli inizi del XX secolo funse da struttura al servizio dell’azienda agricola dei duchi de Guevara, e quindi adibita dai Monopoli di Stato a luogo di selezione del tabacco coltivato fra Puglia e Campania. Nel 1966 l’ultimo erede dei duchi Guevara la mise in vendita finendo così col confluire tra i beni della famiglia dell’attuale proprietaria che la utilizzò come granaio fino al 1983. Dopo un inesorabile declino, nel 2007 è stata restaurata e destinata ad attività di carattere culturale e sociale. A lasciare sbalorditi di questo luogo è non solo la sua storia bimillenaria, ma soprattutto un utilizzo che per secoli l’ha vista legata ai temi del viaggio e delle comunicazioni.

LA GRANDE FONTANA BORBONICA

Strettamente legata alla Taverna del Ponte è la sobria ma monumentale Fontana Borbonica, edificata nel 1734 in marmo di travertino per volere di Carlo III di Borbone; la sua funzione era correlata proprio alle attività di cambio dei cavalli della vicina stazione di posta, il cui ingresso principale dista solo pochi metri. Pregevolmente strutturata come un grande parallelepipedo, presenta alla base delle lunghe vasche destinate all’abbeveramento dei cavalli ed alimentate da cannelle ornate da mascheroni. Restaurata nel 1836, la fontana vantava un grande stemma dei Re delle Due Sicilie che purtroppo è stato trafugato da ignoti nel 2001.

L’ANTICO PONTE DI BOVINO

Per raggiungere la Stazione di Posta provenendo dal borgo di Bovino, occorre passare sulla sponda sinistra del torrente Cervaro e questo, da tempo immemorabile, avviene tramite un ponte, lo stesso che da’ il nome alla contrada ed anch’esso protagonista di una storia bimillenaria. In origine a consentire il varco del fiume fu infatti un ponte romano, successivamente in parte crollato a seguito del terremoto del 1627. Essendo quel ponte necessario a raccordare l’abitato di montagna con la strada regia che collegava Napoli alle Puglie (oggi Strada Statale 90), si pensò bene di ricostruirlo, cosa che avvenne nel 1630 per volere del Viceré di Napoli, don Inigo Velez de Guevara y Taxis. Questo ponte, come ricordava Giuseppe Ceva Grimaldi, primo ministro del Regno delle Due Sicilie sotto Ferdinando II di Borbone, nel suo Itinerario da Napoli a Lecce (1821), fu a lungo utilizzato come luogo di esposizione delle teste mozzate ai briganti della zona quale deterrente, non sempre efficace, verso nuovi malintenzionati.

IL MULINO AD ACQUA DEL PONTE

Sulla sponda destra del Cervaro ci ha infine colti di sorpresa un’altra preziosa testimonianza storica stavolta legata al mondo agro-alimentare e sociale di Bovino. Si tratta del cosiddetto Lo Moleno d’Acqua del Ponte, un mulino che fin dal ‘600 è in grado di sfruttare la corrente del torrente Cervaro, debitamente convogliata, per la macinazione del grano a scopo alimentare, sia umano sia animale, destinazione duplice che è testimoniata dalla presenza di due distinte macine. Ad accoglierci sul posto c’era il signor Luigi Grasso, da anni vivacissimo fautore del recupero dell’immobile legato al ricordo di un suo avo che lo comprò con i soldi guadagnati da emigrato negli Stati Uniti. Appartenuto in origine ai vescovi di Bovino come servizio della loro mensa, successivamente finì tra le proprietà di un notaio del paese da cui i Grasso lo acquistarono nel 1916.  Un passaggio che già sotto l’egida del notaio aveva favorito una democratica diffusione del grano lavorato presso un certo numero di famiglie, superando per sempre l’esclusivismo che lo aveva invece caratterizzato durante il possesso vescovile. In origine vi era infatti solo un mulino a mano, poi si impiantò una macina che serviva 4-5 famiglie, in seguito divenne un’attività commerciale.

