Pallagrello: alla Reggia di Caserta ritorna il vino dei Borboni

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Casina dei Borboni nella Reale Tenuta di San Silvestro, Caserta - Ph. Gianmaria95 | ccby-sa3.0

Casino borbonico della Reale Tenuta di San Silvestro, Caserta – Ph. Gianmaria95 | ccby-sa3.0

Lanciato alla Reggia di Caserta il progetto di recupero della storica Vigna di S. Silvestro. Protagonista il Pallagrello, un vitigno autoctono riscoperto in tempi recenti

di Kasia Burney Gargiulo

Luigi Vanvitelli, architetto della Reggia di Caserta, in un ritratto di Giacinto Diano, XVIII sec.

Giacinto Diano, Ritratto di Luigi Vanvitelli, architetto della Reggia di Caserta, XVIII sec., Palazzo Reale

Gli splendori architettonici e artistici della Reggia di Caserta sono solo la punta di diamante di una più complessa organizzazione del territorio messa in atto dai Borboni nel XVIII secolo nella città campana e nei suoi dintorni, comprensiva anche di attività agrarie, come la produzione vitivinicola, e industriali, come il celebre setificio di San Leucio. Nel corso dei secoli di questo assetto del territorio tanta parte ha subito – e non sempre a ragion veduta – profonde e talora irreversibili trasformazioni, mentre il resto è caduto preda dell’abbandono e dell’oblio.

In una fase come quella attuale, di grande impegno per una radicale riqualificazione della Reggia di Caserta – patrimonio UNESCO insieme al suo Parco, all’Acquedotto Carolino e al Complesso di San Leucio -, è giunto nei giorni scorsi l’annuncio di Mario Felicori, direttore della Reggia, del progettato recupero dell’antica vigna di San Silvestro, luogo dove fu catalogato per la prima volta il vitigno autoctono pallagrello (o pallarello), nero e bianco, un tempo chiamato Piedimonte ed oggi incluso nel disciplinare Igp “Terre del Volturno”. “Avremo il pallagrello della Reggia – ha detto Felicori -. Al centro del Bosco di San Silvestro, sopra il parco, c’è un’area di un paio di ettari dove i Borbone avevano una vigna. Lunedì pubblichiamo l’avviso per sapere chi è interessato a ripiantarla e a produrre i vini originari”.

Grappoli di uva pallagrello nero

Grappoli di uva pallagrello nero
| Ph. Sclavia

La sovrintendenza speciale di Palazzo Reale ha infatti deciso di pubblicare una manifestazione d’interesse per la rinascita del sito storico. L’iniziativa è rivolta agli imprenditori, per i quali è prevista una concessione di 15 anni a fronte di un canone di 2mila euro l’anno più alcune royalty sulle future vendite del vino, da versarsi alle casse della Reggia. L’impegno è quello di impiantare solo uve pallagrello, per la produzione di un vino che si chiamerà Reggia di Caserta. Va dunque sempre più rafforzandosi il legame fra il monumento, la sua storia e il tessuto socio-economico in cui è inserito, e ciò in coerenza con l’obiettivo di Felicori di porre la Reggia sempre più al centro della vita culturale ed economica locale. Fra i primi ad esprimersi sull’iniziativa è stato Pietro Mastroberardino, viticoltore per storica tradizione familiare, che ha ritenuto il progetto interessante se realizzato sulla base di approfondite indagini storiche e botaniche. L’imprenditore irpino del resto non è nuovo ad operazioni che legano il vino alla grande storia della Campania come il recupero dal 1996 della viticoltura nell’area archeologica di Pompei, progetto da cui è nato il rosso Igp Villa dei Misteri, così come suo è anche il progetto “Vino della dieta mediterranea” legato a Pollica, luogo storico di riferimento per gli studi su questo regime alimentare. Se il progetto casertano troverà rapidi riscontri positivi, si prevede che entro 5-6 anni dal reimpianto della vigna, si potrà bere il primo bicchiere di pallagrello “Reggia di Caserta”.

