L’intima e struggente voce della memoria nell’ultimo concerto in programma al Bari International Music Festival

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Puglia – Il Trio Dushkin (David Fung, pianoforte; Dennis Kim, violino, Jonah Kim, violoncello) al BIMF – Bari International Music Festival, chiesa di S. Teresa dei Maschi, Bari – Ph. © Ferruccio Cornicello – All rights reserved Feart ®

di Enzo Garofalo

English_flagEnglish_flag Sono stati per due settimane fra le colonne portanti del BIMF-Bari International Music Festival, ma sabato sera, nel concerto che ha chiuso la manifestazione, si sono presentati al folto pubblico della Chiesa di Santa Teresa dei Maschi in una diversa formazione. Mi riferisco al Trio Dushkin, ensemble intitolato al violinista e compositore americano di origine polacca Samuel Dushkin e formato dal pianista David Fung (direttore artistico del festival) , dal violinista Dennis Kim e dal violoncellista Jonah Kim. Nell’arco dell’intero Festival, e cimentandosi in repertori molto diversi fra loro, i tre giovani musicisti hanno dato prova di una straordinaria preparazione tecnica e di una rara sensibilità interpretativa, qualità che li rendono artisti degni della massima attenzione, meritevoli senz’altro di una più frequente presenza nelle sale da concerto italiane; senza trascurare quel loro gioioso senso del vivere e del ‘’fare’’ la musica come momento di condivisione di intense emozioni, che è quanto di più significativo un esecutore possa riuscire a trasmettere al proprio pubblico.

Il concerto – puntualmente introdotto da un’elegantissima Stefania Gianfrancesco – li ha visti misurarsi con due capolavori della musica di ogni tempo, sebbene appartenenti alla produzione un po’ più “appartata” dei loro rispettivi autori, due autentici giganti delle note: i russi Dmitri Shostakovich e Piotr Ilic Tchaikovskij.

Ha aperto la serata il Trio in mi minore Op. 67 di Shostakovich, un lavoro cameristico nel quale si impone con particolare forza la sua sensibilità umana più intima, distante ma non del tutto distaccata dalle preoccupazioni tipiche di chi come lui era solito prendere posizione riguardo ai grandi drammi del Ventesimo Secolo. Un esempio eloquente di una produzione che si va progressivamente riscoprendo per l’altissima qualità musicale e per la particolare profondità spirituale.

Composto in piena 2a Guerra Mondiale alla cui tragedia si aggiunse il dolore per la morte improvvisa e prematura di Ivan Sollertinskij a lui legato da intensa amicizia fin dai tempi del Conservatorio, questo brano è l’omaggio al grande amico rimastogli fedele nei momenti più difficili come quello vissuto a causa della condanna staliniana della sua musica. Una scelta, quella di dedicare un trio alla sua memoria, che si rifà ad la tradizione iniziata da Ciajkovskij e Rachmaninov. I tre strumenti conducono il loro dialogo, a tratti serratissimo, fra lirismo introspettivo, rutilanti momenti di invenzione ritmica, atmosfere di intima e funerea pensosità o di sulfureo sarcasmo, fino all’inquietante finale: una grottesca danza macabra con tema ebraico che sembra trascendere l’occasione ispiratrice per farsi più generale allusione all’immane tragedia della guerra. Un equilibrio perfetto, espressione di un’intesa assolutamente fuori dal comune, ha caratterizzato la performance dei tre musicisti, interpreti di un ingranaggio di precisione nel quale devono necessariamente convivere al più alto grado rigore tecnico e trasporto emotivo perché possa prodursi – e a Bari è avvenuto – il miracolo della musica che si fa poesia; una poesia in questo caso amarissima.

Non meno amara e ricca di complesse sfaccettature psicologiche è la poesia di cui si intesse il Trio in La minore Op. 50 di Tchaikovskij, diventato una sorta di paradigma per questo tipo di formazione strumentale, che pur non aveva mai entusiasmato il sommo maestro russo. La morte dell’amico e maestro Nicholas Rubinstein, fondatore del Conservatorio di Mosca, gli dette invece occasione di utilizzarla portandolo a produrre uno dei suoi grandi capolavori. L’intento di omaggiare Rubinstein e il suo talento pianistico emerge soprattutto nella complessità e nel virtuosismo riservati alla parte pianistica, vero tour de force superato da David Fung con sicurezza, disinvoltura ed un mirabile gusto interpretativo. Eccellente anche la performance di Dennis Kim e Jonah Kim i cui strumenti hanno interloquito con il pianoforte ricreando quella straordinaria alternanza di malinconica elegia, di vivaci atmosfere popolari come quelle evocate dalle undici variazioni su un tema di stile folcloristico e, infine, di rinnovata elegia che confluisce in un’austera e conclusiva marcia funebre di addio.

Si è concluso così, in un clima di solenne sospensione, interrotta da scroscianti applausi, il concerto finale di un festival che prima del congedo ha voluto salutare il suo pubblico con un deciso cambio di registro emotivo, grazie alla decisione del Trio Dushkin di proporre una speciale e applauditissima versione del tema principale della serie televisiva americana di successo “Game of Thrones” meglio nota in Italia con il titolo “Trono di Spade”.

 

 

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