La lunga notte di Orsara di Puglia. Vince la tradizione nel borgo invaso da migliaia di visitatori

Zucche dei morti

Zucche dei morti

di Redazione FdS

Arriviamo a Orsara di Puglia che è ancora mattina. Il cielo è quasi coperto e il borgo di circa 3 mila anime sulle pendici dei Monti Dauni ci attende per offrirci l’esperienza dei Fucacoste e cocce priatorjie (i fuochi sparsi e le anime del Purgatorio), una tradizione della notte fra l’ 1 e il 2 novembre che, come abbiamo illustrato nell’articolo di presentazione, si perde nel buio dei millenni, portando con sé simboli e riferimenti che ad un primo sguardo sembrano associare questa festa alla notte di Halloween, ma che a ben vedere riportano a stratificazioni culturali molto più complesse di quanto non sembri; non è escluso che a comuni radici si siano poi aggiunte sovrapposizioni che hanno impresso alla tradizione percorsi autonomi, come accade per i diversi corsi d’acqua che derivano da una stessa sorgente.

Al di là della similitudine più appariscente data dall’uso delle zucche antropomorfe illuminate – lungi dall’essere di recente derivazione anglosassone, le zucche associate ai defunti vantano qui, come in altri luoghi d’Italia, una presenza antichissima (quelle della tradizione orsarese sono per lo più del tipo giallo-verde oblungo) – è certo che la notte di Orsara si presenta di segno completamente diverso rispetto a quella di Halloween. Quest’ultima ricorrenza si riveste infatti di una dimensione spettrale e macabra che le deriva dalla ‘demonizzazione’ degli dei pagani posta in essere dal cristianesimo, con conseguente trasformazione in spiriti maligni di quelli che per il capodanno celtico del Samhain, evento all’origine di Halloween, erano solo invisibili forze che presiedono al ciclo vegetativo della Natura. Gli spiriti ‘evocati’ nella notte di Orsara, non hanno invece alcunché di demoniaco, avendo qui l’impronta cristiana operato in una chiave diversa e cioè ricollegando le entità naturali del paganesimo alle anime del Purgatorio, a quelle cioè di comuni esseri umani trapassati che attendono di completare la propria ascesa al Cielo attraverso appunto una “purgazione” che ha nel fuoco il suo elemento principe. E gli stessi fuochi, ci svela un vecchio del paese, un tempo era d’obbligo fossero sovrastati da una piccola croce, evidente ‘imprimatur’ cristiano che rendeva così accettabile un rito di chiara matrice pagana.
 

Le zucche intagliate di Orsara di Puglia

Le zucche intagliate di Orsara di Puglia

Fuochi dei falò e lumini accesi di cui è costellato il borgo nella notte, sembrano però qui assumere anche un’altra valenza, e cioè quella di una ‘luce’ che indica ai morti la via del ritorno nei luoghi delle origini, in quella notte dell’anno il cui la ‘parete’ invisibile che divide l’al di qua dall’al di là si assottiglia fino a scomparire del tutto. Ma la loro natura di trapassati, quindi di ‘esseri’ completamente diversi dai vivi, impone che l’accoglienza dei defunti avvenga attraverso la preghiera, l’offerta rituale di cibo lasciato sull’uscio e, soprattutto, tramite quella rispettosa distanza che imporrebbe (regola che la modernità, con i suoi ritmi alterati, non osserva più) che la festa dei Fucacoste terminasse entro la Mezzanotte, ora fatidica in cui le anime si aggirano in processione per il paese lontane dallo sguardo profano dei vivi. Inoltre, essendo la morte pur sempre un evento che passa attraverso la corruzione dei corpi, ed essendo quello di ‘anime del Purgatorio’ uno status ancora lontano dalla perfezione angelica del Paradiso, è chiaro che la loro rappresentazione simbolica attraverso le zucche presenta connotati che hanno a che fare col macabro ma ancor più col grottesco: lo si vede nei ghigni, negli occhi sbarrati, nelle bocche spalancate incisi sulle zucche, elementi che in fondo non fanno altro che inscenare l’idea ‘visiva’ che comunemente si ricollega alla morte. Purtroppo è questo stesso aspetto a stimolare l’arrivo ad Orsara di ‘reduci’ di Halloween, con i loro cappelli a punta da strega o le luminose corna rosse da diavolo. Il tentativo spontaneo di ‘contaminazione’ è sotto gli occhi di tutti ma, almeno per il momento, la tradizione sembra resistere abbastanza pura.

