Approda a Napoli la più importante mostra mai realizzata sui Longobardi

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Longobardi. Un popolo che cambia la storia (Napoli, 21 dicembre 2017 – 25 marzo 2018)

di Redazione FdS

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Fibula a disco decorata a cloisonné in oro, granati e paste vitree – Torino, Musei Reali – Museo di Antichità

Dopo Pavia, tornata per alcuni mesi ad essere capitale del “Regnum Langobardorum”, dal 21 dicembre prossimo tocca a Napoli farsi portavoce del ruolo fondamentale del Meridione nell’epopea degli “uomini dalla lunghe barbe” e nella mediazione culturale tra Mediterraneo e nord Europa da essi svolta. Ciò avverrà grazie alla mostra “Longobardi. Un popolo che cambia la storia” , l’evento internazionale in programma presso il Museo Archeologico Nazionale fino al 25 marzo 2018, cioè fino alla partenza per la sua terza tappa: da aprile 2018 l’esposizione sarà infatti visitabile presso il Museo Statale dell’Ermitage, a San Pietroburgo. Organizzata da Villaggio Globale International,  è curata da Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi con Ermanno Arslan, Carlo Bertelli, Caterina Giostra, Saverio Lomartire e Fabio Pagano; la direzione scientifica è di Susanna Zatti, Paolo Giulierini e Yuri Piotrovsky. Il Catalogo è edito da Skira (528 p. – 45).

Una collaborazione internazionale a tre – Musei Civici di Pavia, Museo Archeologico Nazionale di Napoli e Museo Statale Ermitage – è alla base della realizzazione di una mostra che, per gli studi scientifici svolti, l’analisi del contesto storico italiano e più ampiamente mediterraneo ed europeo, per gli eccezionali materiali esposti, quasi totalmente inediti, e per le modalità espositive, si preannuncia “epocale”. Essa è il punto di arrivo di oltre 15 anni di nuove indagini archeologiche, epigrafiche e storico-politiche su siti e necropoli altomedievali, frutto del rinnovato interesse per un periodo cruciale della storia Italiana ed europea.

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Fibula a disco decorata a cloisonné in oro, granati e pietre alamandine – Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Museo Archeologico Nazionale

Con l’appoggio scientifico e la collaborazione fattiva del Mibact, la mostra si presenta come un vero evento già nei numeri:  oltre 300 le opere esposte; più di 80 i musei e gli enti prestatori; oltre 50 gli studiosi coinvolti nelle ricerche e nel catalogo edito da Skira; 32 i siti e i centri longobardi rappresentati in mostra; 58 i corredi funerari esposti integralmente; 17 i video originali e le installazioni multimediali (touchscreen, oleogrammi, ricostruzioni 3D, ecc.); centinaia i materiali dei depositi del MANN vagliati dall’Università Suor Orsola Benincasa, per individuare e studiare per la prima volta i manufatti d’epoca altomedievale conservati nel museo napoletano.

“È la prima volta – ha detto Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli – che il MANN decide di organizzare una mostra dedicata ad un periodo che segue la caduta dell’Impero Romano. Troppo forte è stato finora il fascino di Pompei ed Ercolano per osare approfondire temi di apparente rottura con la classicità. Ho quindi valutato l’opportunità di aprire a scenari più vasti la riflessione sull’Evo antico, tanto più che i Longobardi, in Campania, hanno lasciato un segno indelebile. Basta citare solo Capua e Benevento, le due più importanti capitali della Longobardia Minor, nonché l’interessante rapporto tra l’entroterra e la Napoli tradizionalmente bizantina. A una più attenta ricerca – ha aggiunto – i confini culturali si fanno più sfumati ma sopratutto emerge una straordinaria occasione di rilettura complessiva anche dei manufatti aurei, delle epigrafi, degli oggetti di età alto medievale che giacevano ab immemorabili nei nostri depositi.  La mostra – ha concluso – assume anche un significato profondo in un’ottica europea: alla base del ragionamento vige l’assunto di una Europa che fonda sì la sua storia su Roma, già caleidoscopio di popoli, ma che si arricchisce di componenti germaniche, scandinave ed altro, rendendo sterili tutte quelle correnti di populismo e di nazionalismo che oggi, ancora, purtroppo, funestano le nostre terre.”

