Gli affreschi ritrovati di Presicce e le altre “meraviglie” di un borgo fra i più belli d’Italia

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Madonna con Bambino, fine XVI sec., uno degli affreschi ritrovati nella Chiesa Madre di S. Andrea Apostolo, Presicce (Lecce) – Ph. Alessandro Romano

di Alessandro Novoli

Un viaggio a Presicce, borgo di circa cinquemila abitanti in provincia di Lecce, situato a pochi chilometri dalla costa ionica di Torre Pali e Capo Leuca, è un immersione nel Salento più meridionale, là dove le atmosfere mediterranee profumano già d’Oriente. Il paese, incluso dal 2011 nell’elenco dei Borghi più belli d’Italia accoglie il visitatore con la sua vallata ricca di acque, circondata da modesti rilievi denominati Serre salentine, spesso coltivate a terrazzamenti sostenuti da muretti a secco, fra macchia mediterranea, uliveti plurisecolari, pini e querce. Le sue origini si fanno risalire al vicino insediamento medievale di Pozzomauro del quale sopravvivono – dopo la sua distruzione ad opera di pirati saraceni nel XV secolo – i resti di una torre di vedetta, la chiesetta rurale basiliana della Madonna di Loreto e una cripta bizantina poi trasformata in frantoio ipogeo.

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Chiesa di S. Andrea Apostolo, XVIII sec., Presicce (Lecce)

Il passaggio di Presicce nei possedimenti feudali di numerose famiglie, fra cui i Gonzaga, i Brayda, i Bartilotti e i de’Liguoro, ha lasciato le sue tracce nei numerosi palazzi nobiliari mentre, nei rioni Corciuli e Padreterno, un gruppo di “Case a corte”, testimonia di un vivere popolare cinquecentesco in edifici composti da pochi vani e da uno spazio aperto (la corte) munito di pozzo e lavatoio dove si svolgevano le attività quotidiane degli abitanti. Gli antichi legami della nobiltà con la Chiesa e la devozione popolare si riflettono invece nelle tante chiese che, costruite fra XII e XX secolo, sono non di rado dei veri e propri palinsensti architettonici, visitabili percorrendo le stradine del centro lastricate a basolato. Un sobrio fasto settecentesco trova espressione nella Chiesa Madre dedicata a S. Andrea Apostolo che affacciata sulla Piazza Villani insieme all’omonima Colonna che regge la statua del Santo, ne completa la sobria ed elegante bellezza barocca. Edificata nella seconda metà del XVIII secolo a navata unica, include nella sua struttura parte di una precedente chiesa, datata 1575 e detta “dei morti” per via dei suoi ipogei sepolcrali. Si tratta di due cappelle, trasformate in epoca posteriore in un ambiente unico e collegate al campanile rinascimentale ancor oggi visibile, e di un altro vano adiacente. In questo spazio, da tempo utilizzato come deposito di vecchi oggetti, i lavori di restauro curati da Andrea Erroi, hanno rivelato di recente, sotto uno spesso strato di intonaco, una serie di affreschi a tema sacro dal vivace cromatismo.

GLI AFFRESCHI RITROVATI

Da una nicchia, forse appartenuta alla zona absidale di una cappella cinquecentesca, occhieggia una Madonna con Bambino, il cui sguardo malinconico sembra presagire l’estremo sacrificio del Figlio. L’opera, realizzata probabilmente alla fine del XVI secolo, rappresenta le due figure in gloria all’interno di una mandorla mistica, circondate di cherubini. La Madonna porta la mano al petto forse a reggere un fiore, oggi non più visibile, mentre il Bambino, benedicente, regge nella sinistra un uccellino. Entrambi sovrastano una chiesa a tre navate, quasi una basilica, che – afferma Erroi – “diversamente che nella consueta iconografia della Madonna di Costantinopoli, non è in fiamme ed invasa dai Turchi, ma integra. Dopo alcune ricerche si è dedotto trattarsi di un altare dedicato alla Madonna della Neve di cui si fa menzione in un documento settecentesco. Un altare di cui non si aveva più traccia.”

