Amendolara: sui resti di un insediamento arcaico nascerà un grande parco archeologico

Il mare di Amendolara visto dalle colline prospicienti - Image courtesy © Lello Vigilanti

Il mare di Amendolara visto dalle colline prospicienti – Image courtesy of Lello Vigilanti ©

di Redazione FdS

Parlare dell’Alto Jonio cosentino significa accendere i riflettori su un territorio che fin dalla più remota antichità è stato uno straordinario crocevia della Storia. Eppure l’affascinante susseguirsi di popoli e culture – le cui tracce sono ancora là, in parte riemerse ma misconosciute e in parte ancora sepolte – è rimasto finora per lo più un patrimonio per addetti ai lavori, la cui narrazione scorre lungo pagine austere e tecniche di pubblicazioni che difficilmente raggiungono il grande pubblico. Eppure basterebbe un nome – quello della celebre città magno-greca di Sibari, oltre due millenni e mezzo fa signora assoluta di queste contrade già abitate dagli Enotri e frequentate dai mercanti Micenei – per dare l’abbrivio a una pioggia di suggestioni mitico-storico-archeologiche che, insieme a un paesaggio di luminosa bellezza fatto di mare, montagne e fiumare, sono l’affascinante anima del luogo e il segreto del suo potere seduttivo. Invece, dalla riscoperta del sito di Sibari (i primi scavi sistematici risalgono al 1967) in poi, i significativi resti che, sia pur in minima percentuale, sono stati finora portati alla luce, hanno ”dialogato” poco, anzi pochissimo, con la gente. E ciò per vari motivi, primi fra tutti una atavica scarsità di fondi e una patologica inerzia e mancanza di visione in molti di coloro che hanno amministrato il territorio. Il fenomeno purtroppo non ha riguardato solo la Sibaritide: in realtà è come se la Calabria intera, dal ruolo di madre arcaica in pectore dell’archeologia italiana, sia stata relegata al ruolo di ancella povera e menomata di un settore che comunque non gode di buona salute neppure nel resto d’Italia; il che è un paradosso in un Paese che ambirebbe a vivere di cultura e turismo. Ecco perché, con non poca sorpresa, è giunta notizia negli ultimi giorni della decisione, presa dal comune di Amendolara (circa 2800 abitanti), di scommettere sulla propria storia. Lo farà sotto l’egida della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Calabria in quanto l’iniziativa riguarda la realizzazione, in località San Nicola, di un grande parco archeologico su un’area di oltre 20 ettari, con l’obiettivo di farne un vero e proprio laboratorio di archeologia a cielo aperto.
 

Colline di Amendolara - Image courtesy © Lello Vigilanti

Colline di Amendolara – Image courtesy © Lello Vigilanti

Durante un recente vertice in municipio i funzionari della Soprintendenza Francesca Spadolini, Carmelo Colelli e Damiano Pisarra, hanno incontrato l’esecutivo comunale per avviare una collaborazione utile a valorizzare l’importante patrimonio culturale costituito da un insediamento arcaico posto a metà strada tra le antiche città di Sybaris e Siris (il sito di quest’ultima si trova in Lucania nei pressi dell’attuale Nova Siri). L’area interessata era un tempo di proprietà privata, ma è stata da poco acquisita dal Ministero della Cultura proprio in considerazione del suo interesse archeologico. Il luogo, frequentato in età protostorica e greca, si trova a circa un chilometro a nord del Rione Vecchio, cuore dell’attuale borgo di Amendolara, ed è situato su un ampio terrazzo a poco meno di 200 metri s.l.m., in un’area ricca d’acqua a circa 2 km dalla costa jonica. Accessibile dall’entroterra collinare tramite uno stretto crinale fra due valloni, il sito è circondato su tre lati da pendii scoscesi e tagli verticali che anticamente offrivano una qualche difesa naturale. Tra ulivi, terreni incolti e un piccolo vigneto, ha restituito i primi reperti a partire dagli anni ’50, quando Vincenzo Laviola – medico condotto, storico locale e, successivamente, Ispettore Onorario per conto della Soprintendenza alle Antichità – segnalò alle istituzioni e alla comunità scientifica il sito dal quale erano emersi soprattutto reperti metallici e frammenti ceramici del periodo protostorico (XII-VIII sec. a.C.).
 