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Pluteo con grifoni dell’Oratorio di S. Michele alla Pusterla, inizio VIII sec., Pavia, Museo Civico Malaspina

OBIETTIVI DELLA MOSTRA

La mostra consentirà di dare una visione complessiva e di ampio respiro (dalla metà del VI secolo, dalla presenza gotica in Italia, alla fine del I millennio) del ruolo, dell’identità, delle strategie, della cultura e dell’eredità del popolo longobardo che nel 568, guidato da Alboino, varca le Alpi Giulie e inizia la sua espansione sul suolo italiano: una terra divenuta crocevia strategico tra Occidente e Oriente, un tempo cuore dell’Impero Romano e ora sede della Cristianità, ponte tra Mediterraneo e Nord Europa.

Frutto di una “coproduzione” tra Pavia, già capitale del Regno longobardo, e Napoli, già città bizantina ma punto di riferimento economico e culturale del Ducato di Benevento, la mostra ricostruisce le grandi sfide economiche e sociali affrontate dai Longobardi e riflette sulle relazioni e sulle mediazioni culturali che dominarono quei secoli di guerre e scontri, alleanze strategiche e grandi personalità.

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Cofanetto reliquiario in osso – Susa, Museo Diocesano d’Arte Sacra – Sezione di Novalesa

Il Ducato di Benevento, rimasto in vita come stato indipendente sin oltre la metà dell’XI secolo, non solo conservò memoria e retaggio del Regno di Pavia, abbattuto da Carlo Magno nel 774, ma elaborò un proprio originale ruolo di cinghia di trasmissione fra le culture mediterranee e l’Europa occidentale. Parlarne oggi, in una fase di cambiamenti altrettanto marcati come quelli che si verificarono nell’Italia longobarda, significa sperimentare la possibilità di costruire una visione “dal Mediterraneo” all’intera Europa, e mostrare una prospettiva del nostro continente in cui i legami fra le aree transalpine e quelle meridionali appaiano assai più equilibrati e dialoganti di quanto molta storiografia non abbia da sempre teso a rappresentare. Il carattere internazionale dell’evento, è infatti un segnale concreto della consapevolezza che gli incroci di civiltà risultano sempre più evidenti e ineludibili.

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Corredo con guarnizioni di cintura in ferro ageminato con decoro a stuoia di tipo merovingio, Aosta

La mutazione storica prodotta dall’impatto della conquista longobarda ha rappresentato senza dubbiouno spartiacque drammatico nella storia d’Italia. Una cicatrice il cui ricordo ha echeggiato nei secoli, sino ai tempi del nostro Risorgimento, quando i Longobardi furono alternativamente evocati come i distruttori dell’unità italiana o come coloro che cercarono di ricostruirla su nuove basi, dopo il crollo dell’Impero. Oggi non percepiamo più quel passato come un’ombra incombente sul presente dell’Italia, ma ugualmente la riscoperta di quella complessa transizione (materiale, sociale, culturale, religiosa) che interessò il nostro Paese, con gli oggetti che la rappresentano e la ricordano, ci appare come un percorso denso di fascino e di interrogativi.

LA MOSTRA FRA NOVITA’ E CAPOLAVORI

Con questi obiettivi la mostra – che ha un corpus espositivo unitario per le tre sedi e alcune specifiche varianti legate alle peculiarità dei luoghi e alla necessità di alternare taluni oggetti – si sviluppa in otto sezioni: dal cupo contesto in cui s’innesta in Italia l’arrivo dei Longobardi ai modelli insediativi ed economici introdotti dalla loro presenza; dalle strutture del potere e della società nel periodo dell’apogeo alle testimonianze della Longobardia Meridonale tra Biziantini e Arabi, principati e nuovi monasteri. Un allestimento di grande fascino e di assoluta novità nel campo archeologico incrocerà creatività, design e multimedialità (la tecnologia più innovativa offrirà al pubblico una visita esperenziale e ricca di approfondimenti, con ricostruzioni di sepolture, videomapping della città e dei monumenti, postazioni interattive e immersive, sound design e i sistemi oleografici più avanzati).

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Fibbia in argento dorato, niellato e con almandini e vetri – Pavia, Musei Civici

Straordinaria è la testimonianza in mostra di numerose necropoli recentemente indagate con metodi multidisciplinari e mai presentate al pubblico, che consentono una ricostruzione estremamente avanzata della cultura, dei riti, dei sistemi sociali ma anche delle migrazioni delle genti longobarde, provate grazie a sofisticate e innovative analisi di laboratorio del DNA e sugli isotopi stabili (elementi in traccia nelle ossa, lasciate dall’acqua e dall’alimentazione) effettuate per esempio su ritrovamenti recenti in Ungheria. Si esporranno inoltre per la prima volta alcuni contesti goti con la sovrapposizione di gruppi longobardi come il nucleo di tombe di Collegno in provincia di Torino, ove sono stati ritrovati due individui, entrambi esposti, di cui un bambino di 7 anni, con la deformazione artificiale dei crani: una pratica di distinzione sociale diffusa tra gli Unni e i Germani dell’Europa centro-orientale.