Con il miglioramento di certi aspetti tecnici, come il peso stesso delle macine – se ne vede ad es. una oggi in disuso di 18 quintali acquistata in Francia e realizzata in quarzite lavorata a mano da scalpellini d’Oltralpe – si passò dall’uso dei grani teneri a quello del grano duro. Le ruote che garantiscono il movimento delle macine, sono collocate in appositi spazi sotto il mulino nei quali scorre rapidissima l’acqua del Cervaro che, convogliata preventivamente in apposite vasche, viene liberata al momento opportuno per essere infine reimmessa nel torrente. E’ ammirevole vedere oggi la straordinaria opera di ripristino del mulino con materiali, elementi e tecniche originali compiuta da Luigi Grasso pronto, su appuntamento, ad introdurre i visitatori nei segreti di questo luogo e delle tecniche di lavorazione delle antiche varietà di grano. In occasione della nostra visita Luigi ci ha illustrato l’uso degli attrezzi, il loro scopo ed il processo produttivo dei derivati del grano, sui quali ha argomentato, insieme a Michele Dedda sindaco di Bovino, anche il tecnico-commerciale Paolo Schiavone.

Promuovere questo luogo ed il suo completo recupero (sarebbero ancora tanti gli interventi da fare, soprattutto nel piano superiore dell’immobile, ma mancano i fondi) è diventata per Luigi Grasso, una sorta di missione, a scoraggiare la quale non è bastata neppure la recente alluvione che aveva ricoperto di fango parte della struttura. Il mulino sorge infatti su opere a difesa degli argini del fiume realizzate nel periodo di Ferdinando II di Borbone, le quali a loro volta necessiterebbero di lavori di manutenzione che però tardano a compiersi. Eppure il valore storico di questo luogo è sotto gli occhi di tutti, simbolo com’è dell’antica vocazione cerealicola di una provincia che oggi vanta circa 250 mila ettari coltivati a grano.

ALTRE SORPRESE A SPASSO PER IL VALLO DI BOVINO

Il torrente Cervaro non è solo la linea d’acqua che da sempre costeggia un buon tratto della via di transito fra Tirreno e Adriatico, ma anche un importante oasi ecologica che collega le paludi sipontine con i Monti Dauni e l’Irpinia. Citato anche nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio con il nome di Cerbalus, il Cervaro nasce dalle pendici del Monte Grossateglia nel territorio di Monteleone di Puglia, borgo dei Monti Dauni, e sfocia dopo circa 100 km nel mare Adriatico vicino Manfredonia. Fin dalla preistoria ha svolto la sua funzione di luogo di transito fra ovest ed est mentre oggi, soprattutto il suo alto e medio corso, è oggetto di interesse naturalistico per la presenza di ampie fasce di vegetazione ripariale dominata da pioppo bianco, salice, olmo campestre, frassino ossifillo. Ricca è anche l’avifauna, rappresentata soprattutto da aironi cenerini, garzette, folaghe e gallinelle d’acqua. Rara, ma certa, anche la presenza di gru. Nel tratto fra il territorio di Orsara e Bovino, lungo le pendici dei monti, il valore naturalistico è arricchito da altre importanti presenze faunistiche fra l’altro costituite da uccelli rapaci come il Nibbio reale e il Nibbio bruno e da mammiferi di primario valore ecologico come il lupo.

Accorpato alla Valle del Cervaro nella qualifica di Sito di Importanza Comunitaria (SIC) è poi il Bosco dell’Incoronata, ultimo lembo di foresta presente nel Tavoliere. Anche qui è presente una fauna formata da mammiferi, tra i quali si distingue il lupo per importanza, e da diverse specie di uccelli ed anfibi.

Nella vicina vallata del torrente Biletra, uno degli affluenti del Cervaro, troviamo infine – sempre in territorio di Bovino – la Grotta dei Porcili, un sito di notevole interesse speleologico e soprattutto storico. Questo gruppo di cavità non ha origine carsica ed  all’interno presenta evidenti opere di adattamento dovute ad intervento umano: muretti di rivestimento lungo le pareti, cortine divisorie che frazionano spazi più ampi, pilastri con funzione di sostegno e sfiatatoi nella volta,  sembrano suggerire un qualche preciso utilizzo di tali ambienti sotterranei di cui però al momento sfuggono una precisa datazione e la relativa funzione; non manca tuttavia chi li considera  un’opera cinquecentesca voluta dal Duca di Bovino, con probabile funzione di porcilaia, mentre le leggende locali – riferendosi al periodo del Brigantaggio – li ascrivono a rifugio di celebri briganti come Nicola Morra, Schiavone ed altri, che solevano nascondersi fra il Vallo di Bovino e i boschi di Valleverde. (Segue)

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