In realtà, spiega Erroi, questi ambienti della precedente chiesa parrocchiale sono a loro volta stratificati. Difatti oltre all’affresco cinquecentesco sono emersi altri dipinti che rimandano ad ulteriori precedenti strutture: “Sono due i cicli di affreschi ritrovati al di sotto degli stucchi settecenteschi – spiega il restauratore -, e ci hanno permesso di contare tre chiese sovrapposte l’una all’altra. Quelli che sembravano degli sgabuzzini sono infatti in realtà i resti di antiche cappelle. Se ci spostiamo sotto la grande torre campanaria, ritroviamo i resti di un’altra cappella in cui compaiono lacerti di affreschi che non offrono però indizi utili a identificarne l’intitolazione. Uno di essi ci mostra una mano benedicente e una colomba, ma non sappiamo se si tratti di un’Annunciazione o di un Battesimo di Cristo. Secondo alcuni studi fatti in archivio dal parroco don Francesco Cazzato, pare che all’ingresso ci fosse il fonte battesimale, per cui è plausibile che qui ci fosse un Battesimo di Cristo con la colomba dello Spirito Santo che discende sul Figlio di Dio. Questo ciclo è coevo alla Madonna che ho citato prima e comprende anche i resti di due santi vescovi, un probabile Sant’Eligio e un altro irriconoscibile e infine, murato, un San Vito, tutti dai colori sgargianti. Ancora precedenti sono infine alcuni dipinti superstiti di inizio ‘500, ritrovati sotto l’intonaco di in un minuscolo vano adiacente e raffiguranti un supplizio di San Sebastiano, un S. Rocco, un’Imago Pietatis, un Cristo Pantocratore e un San Pietro. Anche questo ambiente – nel quale sono presenti resti di costoloni di una precedente volta gotica, decorati in bicromia probabilmente nel ‘400, era una vecchia cappella la cui struttura risulta tranciata dalla nuova facciata barocca innalzata nel ‘700″.

Oltre a tali affreschi che il caso ha riportato alla luce e ad un bellissimo tabernacolo tardo-cinquecentesco in legno dorato custodito sempre nella “chiesa dei morti”, la Chiesa Madre conserva alcune importanti testimonianze relative al periodo barocco: dagli otto altari decorati con pregevoli stucchi, all’altare maggiore in marmi policromi di scuola napoletana, al battistero, le acquasantiere e i dipinti di vari pittori salentini come Giovan Battista Catalano, Liborio Riccio, Oronzo Tiso e Saverio Lillo.
 

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Santo vescovo, forse Eligio, affresco, fine XVI sec. - Ph. Alessandro Romano

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Supplizio di S. Sebastiano, inizi XVI sec. - Ph. Alessandro Romano

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Imago Pietatis, inizi XVI sec. - Ph. Alessandro Romano

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Tondo con San Pietro, affresco, inizi XVI sec. - Ph. Alessandro Romano

 
LE ALTRE “MERAVIGLIE” DI PRESICCE

Riprendendo le stradine assolate del borgo fra le quali a volte spira un vento che sa di mare, ci si imbatte nelle numerose altre “meraviglie” di un luogo nel quale storia, architettura, arte, si intersecano con la vita quotidiana. Alcuni uffici comunali occupano oggi in via Roma l’antico Convento dei Padri Carmelitani, costruito nel XVI secolo con l’annessa chiesa della Madonna del Carmine, in cui si conservano uno splendido altare maggiore in pietra leccese con colonne tortili, bassorilievi e sculture in stile tardo barocco, un coro e un pulpito lignei del Settecento, e alcuni dipinti del coevo pittore salentino Saverio Lillo. Percorrendo il centralissimo Corso Italia si incontra invece il settecentesco Palazzo Arditi reinterpretato in stile neogotico negli anni ’20 del ‘900, mentre in P.zza del Popolo si erge con sobria eleganza il Palazzo Ducale, oggi sede del Museo della Civiltà Contadina. La sua struttura reca tracce di circa mille anni di storia – dall’epoca normanna fino alla merlatura neoguelfa d’inizio Novecento – durante i quali è appartenuto a diverse famiglie nobili. Se pressoché nulla resta della fase cinquecentesca, il secolo successivo trova testimonianza significativa nella cappella dell’Annunziata e nel bellissimo giardino pensile, voluti nel 1630 dalla principessa Cito Moles. A poca distanza la pietra leccese dà forma ai virtuosismi scultorei della Cappella di S. Luigi degli Arditi  la cui facciata rococò è sfarzosamente decorata con angeli, festoni e volute.
 