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Da sin.: Fibula a S in argento dorato e pietre dure (Cividale del Friuli, Museo Archeologico Nazionale); Fibula a disco in oro (Napoli, Museo Archeologico Nazionale); Coppia di fibule longobarde (Milano, Civico Museo Archeologico)

Tra le più recenti scoperte, eccezionale, per le sue dimensioni, appare la necropoli cuneese, di Sant’Albano Stura – di cui si dà conto – dove sono state riportate in luce quasi 800 tombe quando nelle altre località si contano in genere tra le 100 e le 300 sepolture. I grandi sepolcreti in campo aperto testimoniano comunque la divisione in clan e lo stadio culturale e religioso dei Longobardi al loro arrivo in Italia, legato ancora a valori pagani e guerrieri come mostrano le armi, il sacrificio del cavallo, offerte alimentari e decori animalistici. Accanto agli scheletri di cavallo e di due cani da Povegliano Veronese, nella Longobardia Minor (Il ducato di Benevento), nelle necropoli di Campochiaro, numerosi cavalieri sono stati sepolti accanto al loro cavallo bardato (nella stessa fossa), a dimostrare quella composizione multietnica di cui parlano le fonti scritte, dotati com’erano di staffe e altri complementi rari per tipolgia in Italia, ma diffusi tra le culture nomadiche.

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Scheletri di un cavallo decapitato e di due cani – Povegliano Veronese, Museo Archeologico – Villa Balladoro

Tra le più ricche sepolture longobarde vi sono quelle femminili di Torino-Lingotto e Parma-Borgo della Posta con le magnifiche fibule decorate a filigrana o in cloisonné e il guerriero di Lucca-Santa Giulia evidenza di una società fortemente militarizzata (gli scudi circolari con umbone centrale, lo scramasax, la spada a due tagli, ecc.).

Tipici dell’artigianato germanico  e tra le più raffinate manifatture sono  i corni potori in vetro – rosa vinaccia da Cividale, e blu da Castel Trosino – con filamenti applicati a onde che imitano i corni animali e che l’aristocrazia usava per bere: prestigioso simbolo di status che rimanda alla convivialità e all’ostentazione sociale del banchetto.

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Corno potorio in vetro – Cividale del Friuli, Museo Archeologico Nazionale

Lo spaccato di un’economia frammentata e profondamente modificata rispetto all’Italia romana, in ragione anche dei mutamenti climatici, così come l’importanza raggiunta da diversi castelli e dalle città di riferimento dei ducati longobardi, sono ricordati in mostra grazie a oggetti di vario genere: da quelli d’uso comune – anfore, lucerne, pesi – alle monete coniate dai singoli ducati, affiancate a partire dal VII secolo da coniazioni nazionali, fino ad elementi architettonici che, insieme a un’approfondita rassegna di arredi liturgici, mostrano il diffondersi del cattolicesimo in continua alternanza alla fede ariana.

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Lastra con pavone in marmo bianco – Brescia, Museo di Santa Giulia

Tra i materiali esposti spiccano il Pluteo con croci da Castelseprio prestato dal Museo di Gallarate (VA), la Lastra di Ambone con pavone dal Monastero di San Salvatore a Brescia o quella, sempre con pavoni, da Santa Maria Etiopissa di Polegge (VI); o ancora l’iscrizione funebre di Raginthruda o il bellissimo Pluteo con agnello entrambi dai Musei Civici di Pavia, Capitale del regno. Dalla cultura animalistica germanica dei primi tempi, che prediligeva la raffigurazione di animali astratti e scomposti, riflesso di una visione formale istintiva e irrazionale, si passò gradualmente ad assumere nuovi contenuti cristiani, linguaggi formali e temi iconografici, recepiti sia dal mondo romano che da quello bizantino. E contò pure il fatto che dal 685 al 752 la sede papale fosse occupata da papi greci o siriaci.

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Pluteo marmoreo con agnello – Pavia, Musei Civici

Voci del passato longobardo giungono  anche dai manoscritti preziosi che  la mostra offre accanto alle epigrafi. In mostra da San Gallen (Svizzera) anche il più antico dei codici contenenti il famoso Editto di Rotari del 643. Il manoscritto fu probabilmente realizzato già nel VII secolo a Bobbio, che fungeva da cancelleria della reggia pavese. Nei monasteri di Montecassino e San Vincenzo al Volturno fu perfezionata  la scrittura cosiddetta beneventana  o longobarda, che fiorì in opposizione  alla scrittura rotonda dell’Europa carolingia. Monumento di questa cultura è il Codice delle Leggi Longobarde del 1005 – in prestito da Cava de’ Tirreni – contenente anche l’Origo gentis Langobardorum, con bellissime  miniature a tutta pagina in cui  è illustrata la saga del popolo longobardo.