Ceramica di fabbricazione enotria - Museo Archeologico Nazionale di Amendolara

Ceramica di fabbricazione enotria, VIII sec. a.C. – Museo Archeologico Nazionale di Amendolara (Cs)

Le prime indagini sistematiche furono condotte dall’archeologa francese Juliette de La Genière, che ha portato alla luce le aree sepolcrali delle località Paladino e Mangosa e l’annesso abitato arcaico di S. Nicola, consentendo così di apporre nel 1972 un vincolo archeologico all’area. L’interruzione degli scavi nel 1973 non impedì il recupero, fino al 1978, di numerosi altri reperti databili fra l’età del Ferro e il VI-V sec. a.C. Insieme ad altro materiale proveniente dai dintorni, i reperti di contrada San Nicola confluirono quindi nel Museo Archeologico Nazionale “Vincenzo Laviola” di Amendolara, inaugurato nel 1996. Come testimoniato dal percorso espositivo, varie furono le fasi di frequentazione del sito, fra i più importanti e significativi dell’Alto Ionio: alla civiltà indigena dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro è succeduta, senza laceranti fratture, quella di matrice greca sulla scia dei flussi migratori che portarono alla nascita delle colonie magno-greche in gran parte del sud Italia. Sebbene sulla base di ritrovamenti sporadici anziché di regolari indagini archeologiche, il museo documenta infine anche le successive fasi di vita del sito fino alle epoche più recenti. Dopo la musealizzazione dei reperti recuperati nell’arco di circa mezzo secolo (frammenti ceramici di matrice enotria così come di tipo greco coloniale, pesi da telaio, ornamenti in bronzo, punte di lancia, scarabei di tradizione orientale, ecc.), tra il 2001 e il 2005 il pianoro di San Nicola è stato incluso in un programma di ricognizioni condotte nel territorio comunale sotto la direzione scientifica di Paolo Carafa, mentre nel 2017 – a seguito  di abbondanti precipitazioni che hanno reso necessario un intervento urgente lungo l’unica via di accesso al sito – una nuova indagine, condotta da Giuseppe Roma, ha consentito di individuare i resti di una fornace sommatisi a quelli di altre due rinvenuti in precedenza.
 

Il mar Jonio visto dalle colline di Amendolara - Image courtesy © Lello Vigilanti

Il mar Jonio visto dalle colline di Amendolara – Image courtesy © Lello Vigilanti

Considerato uno dei maggiori insediamenti indigeni fra le decine che, tra età del Bronzo ed epoca romana, costellarono il fertile territorio di Sibari, l’insediamento di San Nicola ad Amendolara (VIII-VI sec. a.C.) è ritenuto frutto dello spostamento – avvenuto in concomitanza con l’affermarsi dell’influenza greca sull’area – di un originario insediamento enotrio dell’età del Ferro ubicato in località Rione Vecchio-Agliastroso. La maggior parte delle testimonianze archeologiche emerse dagli scavi è riferibile al VI sec. a.C. (molte di meno sono ad oggi quelle riconducibili all’abitato del VII secolo a.C., mentre per l’VIII secolo i reperti provengono per lo più dalle necropoli). Al VI secolo risalgono in particolare i resti di 23 edifici a pianta rettangolare, intervallati da assi viari che si incrociano ad angolo retto definendo un abitato regolare; di tali edifici purtroppo non restano tracce dell’elevato ma solo le fondazioni, forse a causa delle frequenti arature subite dal terreno. L’esistenza di una cinta muraria a scopo difensivo sarebbe invece cautamente deducibile da alcuni blocchi rinvenuti a metà degli anni ’90, così come da grossi elementi litici, talora squadrati, trovati allineati soprattutto lungo il margine nord-orientale del sito fra il 2018 e il 2019.
 