LA REALE TENUTA DI SAN SILVESTRO

J. P. Hackert, Mietitura a San Leucio, 1782, Palazzo Reale di Caserta, Studiolo di Ferdinando IV

J. P. Hackert, Scene di vita agreste nei siti reali di Caserta, 1782, Palazzo Reale di Caserta, Studiolo di Ferdinando IV

La Reale Tenuta di San Silvestro, ubicata nei pressi del complesso monumentale vanvitelliano, sulle colline di Montemaiulo e Montebriano, faceva parte con San Leucio, il Parco Reale ed il Giardino Inglese, delle Reali Delizie pertinenti alla Reggia di Caserta. Dal ’93 è un’area naturale protetta di 76 ettari, sede dell’Oasi WWF Bosco di San Silvestro. Dotata di una forma scenografica ad anfiteatro, è attigua alla Grande Cascata le cui acque alimentano le splendide fontane del parco vanvitelliano della Reggia. L’area era destinata non solo alle attività venatorie del sovrano ma anche alla coltivazione di vigneti, uliveti, frutteti, orti e giardini, oltre che all’allevamento di ovini e alla produzione di formaggi pregiati. Alla produzione di uva da vino, la Vigna di San Silvestro contribuiva con un appezzamento rettangolare di circa 8 ettari (oggi ridotti a due per via della naturale espansione del bosco) nel quale – in quadranti separati – erano stati messi a dimora diversi vitigni del Regno delle Due Sicilie fra i quali, unico campano, il pallagrello. Nei dintorni vi erano poi altri vigneti fra cui la celebre Vigna del Ventaglio, situata fra Monte San Silvestro e il Belvedere di San Leucio e nota per la sua conformazione a raggiera oltre che per la divisione in 10 settori, in ciascuno dei quali, contrassegnato da un cippo in pietra, si coltivava un vitigno fra quelli più pregiati del regno dei Borbone, compreso il piedimonte (o pallagrello). Sarebbe auspicabile che anche quest’ultima vigna, oggi ridotta a un terreno completamente spoglio, tornasse a nuova vita,  traducendo il recupero dell’antico paesaggio agrario in un valore culturale, turistico ed economico.

Scorcio dell'Oasi di San Silvestro innevata - Ph. Ermanno Marino | ccby-sa3.0

Scorcio dell’Oasi di San Silvestro innevata – Ph. Ermanno Marino | ccby-sa3.0

All’interno della tenuta, storicamente circondata da un muro perimetrale ancora parzialmente visibile, a fine ‘700 venne inoltre costruito il Real Casino di S. Silvestro come luogo di soggiorno del Re durante le sue battute di caccia nei boschi e come struttura legata alle attività agricole della tenuta. L’edificio, sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale che lo vide occupato dalle truppe alleate, ha subito nel corso degli ultimi decenni – nonostante il passaggio nel patrimonio culturale statale – una serie di atti vandalici oltre alla sparizione di statue e marmi intarsiati. Non dissimile è stato il destino dell’area verde che, prima dell’istituzione dell’oasi del WWF, fu spesso usata come spazio per lo sversamento abusivo di rifiuti oltre che frequentata da bracconieri, con danni per la sua ricca biodiversità mediterranea. L’incremento inoltre dell’urbanizzazione circostante ha contribuito all’ulteriore degrado di una zona un tempo famosa per lo splendore naturalistico e per la straordinaria cura ad essa riservata durante il Regno. L’oasi del WWF è riuscita a cambiare il destino di questo luogo oggi riconosciuto come S.I.C. (Sito di Interesse Comunitario) ed inserito nel patrimonio UNESCO. Gli ulteriori odierni tentativi di recuperare – nei limiti del possibile – altri aspetti del suo antico splendore, non possono quindi che essere salutati con entusiasmo. Il nuovo progetto relativo al reimpianto della Vigna di San Silvestro fa infatti seguito al recente recupero del frutteto borbonico con il ripristino delle antiche essenze, fra cui agrumi, albicocchi, fichi, meli, i cui frutti nel ‘700 finivano sulla mensa del Sovrano.