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Orecchino aureo con decorazione a cloisonné e pendente cruciforme Napoli, Museo Archeologico Nazionale

La mostra si conclude con la grande fioritura della Longobardia Minor che prolunga – caduta Pavia ad opera di Carlo Magno – la presenza longobarda in ducati autonomi in Italia, fino all’XI secolo. Oltre agli importanti reperti da San  Vincenzo al Volturno sono numerose  le testimonianze del valore artistico  e della maturità espressiva raggiunta in questi secoli nel Sud Italia e delle contaminazioni culturali.  Il Disco aureo (Brattea) con Cristo e gli Angeli dal Museo Archeologico Nazionale Nazionale di Napoli è un esempio di altissimo livello dell’oreficeria napoletana di influsso bizantino (o d’importazione bizantina) presente nella città partenopea  agli esordi dell’età ducale. Così come rielabora in maniera originale repertori figurativi di tale ascendenza anche L’Arco di ciborio con bovino e leone dall’Antiquarium di Cimitile (NA), un esempio eccellente della scultura di arredo liturgico di età tardolongobarda, commissionato alla fine del IX secolo / inizi del X dal vescovo Leone III per la Chiesa  di San Felice.

IL SUD, LA TERRA  DEI PRINCIPATI: BENEVENTO, SALERNO E CAPUA

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Affresco frammentario raffigurante un giovane santo – Venafro, Polo Museale del Molise – Museo Archeologico Nazionale

La struttura della mostra (e del catalogo) concede molto spazio alla capitale Pavia e ai Longobardi nel Sud, elementi rimasti in posizione decisamente marginale nei precedenti eventi espositivi. Per quanto concerne in particolare il rapporto con il Sud, va detto che se è vero che il regno longobardo d’Italia fu un’entità politica nominalmente soggetta per intero all’autorità dei re di Pavia, è anche vero che le cose erano in realtà molto più complesse: alcuni territori mantennero infatti sempre una forte autonomia rispetto al potere centrale, e ciò valse soprattutto per quelli posti in posizione più periferica. Oltre che per i ducati del Friuli e di Spoleto, ciò fu vero in particolare per Benevento, i cui duchi agirono spesso come veri e propri sovrani del loro territorio, unendo le proprie sorti a quelle del regno solo in alcune occasioni, come ad esempio nell’unico caso in cui un loro duca, Grimoaldo, nel 662, divenne egli stesso re dei Longobardi.

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Orecchino in oro con pendente a goccia, VII secolo, oro, Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Ripetuti furono i tentativi dei re di Pavia di porre la città sotto il proprio controllo. Ma fu solo negli ultimi decenni  di vita del regno che sovrani come Astolfo e Desiderio riuscirono ad imporvi duchi di propria fiducia. L’ultimo di questi, Arechi II, era il genero di re Desiderio e giunse al potere nel 758, poco dopo che il suocero ebbe conquistata la corona. Fedele al proprio re, Arechi seppe però distinguerne il destino quando, nel 773, Carlo Magno entrò in Italia mettendo l’anno successivo fine al regno longobardo. Evitando di contrapporsi ai conquistatori, Arechi infatti salvò il trono e garantì a Benevento altri tre secoli di un’indipendenza sempre giocata in complesso equilibrio tra Bizantini, Franchi e Papato, successivamente, anche verso gli Arabi, quando questi entrarono prepotentemente sullo scenario politico dell’Italia meridionale.

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Anello in oro con castone a tamburo – Napoli, Museo Archeologico Nazionale

In questa fase, Benevento conobbe la stagione forse più felice della sua storia, con la costruzione di nuove mura, di un nuovo palazzo e di molti edifici religiosi, fra cui la celebre chiesa monastica di Santa Sofia fondata poco dopo la metà dell’VIII secolo dal principe Arechi II a servizio del monastero palatino femminile. Ed erano stati i Longobardi di Benevento intorno al 720 a promuovere la rinascita di Montecassino, in accordo con il papato, e a fondare alla fine del VII secolo il monastero di San Vincenzo al Volturno, di cui gli scavi archeologici hanno rivelato in questi anni la ricchezza. La decisione forse più gravida di conseguenze presa da Arechi durante i suoi trent’anni di dominio fu però quella di creare una seconda capitale, con lo scopo di assumere il ruolo di alter ego di Benevento e costituire un rifugio più sicuro nel caso di un’invasione franca. La scelta fu compiuta in favore di Salerno, circondata dai monti e affacciata sul mare, dove Arechi – proclamatosi nel frattempo principe dei Longobardi – fece edificare un palazzo nel cuore della città e una fortezza sul colle che la sovrasta.

