La Pizza Napoletana candidata a Patrimonio Immateriale dell’Umanità UNESCO. Raccolte 300 mila firme

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di Kasia Burney Gargiulo

E’ uno dei grandi simboli del Made in Italy nel mondo: riprodotta, imitata, rielaborata nelle ”chiavi” più disparate, oggetto di un know how artigianale di cui ogni Paese del pianeta ha tentato di impossessarsi, ma non sempre con esiti felici. E’ la pizza, nella fattispecie quella napoletana, considerata la ”madre” di tutte le pizze che si producono sul territorio italiano e internazionale. Dopo oltre trecento anni riesce ancora a far parlare di sè per quel mix irripetibile fra una natura fortemente identitaria e una consolidata diffusione global davvero senza pari. Sia chiaro, materie prime utilizzate e tecniche di lavorazione fanno la differenza e su questo piano può dirsi, senza timore di smentite, che il primato italiano rimane ben saldo e indiscusso.

E di primato italiano ci parla la notizia che arriva dall’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. La Pizza Napoletana è infatti la candidata italiana per l’ingresso nella Lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco. Nell’anno dell’Expo, la Commissione Italiana per l’Unesco ha scelto l’“L’Arte dei Pizzaiuoli Napoletani” come una delle massime espressioni del Made in Italy nel mondo. E’ questo il primo “step” necessario per avviare il negoziato internazionale che coinvolgerà 163 Stati e si concluderà entro novembre 2016.

La candidatura è stata sostenuta da una petizione che ha raccolto ben 300 mila firme. Il risultato della raccolta è stato ufficializzato ieri in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, nel corso della quale è stato anche presentato l’Appello al Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco.

”L’enorme consenso popolare ottenuto da questa  petizione è qualcosa che non ha precedenti nella storia delle candidature Unesco ed è uno dei requisiti che l’Unesco richiede per la candidatura a Patrimonio dell’Umanità” – ha spiegato Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione UniVerde. “Ora – ha aggiunto – abbiamo sei mesi di tempo per convincere i 150 Paesi stranieri che parteciperanno a Expo a votare a favore dell’arte dei pizzaioli. Un’occasione importante per l’Italia e per l’artigianato tradizionale del nostro Paese”.

Entusiasta anche il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, che si è detto fiducioso del fatto che “nell’anno di Expo sia riconosciuto il grande valore culturale dell’arte dei pizzaioli in un momento in cui il nostro Paese si prepara ad essere protagonista di un dialogo mondiale sul tema del cibo nel corso dei sei mesi di Expo”. La Coldiretti ha anche promosso la prima Pizza Napoletana Doc simbolo dell’Expo2015, sfornata presso l’Antica Pizzeria Brandi, che una leggenda popolare ricollega alla invenzione della pizza.

La pizza scelta come simbolo dell’Expo 2015 è fatta con ingredienti napoletani “doc” come la “Mozzarella di Bufala Campana”, l’olio extravergine d’oliva “Penisola Sorrentina”, il “Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino” e il “Pomodorino del piennolo del Vesuvio”, tutti rigorosamente a Denominazione di origine protetta riconosciuti dall’Unione Europea. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di rafforzare l’identità nazionale in un settore in cui – come rende noto Coldiretti per l’Italia –  quasi 2 pizze su 3 (ossia il 63%) sono ottenute da un mix di farina, pomodoro, mozzarelle e olio provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori. Per non parlare delle pizze preparate con farina francese, tedesca o ucraina, mozzarelle ottenute non col latte ma con semilavorati industriali provenienti dall’Est Europa, con pomodoro cinese o americano, olio di oliva tunisino e spagnolo o persino olio di semi invece dell’extravergine italiano.

Tutto questo – ha sottolineato il presidente Moncalvo – danneggia l’originalità del prodotto come le opportunità occupazionali che possono derivare dall’agroalimentare nazionale”. Pertanto – ha aggiunto – “garantire l’origine nazionale degli ingredienti e le modalità di lavorazione significa difendere un pezzo della nostra storia, ma anche la sua capacità di distinguersi nei confronti della concorrenza sleale”. Ciò è tanto più importante tenuto conto che – secondo un sondaggio di Coldiretti – il 39% degli italiani considera la pizza il simbolo gastronomico dell’Italia per eccellenza, mentre in base ad un sondaggio on line della Società Dante Alighieri “pizza” è la parola italiana più conosciuta all’estero, seguita da “cappuccino”, “spaghetti” ed “espresso”.

Coldiretti fornisce anche un quadro economico del mondo della pizza, facendo sapere che il business è pari a 10 miliardi di euro con 63.000 pizzerie che sfornano 5 milioni di pizze al giorno. Oggi però in Italia più di 4 pizzaioli su 10 sono stranieri (tra i quali dominano circa 20.000 egiziani e oltre 10.000 marocchini) mentre ben 6.000 posti risultano ancora vacanti.  Sono almeno 100.000 i lavoratori fissi nel settore della pizza ai quali vanno aggiunti altri 50.000 nel fine settimana, come rivela inoltre l’Accademia Pizzaioli. Come possiamo vedere, ci sono numeri sufficienti per comprendere la necessità di tutelare questo settore, affinchè la tradizione italiana con le sue regole non vada perduta sopraffatta dal ruolo sempre più preponderante giocato dagli stranieri sul mercato globale: a tal proposito è sufficiente ricordare un altro dato fornito sempre da Coldiretti, secondo il quale i maggiori consumatori di pizza sono gli Stati Uniti con il record assoluto di consumi pari ad una media di 13 kg di pizza pro capite all’anno, quasi il doppio del consumo italiano che si colloca al secondo posto con una media annua di 7,6 kg a persona.

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