Acquedotto del Triglio. Un’antica opera d’ingegneria idraulica da salvare. Incontro a Taranto

Alcune delle arcate dell'Acquedotto del Triglio, Taranto - Ph. © Alessandro Romano

Alcune delle arcate dell’Acquedotto del Triglio, Taranto – Ph. © Alessandro Romano

Una conferenza dell’archeologo Angelo Conte illustrerà a Taranto, il prossimo 14 dicembre, la lunga storia di questo straordinario manufatto

di Redazione FdS

Dopo la riscoperta delle decine di ipogei che hanno consentito di portare a conoscenza dei visitatori la ricchezza stratigrafica del suo tessuto urbano plurimillenario, la città di Taranto si sta attivando per riappropriarsi di un’altra delle pagine meno conosciute della sua lunghissima storia, quella dell’antico Acquedotto del Triglio. A riaccendere i riflettori su questa straordinaria opera romana di ingegneria idraulica, le cui origini si fanno risalire al I° d.C., è stato purtroppo un episodio di crollo che, agli inizi di novembre, ha interessato un tratto della struttura ad archi, all’altezza del complesso siderurgico ILVA. Un caso di ordinaria incuria che ha evidenziato come gli ultimi lavori di restauro conservativo risalgano all’ormai lontano 2008, quando il Comune di Statte (con Crispiano e Taranto interessata dal passaggio dell’acquedotto) riuscì a intervenire intercettando 500 mila euro di risorse regionali. Da qui l’invito delle istituzioni regionali e di gruppi di cittadini affinché gli organismi competenti (i Comuni e la Soprintendenza per primi) approntino nuovi e incisivi interventi di restauro, prima che la pioggia e l’abbandono possano causare ulteriori crolli. Fra le iniziative volte a riaccendere l’interesse e a invocare il recupero di questo bene storico, si segnala la conferenza che il prossimo 14 dicembre, alle ore 17.00, l’archeologo Angelo Conte, autore dello studio “L’acquedotto romano del Triglio da Statte a Taranto. Antica via dell’acqua in Puglia” (Edizioni Pugliesi), terrà presso l’Aula Magna del Liceo Ferraris – Quinto Ennio di Taranto (via Abruzzo, 13 – ingresso libero). L’incontro è stato organizzato da Dopolavoro Filellenico, in collaborazione con Società Dante Alighieri Taranto, Nobilissima Taranto, Amici del Quinto Ennio, PROGENTES APS. Intanto è stata già attivata una petizione sulla piattaforma Change.org volta anch’essa a sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni.

DALLE SORGENTI A TARANTO: IL LUNGO VIAGGIO DELL’ACQUA

Muovendo dalle Murge Tarantine, l’acqua di un gruppo di sorgenti dai nomi suggestivi (Boccaladrona, Lazzarola, Rosamarina, Alezza, Miola e Monte Specchia), dopo essere stata convogliata tramite condotte ipogee nella grande cisterna rocciosa del Triglio (oggi nei pressi di una settecentesca chiesetta dedicata a S. Michele), proseguiva il suo viaggio per 8,3 chilometri in gallerie create dall’uomo, attraversando un territorio fatto di lame e gravine, per poi scorrere in direzione di Taranto lungo un canale a cielo aperto, che partiva all’altezza della Masseria della Riccia. In origine il canale epigeo era tracciato direttamente nel banco roccioso e non supportato da arcate, la cui comparsa si ritiene risalga a non prima dell’epoca bizantina, quando la città distrutta dai Saraceni fu fatta ricostruire nel X secolo dall’imperatore Niceforo Foca. Insomma una grande opera di ingegneria idraulica che dalla Gravina di Statte – il cui territorio, fra macchia mediterranea, dolmen, una necropoli eneolitica e persino un apiario scolpito su una parete, conserva in gran parte il suo fascino originario – arriva fino in città dopo aver costeggiato, lungo la S.P. 48, l’enorme e protervo “drago” di metallo dell’acciaieria.
 