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Scorcio notturno del Palazzo Ducale di Presicce, XII-XX secolo – Ph. Oraz75 | ccby-nd2.0

La concentrazione di architetture storiche, sorprendente in un borgo così piccolo, prosegue nelle altre vie del centro con ulteriori edifici nobiliari come il cinquecentesco palazzo Valentini e la coeva Casa Turrita, originale esempio di palazzo gentilizio fortificato, il rinascimentale palazzo Adamo-Izzo con il suo affascinante giardino in Via Vespucci, il palazzo Alberti in via Castello, con la sua elegante facciata primi ‘900 decorata con maioliche napoletane e un balcone ad archi intrecciati. E poi ancora, sulla bellissima via Marchese Arditi, si incontra il cinquecentesco palazzo Colella Bisanti, rivisitato nel XVIII secolo, con il suo giardino munito di torre colombaia, il grande palazzo Villani, settecentesco, rivestito di bugnato, due case feudali del Cinquecento – la Casa Cesi e la Casa Rollo – quest’ultima dotata di un bel giardino nascosto, e infine i seicenteschi palazzo Arditi, dove nacque Michele Arditi, primo Soprintendente e Direttore del Museo Archeologico di Napoli, e palazzo Seracca col suo cortile interno introdotto da una serie di archi. Nella non lontana via Garibaldi, si distingue la Casa Cara, del 1601, sulla quale una lapide ammonisce di non pensare all’abitazione terrena, ma a quella celeste.

PRESICCE SOTTERRANEA: I FRANTOI IPOGEI
 

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Frantoio ipogeo a Presicce (Lecce) – Ph. Oraz75 | ccby-nd2.0

La Presicce “urbana” ha vissuto e vive anche di una dimensione agreste che i giardini dei palazzi già evocano con le loro colture di agrumi e palme e che, nel territorio corcostante, costellato di uliveti, ha per secoli trovato espressione nelle numerose masserie fortificate sorte fra XVI e XIX secolo e nelle ville gentilizie note con il nome di Casine, oggi non di rado trasformate in eleganti resort. Un mondo agricolo che ha avuto a lungo il suo tradizionale luogo di culto nella chiesa-convento di S. Maria degli Angeli, sorta fuori dal borgo tra XVI e XVII secolo. La testimonianza più significativa della Presicce agraria sono però i frantoi ipogei, scavati nella roccia tufacea per la frangitura delle olive, noti con il nome dialettale di trappeti. Qui si trova la più alta concentrazione di frantoi a grotta di tutto il Salento: ce n’era uno sotto quasi ogni palazzo e in quegli spazi sotterranei, nel periodo della molitura,  i “trappetari” si trattenevano a lungo a lavorare con il mulo che azionava la macina e il torchio per la lavorazione delle olive. Le mole e i torchi erano del tipo “alla calabrese” ed hanno prodotto olio fin verso la fine dell’Ottocento. Molti di essi furono poi abbandonati o riutilizzati come cantine e depositi finché, a partire dagli anni ’90, alcuni sono stati restaurati e resi visitabili. Oggi di quegli antichi frantoi ne restano ancora ventitre nel territorio comunale, di cui otto nel centro storico, a testimonianza dell’operosità di un popolo che trova ancora nell’oro giallo la sua principale risorsa agro-alimentare per la cui valorizzazione Presicce aderisce all’Associazione Nazionale Città dell’Olio.

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INFO: Per raggiungere Presicce percorrere da Lecce la SS 275 (Lecce-Maglie) per circa 60 km. Se dal borgo si volesse raggiungere la vicina costa ionica, imboccare la provinciale 193 per Torre Pali (10 km), antico borgo di pescatori, più volte insignito della Bandiera Blu per la qualità del mare e delle spiagge.

VISITE: Museo della Civiltà Contadina, c/o Palazzo Ducale, P.zza del Popolo, tel. 339 7474418 (Associazione Culturale Museo Aperto), orario visite: domenica 10,30 – 12,00 e giorni feriali su prenotazione; Chiesa Madre di S. Andrea Apostolo, apertura ore 8.00-13.00 / 16.00-20.00; Chiesa di S. Maria degli Angeli, apertura ore 09.00-12.30/15.30-19.00; Cappella di S. Luigi degli Arditi (per info contattare Pro Loco al 340 6506 421); Itinerario dell’Olio (visita guidata al Museo della Civiltà Contadina e ai frantoi ipogei, durata 1h e 30, contattare Pro Loco al 340 6506 421). Per ogni altra informazione contattare: Pro Loco, 340 650 6421 e Ufficio Turistico, 347 8444 800

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