Abbiamo ancora tempo prima che alle 19,00 risuoni la campana che dà l’avvio all’accensione dei fuochi e così ci aggiriamo per il borgo di Orsara per farci un’idea della sua fisionomia. Antiche case in pietra si alternano a palazzotti dai portali gentilizi in un saliscendi di vicoli e stradine che incrociano piccole corti, imminente teatro dei fuochi di quartiere alternati a quelli che le singole famiglie allestiscono davanti all’uscio della propria casa. Un tempo le braci dei fuochi erano occasione per arrostire patate, cipolle, uova, alimenti oggi per lo più soppiantati da salsicce, bistecche e castagne, che il visitatore può trovare anche sui tanti banchetti di gastronomia approntati per l’occasione in giro per le vie del paese. Ne scoviamo uno già verso l’ora di pranzo in un vicolo fra quelli che scendono verso Largo San Michele, la piazzetta a selciato antistante l’imbocco della scala che conduce alla grotta dell’angelo, protagonista di un culto che accomuna tutta quest’area del foggiano. Ci rimpinziamo di gustosissime pettole, calde frittelle di farina lievitata, e di un corposissimo vino ottenuto da uve Nero di Troia e Primitivo. Una piccola sosta davanti ad una delle case del paese ci consente di sperimentare l’ospitalità degli orsaresi: un giovane uomo e sua moglie ci porgono sorridendo un piatto di musc’tagl’, piatto emblematico della festa, composto di semi di grano bollito, vincotto e bacche di melograno: simboli di prosperità e di una vita che rinasce dopo la morte, Demetra e Proserpina che piombano fino a noi dalle nebbie dei secoli a ricordarci le nostre radici millenarie che affondano nella cultura della Magna Grecia e prima ancora in quella dei popoli italici di cui ancora così poco sappiamo. E’ un gesto che, al di là del gusto, ci fa vibrare, toccando corde oggi sempre meno esplorate, eppure così importante parte di noi.

Raggiungiamo il santuario dell’Arcangelo Michele, la cui disposizione ricorda in piccolo quella del più celebre santuario di Monte SantAngelo. La nuda grotta, costellata di vetuste croci incise nella pietra, è sovrastata dall’Abbazia di Sant’Angelo o dell’Annunziata, edificata da monaci basiliani fra VIII e XI secolo in stile bizantino e originariamente monastero dei santi Nicandro e Marciano. Non vediamo l’effigie dell’Arcangelo, ma presto scopriamo che si trova nella chiesa parrocchiale di S. Nicola di Bari, custodita in una teca per preservarla meglio e riportata in grotta ogni 29 settembre in occasione della festa del Santo. Attendiamo così nel pomeriggio l’apertura della chiesa che la ospita e troviamo una grande statua dell’Angelo in sgargianti vesti barocche nell’atto di schiacciare il demonio brandendo con foga la spada. Accanto, fuori dalla teca, una statua della Madonna della Neve, splendida Vergine Incoronata con Bambino di una austerità e di una regalità mai viste prima.