Un dolmen nella Gravina di Statte (Ta) - Ph.  © Alessandro Romano

Un dolmen nella Gravina di Statte (Ta) – Ph. © Alessandro Romano

Nel tratto ipogeo dell’acquedotto si nota ancora la presenza di una serie di pozzi, serviti per l’estrazione dei materiali cavati, per la pulizia di detriti  e per l’areazione, attraversi i quali si accede ai tunnel in parte ancor oggi attraversati dall’acqua limpida e gelida di quelle antiche sorgenti. Scavati integralmente nella roccia a colpi di scalpello o dotati di volte fatte con grandi blocchi di pietra disposti a spiovente, questi cunicoli seguono un percorso non del tutto rettilineo, poiché giunto all’altezza di una zona paludosa (poi prosciugata e oggi in parte occupata dal cimitero di S. Brunone), compiva una larga curva verso occidente fino ad arrivare nella zona dell’attuale porto mercantile.
 

Le due tipologie di cunicoli dell'Acquedotto del Triglio - Ph. © Alessandro Romano

Le due tipologie di cunicoli dell’Acquedotto del Triglio – Ph. © Alessandro Romano

Secondo la ricostruzione elaborata da Angelo Conte tenendo conto della morfologia del territorio, degli esiti della ricerca speleologica, di documenti d’archivio e di varia letteratura, l’acquedotto “non fu costruito per l’abitato di Taranto, come si è sempre creduto…ma per un molo esterno al porto dove attraccavano navi militari e commerciali, tornato alla luce nel 1900 insieme a una lunga canalizzazione terminante in una fontana monumentale, molto probabilmente di epoca romana, su cui purtroppo non sono stati fatti studi. La scoperta avvenne in occasione dello sbancamento dello Scoglio del Tonno per la costruzione della nuova stazione ferroviaria e del porto mercantile”. 
 

Alcune arcate dell'Acquedotto del Triglio all'altezza dell'ILVA - Ph. © Angelo Conte

Alcune arcate dell’Acquedotto del Triglio all’altezza dell’ILVA – Ph. © Angelo Conte

Inoltre i rilievi effettuati dagli speleologi di Statte nel corso di diversi anni, così come l’esame comparativo con altri acquedotti romani, hanno permesso in particolare di definire meglio le fasi costruttive dell’Acquedotto del Triglio, le tecniche di scavo, le modalità di funzionamento, e la sua databilità al I° secolo d.C., cioè a oltre un secolo dopo che a Taranto, già soggiogata da Quinto Fabio Massimo per essersi schierata con Annibale, i Romani avevano dedotto la nuova colonia di Neptunia (125 a.C.). Si ritiene infatti che l’acquedotto consentisse di attingere l’acqua sia a ville suburbane sorte nella zona fra le sorgenti e Statte, sia all’allora fiorente porto della città. L’abitato era invece servito dall’acquedotto dell’Aqua Niymphalis, di età augustea, proveniente da Saturo, località posta circa 12 km a sud-est di Taranto. Quanto invece alla precedente epoca greca, secondo l’opinione espressa già a fine ‘800 dall’archeologo napoletano Giuseppe Fiorelli, l’approvvigionamento dell’acqua a Taranto doveva avvenire attraverso l’uso di pozzi, di cui lo studioso rilevò una cospicua presenza nell’area dell’antica città.
 

Scorcio della Gravina di Statte (Ta) - Ph. © Alessandro Romano

Scorcio della Gravina di Statte (Ta) – Ph. © Alessandro Romano

Se il tratto ipogeo dell’acquedotto è rimasto immutato, sulla parte epigea non sono mancati ripetuti interventi nell’arco dei secoli: con la caduta dell’impero romano, l’intera struttura rimase infatti in abbandono, almeno fino all’età bizantina alla quale risalirebbero le prime tracce di struttura architettonica in supporto dell’originario canale epigeo di scorrimento dell’acqua. Al 1334 risale invece un nuovo intervento strutturale voluto da Caterina di Valois, Principessa di Taranto, che sovvenzionò le spese necessarie a garantire la funzionalità dell’acquedotto, ormai per un terzo impostato su arcate a tutto sesto. L’intero sistema idraulico venne poi migliorato nel 1543 dall’ingegnere Marco Orlando che, su disposizione di Carlo V, rifece tutta la struttura degli archi-canale (inizialmente 202, oggi ridotti a poco più di un centinaio, fra crolli e demolizioni) e costruì una fontana monumentale nella Piazza principale, da allora chiamata Piazza Fontana. Tale fontana venne demolita e sostituita con un’altra più modesta nel 1856 ad opera dell’ing, Cataldo De Florio. In quell’anno, la liberalizzazione delle servitù militari e la costruzione del nuovo Borgo di Taranto, dell’impianto dell’Arsenale, della base navale, del porto commerciale, della stazione ferroviaria e di alcune industrie, comportarono una totale rifacimento dell’impianto per aumentare l’apporto d’acqua, prelevata da 5 sorgenti nel territorio di Crispiano e, data la fatiscenza delle vecchie arcate, fu deciso di bypassare  gli archi-canale con una tubazione in ghisa al di sotto di essi. Operazione conclusa nel 1887. Nel 1893 la fontana del De Florio venne demolita per difetti strutturali e sostituita da una semplice fontana a 4 getti, mentre nel 1992 l’arch. Nicola Carrino riutilizzò alcuni suoi elementi nella realizzazione della fontana attualmente in uso.