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Brattea con Cristo tra gli angeli, VII secolooro – Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Ori di Senise

Nell’839, però, allo scoppiare di un conflitto fra due pretendenti al principato (Radelchi e Siconolfo) proprio Salerno fu scelta come capitale da uno di essi, venendo riconosciuta dieci anni dopo come sede di un nuovo stato autonomo, che da quel momento in poi avrebbe avuto vita separata da Benevento. Durante questa guerra si profilò anche l’autonomia di Capua. La capitale dell’antica Campania Felix, rifondata nell’856 sulle rive del Volturno, riuscì a guadagnarsi un proprio spazio politico indipendente e, nel 900, il proprio conte Atenolfo, arrivò ad impadronirsi anche di Benevento, acquisendo così il titolo di principe. Nel X secolo la città, porta e principale centro del Mezzogiorno, si sviluppò arricchendosi di edifici cresciuti intorno al palazzo dei principi e nei vari quartieri lungo il Volturno. Da allora e sino alla definitiva affermazione dei Normanni, nella seconda metà dell’XI secolo, la Longobardia meridionale avrebbe così avuto tre capitali. In questa fase “matura” della sua storia, Benevento assunse un ruolo sempre più marginale, mentre furono Capua e Salerno a prosperare, dando origine ad una stagione per molti aspetti luminosa di sviluppo artistico e culturale. Ancora oggi, Capua e Salerno – con i loro territori – sono fra le aree italiane più ricche di testimonianze di arte del periodo a cavallo del Mille, ponendo quindi le premesse per la grande fioritura artistica che interessò tutta la Campania al tempo dei Normanni.

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Edictum Rothari (codice membranaceo, Cod. Sang. 730) – San Gallen, Stiftsbibliothek

L’IMPORTANZA DEI LONGOBARDI

L’istituzione del sito seriale Unesco dellItalia Langobardorum (Cividale del Friuli, Brescia, Castelseprio-Tornba, Spoleto, Campello sul Clitunno, Benevento, Monte Sant’Angelo) ha in qualche misura “certificato” la rilevanza dell’eredità di epoca longobarda come tratto caratterizzante dell’identità storica italiana. La conquista longobarda ha infatti segnato: A) un cambiamento geopolitico epocale e non solo per l’Italia: a) dopo la fine dell’Impero d’Occidente, l’Italia era rimasta, sotto il dominio dei Goti, il cuore economico, culturale e religioso dell’Europa grazie alla sua tradizione e alla posizione in rapporto all’impero d’Oriente; b) la conquista fa fallire il sogno di Giustiniano della riconquista del Mediterraneo occidentale: l’Italia perde la sua unità e, nelle regioni conquistate dai Longobardi, si frammenta in tanti ducati dalla forte autonomia; c) in Europa conseguentemente emerge un ruolo egemone dei Franchi che ne sposta il baricentro dal Mediterraneo al Reno. B) la sostituzione della classe dirigente romana che i goti avevano cercato di coinvolgere nella gestione del potere, producendo sconvolgimenti sociali irreversibili nella società italiana. C) un insediamento dei conquistatori caratterizzato da una marcata identità: nella gerarchia sociale (di liberi, aldii e servi), nelle sepolture, nei nomi dei luoghi, nella legislazione e nelle istituzioni, che ha marcato una rimodellazione profonda dell’uso del territorio.

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Frammento di lesena in laterizio decorato a stampo – Brescia, Museo di Santa Giulia

Museo Archeologico Nazionale, Napoli
Piazza Museo 19
Info e prenotazioni: +39 081 4422 149- www.museoarcheologiconapoli.it
Date 15 dicembre 2017 –  25 marzo 2018
Orari Aperto tutti i giorni (tranne il martedì) ore 09.00 – 19.30
Le operazioni di chiusura iniziano alle 19.00
Chiusure festive: 1 gennaio, 25 dicembre
Biglietti | intero: € 12.00 — ridotto: € 6.00 — ingresso serale: € 2.00 — gratuito per i minori di 18 anni — gratuito per tutti la prima domenica di ogni mese. Per ulteriori agevolazioni e riduzioni visita la pagina agevolazioni del sito Mibact

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