Proseguiamo il nostro giro e presto ci imbattiamo in un’insegna che annuncia il forno “Pane e salute”, un piccolo gioiello di civiltà popolare incastonato in un palazzo del 1526 che – a quanto ci dice l’attuale proprietario, il signor Di Biccari – sarebbe in origine appartenuto all’Ordine dei Cavalieri spagnoli di Calatrava, presenti ad Orsara fin dal XIII sec. Il forno, alimentato con balle di paglia come da tradizione, è gestito dall’omonima Associazione Culturale e, nei week-end offre uno sfizioso servizio di osteria per una ventina di coperti, il tutto a base di genuina cucina orsarese tradizionale. Ripassiamo in serata e scopriamo che in occasione dei Fucacoste il forno serve ai passanti degli ottimi panini ripieni con salsiccia, peperoni, patate e caciocavallo grattugiato, il tutto rigorosamente cotto nell’antico forno. Non mancano primi piatti a base di verdure e legumi ma noi optiamo per i panini, letteralmente ipnotizzati dalla fase preparatoria e dal gruppo di chef in divisa che in una sorta di frenetico passa mano assemblano gli ingredienti del mirabolante sandwich.

Intanto sono quasi le 19,00 e scopriamo che per l’accensione dei fuochi occorre per tradizione attendere non solo il suono della campana ma anche la benedizione impartita dal parroco di S. Nicola di Bari al primo falò allestito sul fianco sinistro della chiesa. “…Benedici Signore, questo fuoco acceso in memoria dei nostri cari…La lontananza fisica, l’impossibilità di raggiungere i loro volti, talvolta ci fa sentire smarriti, se non disperati (…) La loro speranza è compiuta ora in te, o Signore, mentre la nostra s’ agita ancora pellegrina su questa terra…” . Le parole si susseguono toccanti, superano il vocìo della strada, biascicate con trasporto soprattutto dagli anziani…e lì ti rendi conto di quale sia il ‘motore’ principale di questa tradizione. Muti ed immobili, immaginiamo che un tempo questo momento del rito dovette essere molto più solenne, celebrato in una penombra priva del brusìo che oggi producono le migliaia di persone in giro per i vicoli di Orsara. Ma tant’è…i defunti sapranno perdonarci tanta esuberanza.

Esuberanza che quest’anno ha raggiunto livelli inaspettati. Le cronache del giorno dopo riportano di circa 25 mila persone giunte in paese da ogni dove. E che la notizia sia veritiera lo prova la lunghissima fila (almeno 5 km) di auto che, lasciando il paese, vediamo parcheggiate fuori Orsara e l’alto numero di visitatori in arrivo a tarda sera e purtroppo respinti al mittente per motivi di sicurezza. Certo l’eco della festa quest’anno è stato moltiplicato dalle dirette televisive nazionali (e anche noi abbiamo fatto la nostra parte), ma non c’è dubbio che il potere suggestivo di una festa che accosta vita e morte, sacro e profano, è già di per sé un propulsore non indifferente dell’umana curiosità.

Ma eccoci giunti in Largo san Michele, lì dove troneggia il falò più grande del paese…Tutt’intorno solo la fioca luce dei lampioncini comunali. Altissime lingue di fuoco circonfuse di magiche scintille si proiettano verso il cielo nero. Un uomo ne alimenta la vigorìa aggiungendo ramaglie di ginestra che ragazzi e adulti hanno raccolto per tempo nei boschi circostanti. Fin dall’ora del nostro arrivo, e per buona parte della giornata, è stato infatti tutto un via vai di piccoli trattori carichi di legna di quercia e di cespugli di ginestra poi accatastati agli angoli dei vicoli, nelle piazzette, nei cortili. E’ il momento dell’incantamento. I bambini, già rapiti dalla costruzione della zucca più bella per partecipare al grande concorso di Orsara che premia tradizione innovazione e tecnica di intaglio, ora osservano il fuoco come ipnotizzati, e di dietro di loro fanno altrettanto uomini e donne, figli nipoti e pronipoti di quei defunti che oggi si omaggiano. E’ un momento di grande serenità collettiva ed allora capisci che in fondo agli esseri umani basta poco per essere felici.

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