COSA RIMANE OGGI DELL’ACQUA DEL TRIGLIO?

L’intero impianto storico del Triglio, con l’avvento dell’Acquedotto Pugliese dopo la Ia Guerra Mondiale, ha smesso di funzionare. Le condutture furono riattivate provvisoriamente nel 1943, quando un bombardamento alleato distrusse alcuni tubi dell’Acquedotto Pugliese e fu necessario alimentare il Rione Tamburi e la ferrovia. Negli anni ’60, quell’acqua fu utilizzata dal neonato impianto siderurgico, ma solo per i primi bisogni. Poi più nulla. Oggi tuttavia, nell’antico condotto ipogeo di età romana, saltuariamente curato dal gruppo Speleo Statte, l’acqua scorre ancora ma si disperde nelle campagne, non venendo più convogliata verso alcuna destinazione.

UNA ANTICA LEGGENDA POPOLARE

Virgilio-mago in un'antica incisione

Virgilio mago in un’antica incisione

Intorno all’antico Acquedotto del Triglio, il già menzionato archeologo Giuseppe Fiorelli raccolse fra i contadini una leggenda secondo la quale l’antico poeta latino Virgilio, considerato un iniziato ai misteri della magia, “disputava alle streghe il dominio di Taranto” cercando di farsi benvolere “con opere ad essi ben accette”. E poiché “a quel tempo i Tarantini erano afflitti da una lunga e penosa siccità, niente a loro avrebbe potuto essere più gradito che di avere acqua. Onde Virgilio dalla parte del Triglio cominciò a costruire un acquedotto, e lo condusse a termine in una notte”. Le streghe dal canto loro “non volendo rimanere inferiori al rivale”, cominciarono a costruire un acquedotto nella località di Saturo, 12 km a sud-est di Taranto, “ma sul far dell’aurora non avevano compiuto che la metà del condotto, quando fu loro annunziato che l’acqua era già in Taranto per opera di Virgilio, a cui la città faceva festa e plauso”. La leggenda, secondo il Fiorelli, sarebbe nata dal fatto che un condotto per l’acqua esistente a Saturo, di cui pur parla la tradizione in relazione a Taranto, in realtà non sarebbe mai arrivato fino in città. Ricerche condotte nel tempo da vari studiosi hanno però smentito l’archeologo, accertando che l’acquedotto proveniente da Saturo, detto Aqua Nymphalis, derivato da una sorgente sita in Lama Traversa, raggiungeva nel I° sec. d.C. la città di Taranto, come è del resto testimoniato da alcune vestigia ancora visibili sul Corso Italia. E’ evidente quindi che la leggenda, certamente maturata in età medievale, come tutta la folta narrativa su “Virgilio mago”, non ha fatto altro che mitizzare una qualche sopravvenuta crescita di importanza dell’acquedotto del Triglio rispetto a quello un po’ più antico dell’Aqua Nymphalis.

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Bibliografia:

Angelo Conte, L’acquedotto romano del Triglio da Statte a Taranto. Antica via dell’acqua in Puglia, Edizioni Pugliesi, Martina Franca,  2005, pp. 144
Giancarlo Di Liviano D’Arcangelo, Invisibile è la tua vera patria, Il Saggiatore, Milano, 2013, pp. 256
Giuseppe Fiorelli, Notizie degli scavi di antichità comunicate dal Socio G. Fiorelli…, in “Atti della R. Accademia dei Lincei. Memorie della classe di scienze morali, storiche e filologiche”, serie III, Vol. IX, 1880-81, Tip. Salviucci, Roma, pp. 521-522

IL LUOGO

 

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