Ceramiche enotrie, corredo funerario - Museo Archeologico Nazionale di Amendolara (Cs)

Vasellame funerario – Museo Archeologico Nazionale di Amendolara (Cs)

Si suppone che il modello abitativo del luogo fosse quello di gruppi familiari di uno stesso livello sociale dediti ad attività produttive tra le quali grande importanza dovettero avere sia la produzione ceramica, testimoniata dalle fornaci ritrovate, sia la lavorazione della lana e di altre fibre tessili, espressione di una vocazione naturale della zona e forse non limitata all’uso familiare, come sembra suggerire il rinvenimento di una grande quantità di pesi da telaio (oltre mille), alcuni dei quali recano incisi dei nomi (antroponimi femminili scritti in caratteri achei), segno dell’acquisito uso della scrittura, dell’alfabeto e della lingua di Sibari. E se nell’ascesa dell’impero sibarita gli insediamenti come quello di San Nicola ebbero occasione di prosperare – anche se al probabile prezzo della sottomissione – in molti ne seguirono il tracollo dovuto alla guerra con Crotone del 510 a.C.: non a caso per il sito di Amendolara le ricerche ne riconducono l’abbandono, o almeno un suo netto ridimensionamento, proprio all’indomani della caduta di Sibari, città che – come racconta Strabone nella sua Geografia – al momento del suo apogeo esercitava il controllo “su quattro popoli e venticinque città”.
 

Statere incuso di Sibari, argento - Museo Nazionale della Sibaritide

Statere incuso di Sibari, argento – Museo Nazionale della Sibaritide

Dei legami tra Sibari e l’insediamento di Amendolara ci parla anche il ritrovamento di un tesoretto di monete d’argento composto da 25 stateri sibariti incusi con l’emblema del toro retrospiciente, nascosti insieme a 8 stateri della vicina Metaponto con la spiga di grano e altre monete di taglio diverso con gli stessi emblemi delle due città, più uno statere da Crotone con l’immagine del tripode. Il seppellimento delle monete, verosimilmente avvenuto nella vana speranza di un successivo recupero, avrebbe avuto luogo secondo gli studiosi proprio in concomitanza con l’abbandono del centro abitato.
 

Litorale di Torre Spaccata, Amendolara (Cs) - Ph. © Stefano Contin

Litorale di Torre Spaccata, Amendolara (Cs) – Ph. © Stefano Contin

Del nucleo abitativo che sorgeva in località San Nicola non ci è purtroppo dato conoscere ad oggi l’antico nome: più volte è stata proposta l’identificazione con Lagaria, la città che il mito vuole fondata da Epeo, costruttore del cavallo di Troia, ma questa correlazione – peraltro contesa con la poco distante Francavilla Marittima e il suo sito Timpone della Motta – non risulta avvalorata da prove materiali. Nell’attesa di nuove scoperte che diradino il mistero di questo luogo, la rinnovata attenzione verso la ricerca archeologica sul colle di San Nicola aggiunge un ulteriore elemento al piccolo ma prezioso scrigno di risorse che Amendolara è in grado di offrire al visitatore e che oltre al bellissimo tratto di costa, alle chiese e agli antichi palazzi del centro storico, include la piccola Cappella bizantina dei Greci, l’oasi marina della Secca, la Stazione Zoologica Anton Dohrn,  e la tradizionale coltivazione di mandorle dalle caratteristiche estetiche e nutrizionali uniche al mondo.

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Il Museo Archeologico Nazionale di Amendolara si trova in P.zza Giovanni XXIII ed è aperto da Martedì a Venerdì dalle 8.00 alle 17.00, il Sabato dalle 10.00 alle 19.00, e la Domenica dalle 14.00 alle 20.00. Dispone di due informatori multimediali multilingue, con filmati, commenti e testi, che consentono di ripercorrere le tappe del popolamento del territorio di Amendolara dalla preistoria ad oggi (fonte: Ministero della Cultura – Direzione generale Musei).
Ingresso gratuito
Lunedì chiuso
Info:
Tel: +39 0981 911329

Fonti bibliografiche:

Carmelo Colelli, San Nicola di Amendolara, un abitato arcaico fra Sybaris e Siris, in Bollettino di Archeologia,  Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, IX, 2018/4
Fabrizio Mollo, Guida Archeologica della Calabria antica, Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 2018, pp. 750

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