Ritrovate in Indonesia, su una conchiglia, le più antiche incisioni simboliche tracciate dall’uomo. Hanno 500 mila anni

La conchiglia incisa ritrovata a Giava, in Indonesia - Image source: Nature

La conchiglia di Pseudodon incisa ritrovata a Giava, in Indonesia – Image source: Nature International Weekly Journal of Science  (Stephen Munro, Josephine C. A. Joordens et al.)

di Redazione FdS

Più di un secolo fa il paleo-antropologo olandese olandese ottocentesco Eugène Dubois scoprì nel sito di Trinil, sull’isola di Giava, in Indonesia, le ossa – circondate da resti di animali e da conchiglie – di un ominide più evoluto dell’Australopitecus e lo classificò come Pithecanthropus erectus, in quanto dotato di caratteristiche intermedie tra la scimmia e l’uomo; classificazione successivamente mutata in quella di Homo erectus. Datate fra il milione e i 700.000 anni fa, quelle ossa trovarono successivi riscontri in fossili di Homo erectus rinvenuti anche in Africa ed in Asia; conferme che portarono a considerare quell’ominide come un antenato diretto della nostra specie. Oggi Giava e l’Homo erectus tornano a far parlare di sè a seguito della recente pubblicazione sulla prestigiosa rivista Nature di un articolo firmato da Josephine C. A. Joordens, dell’università di Leiden, in Olanda, e da altri studiosi internazionali, secondo il quale l’Homo erectus avrebbe utilizzato i gusci di conchiglie per realizzare strumenti e anche per imprimervi decorazioni con incisioni geometriche. Dopo circa mezzo milione di anni, quelle conchiglie risultano essere il primo utilizzo di conchiglie a scopo strumentale e soprattutto la prima espressione di segni decorativi capaci di dimostrare la presenza di una elevata capacità cognitiva nell’uomo di Giava.

“L’origine di queste capacità cognitive e di queste abilità” – ha dichiarato Josephine Joordens, archeologa e biologa dell’Università di Leida e coautrice dello studio pubblicato su Nature“va collocata molto più indietro nel tempo di quanto pensassimo”.

Conchiglia di Pseudodon da Giava con incisioni geometriche - Ph. Wim Lustenhouwer, VU University Amsterdam

Conchiglia di Pseudodon da Giava con incisioni geometriche – Ph. Wim Lustenhouwer, VU University Amsterdam

Aver creato dei motivi geometrici – una serie di linee incise a zig zag con uno strumento appuntito – testimonia infatti un livello di creatività nell’Homo erectus insospettato prima del ritrovamento di tali conchiglie. La scoperta porta dunque a riconsiderare le capacità dell’Homo erectus e a rivalutare lo sviluppo del comportamento simbolico della nostra specie. Accurate analisi di laboratorio svolte sui sedimenti rimasti nelle incisioni, hanno permesso di assegnare ad esse un’età di circa 500 mila anni, escludendo così il coinvolgimento dell’Homo Sapiens. Lo studio ha inoltre permesso di identificare altri interventi compiuti sulle conchiglie al fine di trasformarle in attrezzi da taglio. Questo dato risulta coerente con l’utilizzazione da parte dell’Homo erectus, nella stessa epoca, della tecnica pietra scheggiata.A Giava l’Homo erectus ha continuato a vivere fino circa 200.000 anni fa ed è altamente probabile che le espressioni simboliche riscontrate sulle conchiglie abbiano costituito un tratto caratteristico della sua cultura.

La conchiglia incisa era già presente nel deposito di fossili portato alla luce nel 1891 da Eugène Dubois che, come accennato prima, scoprì i primi esemplari di Homo erectus. A individuare e studiare però le incisioni presenti sul guscio sono stati Joordens e Steven Munro, sette anni fa, e dopo uno studio lungo ed approfondito si è finalmente giunti alla datazione fra i 430 mila e i 540 mila anni fa. Su altre conchiglie gli studiosi hanno riscontrato anche dei buchi realizzati sempre dall’Homo erectus con l’aiuto di utensili. Su alcuni fossili rinvenuti da Dubois sono infatti presenti dei piccoli fori ottenuti con uno strumento appuntito, probabilmente lo stesso utilizzato per incidere il motivo a zig zag emerso dopo una analisi più approfondita.

L’esame al microscopio ha permesso di rilevare che ogni linea obliqua è lunga circa un centimetro e che fra l’una e l’altra non ci sono spazi: un dato che sembra testimoniare l’applicazione di una particolare attenzione nel compiere tale operazione. E’ difficile dire se il disegno impresso sul guscio di conchiglia possa definirsi una forma d’arte, non conoscendosi lo scopo per cui fu realizzato, ma è certo che fu eseguito in modo intenzionale. Una importantissima constatazione, questa, che ribalta la concezione finora dominante circa il ruolo dei Sapiens nella comparsa del pensiero astratto all’origine delle espressioni figurative, che sarebbe pertanto da ricondurre già ai loro predecessori.

Questa scoperta spinge infatti a rivedere le teorie sull’evoluzione cognitiva dell’uomo che finora assegnavano il primato agli uomini vissuti fra i 100 e i 200 mila anni fa, e se è vero che solo millenni dopo comparvero i primi dipinti murali e le prime sculture, espressioni più mature delle capacità cognitive umane, l’aver ora scoperto che un Homo erectus era già capace di realizzare incisioni creative certamente  rimetterebbe in discussione molte cose, soprattutto – spiega la Joordens –  l’idea che il comportamento umano moderno sia emerso repentinamente, “come una scintilla” mentre “a quanto pare, qualcosa di simile esisteva già molto tempo prima”.

Il dibattito aperto da questa scoperta promette di essere lungo, tenuto conto che gli stessi studiosi autori della pubblicazione scientifica preferiscono essere cauti nel parlare di “arte” e “ragionamento simbolico”, titubanza che non sussisterebbe se il ritrovamento fosse stato fatto tra fossili di Homo sapiens di 100 mila anni fa; caso nel quale non si avrebbero infatti remore a parlare con certezza di arte simbolica primitiva. Comunque non è escluso che nuovi indizi futuri possano giungere a corroborare quanto questa conchiglia sembra raccontarci dei nostri più antichi progenitori. E affinchè ciò possa accadere, Joordens e gli altri ricercatori sono tornati a studiare i reperti già disponibili del sito indonesiano, senza peraltro rinunciare alla possibilità di nuovi scavi in grado, forse, di riservare ulteriori sosprese.

 

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