La Grande Cascata del parco della Reggia di Caserta - Ph. TheReflexMan | ccby-nd2.0

La Grande Cascata del parco della Reggia di Caserta – Ph. TheReflexMan | ccby-nd2.0

PALLAGRELLO: UN VINO DA RE

“I vini di questa contrada sono eccellenti così bianchi come rossi, e sono de’ migliori del Regno così per loro qualità, e natura, come per la grata sensazione che risvegliano nel palato. Vanno sotto il nome di Pallarelli, e sono stimatissimi ne’ pranzi”. Così si legge in un dizionario geografico del 1759 che celebrava i fasti del pallagrello, vitigno autoctono del casertano a bacca bianca e nera, detto anche pallarello per via della forma perfettamente sferica degli acini. Di probabile origine greca, esso è coltivato da secoli in un’area che comprende fra gli altri i comuni di Caiazzo e Piedimonte Matese (località da cui il vitigno derivava l’altro suo nome di piedimonte rosso e bianco), ma alcuni storici della vitivinicoltura parlano di un’antica diffusione del pallagrello nero anche nel resto della Campania, così come nei pressi della cittadina molisana di Venafro e, se pur raramente, in Calabria.

Nel XVIII secolo il vitigno finì nelle grazie della famiglia reale borbonica che usava offrirne in dono il vino agli ospiti prestigiosi e farne sfoggio sulle tavole delle grandi occasioni accanto ai più rinomati vini francesi. Il re Ferdinando IV era così geloso dei suoi 28 moggi di vigna a pallagrello a Piedimonte Matese da imporre il divieto assoluto di attraversamento ai non autorizzati. Le epidemie di fillossera agli inizi del Novecento e la seconda guerra mondiale decretarono l’inesorabile declino del vitigno, a cui contribuì anche la tendenza a confondere il pallagrello bianco con il Coda di volpe e quello nero con l’Aglianico, con la conseguenza di sfuggire al Registro Nazionale delle uve da vino oltre che al disciplinare igt Terre del Volturno. Asssenza a cui si è posto riparo nel 2004, dopo che già dalla fine degli anni ’90 la passione di un gruppo di professionisti, l’avvocato Peppe Mancini, la giornalista Manuela Piancastelli e l’enologo Luigi Moio, ha favorito la riscoperta del vitigno pallagrello ormai coltivato da numerose aziende, ad altitudini fra i 200 e i 350 metri, tra i massicci montuosi del Taburno e del Matese. In entrambe le versioni del vitigno, i grappoli sono cilindrici (quello del palagrello bianco è anche alato) e di piccole dimensioni, così come gli acini, di colore blu-nero nel pallagrello nero e giallo-verde in quello bianco. Il primo, maturo a metà ottobre, dà un vino d’elevata gradazione alcolica, ricco di colore e di sentori fruttati e speziati, mentre il secondo, maturo verso metà settembre, offre un vino prodigo di sentori di mela, ananas e vaniglia, anch’esso piuttosto alcolico. L’elevato livello qualitativo di entrambi può farli considerare senza dubbio all’altezza della loro storica fama.

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Prospetto posteriore della Reggia di Caserta – Photo by Rocpoc | CC BY 2.0

Prospetto posteriore della Reggia di Caserta – Photo by Rocpoc | ccby2.0

Per info e visite all’Oasi WWF Bosco di S. Silvestro si segnalano i seguenti recapiti: via Castelmorrone, 1 Bis – S. Leucio (CE); La Ghiandaia, società che gestisce l’oasi: tel. 0823/361300 – 329/1003808 – 347/7974488; Email: boscosansilvestro@wwf.it

Riferimenti bibliografici:
– Dizionario Geografico ovvero descrizione di tutti i Regni, Provincie, Città, Patriarcati.., 1759, Benedetto Gessari, Napoli
– Fabio Giavedoni, Maurizio Gily (a cura di), Guida ai vitigni d’Italia. Storia e caratteristiche di 700 varietà autoctone, Bra (CN), Slow Food Editore, 2016, 688 p.
– Ferdinando Patturelli, Caserta e San Leucio descritti dall’architetto Ferdinando Patturelli, 1826, Stamperia Reale, Napoli
– Anna Russo, Il Pallagrello, eccellente e versatile vino regale, in Il Sommelier, 2005
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